Della Rovere, Francesco Maria I
Figlio del prefetto di Roma Giovanni, duca di Sora, e di Giovanna, figlia di Federico da Montefeltro duca di Urbino, nasce a Senigallia – di cui il padre, dal 1474, è signore – il 25 marzo 1490. Dopo la morte del padre (1501) il fanciullo passa alla corte urbinate presso lo zio materno, il duca Guidubaldo, che lo fa istruire da Ludovico Odasio, già suo maestro. Nel giugno del 1502, quando Cesare Borgia assale il ducato di Urbino, D. R. assieme allo zio scampa fortunosamente alla cattura, trovando infine rifugio a Savona, presso lo zio paterno, il futuro Giulio II. Morto Alessandro VI e reinsediatosi Guidubaldo a Urbino, il nuovo papa Giulio II punta anche su Francesco Maria per affermare ed estendere il ruolo della famiglia. Di qui l’impegno nuziale con Eleonora Gonzaga, primogenita del marchese di Mantova, e, soprattutto, l’adozione – celebrata solennemente il 18 settembre 1504 – da parte di Guidubaldo, notoriamente impotente e senza figli, che innalza Francesco Maria al rango d’erede.
Nel 1507 D. R. uccide, attirandolo in un tranello, l’amante della sorella Maria (vedova di Venanzio da Varano), il veronese Giovanni Andrea Bavo: l’episodio, che mette in grande imbarazzo il duca Guidubaldo, non ha tuttavia conseguenze. Morto Guidubaldo l’11 aprile 1508, D. R. gli subentra. Pochi mesi dopo sposa a Mantova Eleonora Gonzaga e il 29 settembre, a Bologna, riceve dal legato Francesco Alidosi il bastone di generale della Chiesa. Nell’aprile del 1509 partecipa all’offensiva antiveneziana dei collegati di Cambrai (occupa Civitella, e in Romagna assedia Governolo e Russi). Conclusa la guerra antiveneziana, nell’agosto del 1510 Giulio II lo impiega contro la Francia e Alfonso d’Este. D. R. ottiene una serie di successi: conquista Cento, Bagnacavallo, Lugo e Modena; espugna poi Sassuolo e Mirandola, al cui assedio partecipa, animosissimo, lo stesso pontefice. D. R. punta allora su Ferrara, ma minacciando i francesi Bologna, è costretto a spostarsi in difesa della città, accampandosi a Casalecchio. L’odio tra lui e Alidosi (già manifestatosi nella campagna del 1509) è causa della conduzione maldestra delle operazioni, che porta all’entrata dei francesi in città (21 maggio 1511). A Ravenna, dopo essere stato aspramente rimproverato da Giulio II, D. R. aggredisce l’odiato Alidosi, uccidendolo. Privato dal papa di ogni titolo, viene sottoposto a giudizio (luglio-dicembre 1511), ma il verdetto è un’assoluzione piena e D. R. è reintegrato nella sua titolarità ducale. Dopo la sconfitta imperiale-papale nella battaglia di Ravenna (alla quale egli non partecipa direttamente), contribuisce all’occupazione della Romagna, di Parma e di Piacenza, mentre i francesi, decimati se pur vittoriosi a Ravenna, rivalicano le Alpi. Morto lo zio e protettore Giulio II (21 febbraio 1513), il nuovo papa, Leone X, si mostra inizialmente a lui favorevole, confermandolo capitano generale della Chiesa (17 aprile) e duca di Urbino (4 agosto). Due anni dopo, tuttavia, Leone X affida il comando generale dell’esercito al fratello Giuliano e, alla morte di lui (febbr. 1516), al nipote Lorenzo (figlio di Piero, morto nel 1503). Questi sarà poi investito del ducato urbinate, con bolla del 1° settembre 1516: la detronizzazione di Francesco Maria viene giustificata legalmente da una serie di accuse, compreso l’omicidio Alidosi (nonostante la precedente assoluzione).
Attaccato da forze preponderanti, D. R. (che ha già messo in salvo la moglie e il primogenito Guidubaldo) è costretto alla fuga e ripara a Mantova. Qui opera per guadagnarsi simpatie all’interno del collegio cardinalizio. Intanto mette assieme e guida verso il ducato un corpo di spedizione privato (mantovani e soldati spagnoli e guasconi rimasti senza paga) che, per quanto raccogliticcio, trova l’appoggio della popolazione, insofferente del governo mediceo. Mentre Lorenzo è costretto a rinchiudersi a Pesaro, D. R. per circa otto mesi, nel 1517, con mezzi scarsi e improvvisati, imperversa nel territorio pontificio, tra le Marche e l’Umbria settentrionale. L’operazione, propagandisticamente efficace, non può tuttavia protrarsi troppo a lungo, e D. R. accetta un accordo con Leone X: rientrerà dignitosamente a Mantova, avvolto dal prestigio di abile e prode condottiero.
Negli anni successivi, mentre D. R. si sposta a Verona, poi a Venezia, muoiono a breve distanza l’uno dall’altro Lorenzo de’ Medici (4 maggio 1519) e Leone X (1° dic. 1521). Francesco Maria si reca allora a Ferrara, dove assieme ad altri storici nemici del papa defunto (Malatesta e Orazio Baglioni, Camillo Orsini e Pirro Gonzaga) riunisce un piccolo esercito con il quale recupera in breve i propri territori. E al reinsediamento di fatto nel 1522 segue, da parte di Adriano VI, l’investitura del 27 marzo 1523. Si aggiunge, il 7 settembre, da parte della Serenissima, la nomina a governatore generale dell’esercito; è innalzato poi – a riconoscimento della sua valentia – a capitano generale della Repubblica, dopo il costituirsi, del 22 maggio 1526, della lega di Cognac contro l’impero.
È nota la scarsa incisività della condotta militare degli alleati contro gli imperiali, che infine punteranno su Roma mettendola a sacco (maggio 1527); né la Serenissima – ove prevaleva la linea di un cauto attendismo – incitò Francesco Maria a scelte risolutive. Certo è che non sono mancate tra i contemporanei le accuse a D. R. (per es., in Francesco Guicciardini) di avere di proposito evitato di intervenire con decisione, spinto dal desiderio di vendicarsi degli odiati Medici: ma il suo comportamento sembra imputabile a una svalutazione del pericolo (atteggiamento del resto condiviso con Clemente VII), molto più che a proditoria perfidia camuffata da inerte attendismo. Comunque è lo stesso Clemente VII ad assolverlo implicitamente, assegnandogli incarichi e confermandogli gradi (prefetto di Roma); nei capitoli della pace generale conclusa in occasione dell’incoronazione imperiale di Bologna (1530) veniva poi confermata l’investitura del ducato.
Reso omaggio a Napoli all’imperatore, di cui come duca di Sora è feudatario, D. R. si reca quindi in Dalmazia a ispezionarvi e rafforzarvi l’apparato difensivo. Di qui, traghettato a Pesaro, raggiunge Venezia che, aggredita a Cipro da Solimano, sbarcato sull’isola con 24.000 uomini, si collega con il papa e Carlo V. In seguito al repentino abbandono dell’isola da parte dei turchi, la lega, stipulata il 31 gennaio 1537, diventa offensiva; D. R. – con pieno assenso dell’imperatore e del papa, dal quale ultimo, a ogni buon conto, esige garanzia che non sarà molestato sinché impegnato contro la Mezzaluna – ne diventa generalissimo. Iniziano con gran fervore i preparativi per l’offensiva, che però proseguono poi a rilento. La flotta veneta è pronta; ma resta da attendere la comparsa di quella cesarea agli ordini di Andrea Doria. Francesco Maria è impaziente di affrontare il cimento, ma si ammala. Trasportato a Pesaro, vi muore il 20 ottobre 1538.
Bibliografia: Per le fonti e la letteratura critica si veda: G. Benzoni, Della Rovere Francesco Maria I, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 50° vol., Roma 1998, ad vocem.
Mai menzionato nel Principe, D. R. è ricordato due volte nei Discorsi, sempre in relazione alla famosa impresa del 1517 per la riconquista del ducato: citazioni importanti perché adottate come esempi significativi di due tesi, una politico-militare e l’altra più propriamente strategica. In II x 12 l’impresa, ricordata come recentissima («pochi giorni sono»: il passo è uno dei dati oggettivi utili per la datazione dell’opera), vale a dimostrazione della tesi che i denari non sono il «nervo della guerra» perché se così fosse «il Papa e i Fiorentini insieme non arebbono avuta difficoltà in vincere Francesco Maria nipote di papa Iulio II nella guerra di Urbino». L’episodio prova anche (in Discorsi II xxiv 52) l’inutilità delle fortezze, che possono essere «lasciate indietro» (non espugnate) dall’assalitore, senza che ciò impedisca l’occupazione del territorio («come si vede nelle antiche storie e come si vede fece Francesco Maria, il quale ne’ prossimi tempi per assaltare Urbino si lasciò indietro dieci città inimiche sanza alcuno rispetto»).
Menzionato qualche volta – ma in genere senza particolare rilievo – nei dispacci di servizio al tempo delle legazioni al Valentino e alla corte di Roma (1502-03), D. R., divenuto frattanto capitano generale delle truppe veneziane, è una presenza costante nei dispacci che M. inviò agli Otto di pratica tra il 3 febbraio e il 23 aprile 1527, quando il governo fiorentino, preoccupato che la dilatoria condotta militare degli alleati antimperiali mettesse a rischio la Toscana, lo inviò presso il luogotenente papale Francesco Guicciardini.
Il duca è ricordato anche in alcune lettere private che risalgono ai mesi della guerra, tra l’estate del 1526 e la primavera del 1527. La scarsa propensione di D. R. a una guerra decisa è notata da M. in una lettera del 13 luglio 1526, inviata da Marignano a Bartolomeo Cavalcanti: «secondo i suo primi discorsi, e’ non confidava molto nelle suo genti e non si voleva mettere ad alcun ristio». E di «timidità del duca», seppure in un complessivo contesto di incertezza e di debolezza, si parla anche in una lettera del 6 ottobre al medesimo Cavalcanti. D. R. compare infine in una delle ultime lettere di M. (a Francesco Vettori, da Brisighella, il 18 apr. 1527), poche settimane prima dell’esito rovinoso del sacco di Roma; l’accenno a un presunto arrivo delle truppe di Francesco Maria, per attestarsi nei passi tra la Romagna e la Toscana e impedire la discesa verso sud delle truppe imperiali, manifesta un disilluso scetticismo: «sarà un miracolo se il duca di Urbino verrà a Pianoro domani, come pare che il legato di Bologna scriva».