DELLA SALA SPADA, Agostino
Nacque a Calliano (Asti) il 1° maggio 1842, dal cav. Emilio e da donna Caterina Biglione di Viarigi.
La famiglia, originaria di Moncalvo, aveva un tempo il cognome di Bava Bogeri, e aveva assunto quello di Della Sala verso il 1500 per il feudo di Sala del quale fu investita. Solo verso la seconda metà del '700 assunse quello di Spada, per disposizione testamentaria di uno zio Spada.
Il D. studiò dapprima a Calliano, seguito dal latinista Contardo Vecchi; proseguì poi gli studi nel collegio dei padri somaschi di Casale e quindi in quello di Asti. Iscrittosi all'università di Torino, si laureò poi in legge a Genova con l'economista G. Boccardo. Tornato a Torino fece il giornalista, poi fu bibliotecario della corte d'appello, ma non per molto, preferendo stabilirsi a Moncalvo e lì esercitare la libera professione. Al lavoro di avvocato affiancò una intensa partecipazione alla vita locale e in genere all'organizzazione politica ed economica del Monferrato. Riprese anche l'attività di giornalista fondando due periodici d'impronta fortemente satirica e polemica, su posizioni di conservatorismo moraleggiante, La Staffetta e La Formula nuova,e, fin dal 1871, fu fra i collaboratori del giornale casalese Il Monferrato sia come redattore che come difensore in tribunale, nelle non poche occasioni in cui lo spirito battagliero e la vivace satira politica e di costume al giornale attirarono censure e querele.
Il D. intanto aveva acquisito una certa notorietà regionale grazie al romanzo autobiografico La vita (Moncalvo 1872-73), un affresco della Torino studentesca e scapigliata degli anni precedenti il 1860; il romanzo divenne così popolare in Piemonte che se ne trasse spunto per vaudevilles,farse e commedie, anche in vernacolo.
A testimoniare della sua vocazione satirica e della sua partecipazione alla realtà regionale stanno le due commedie in dialetto, Le elession d'Rocatajà,e Pastiss elettorai,che furono messe in scena un po' dappertutto in Piemonte e riscossero grande successo, specie la prima, che si replicò centinaia di volte al Rossini di Torino. Degli usi e costumi delle sue terre il D. non fu solo critico, di volta in volta severo o bonario, ma anche attento studioso. All'interesse per il folklore si deve la raccolta e pubblicazione de Iproverbi monferrini (Torino 1901), trascritti in dialetto e tradotti in italiano, e una quantità di conferenze da lui tenute, come quella sulle "Piccole superstizioni volgari", o l'altra sulle "Costumanze nuziali del Monferrato".
Dalla lettura dei suoi classici preferiti, Tacito, Svetonio e Dione Cassio. trasse ispirazione per i due romanzi storici Mondo antico (Casale 1877-78), e Tuquoque? (Torino 1905), che mostrano la ricca erudizione dell'autore, una non comune capacità di tracciare ambienti e personaggi, e insieme l'intento didascalico di evidenziare la superiorità della civiltà cristiana, colta al suo nascere, sulla pagana. I romanzi ebbero un successo poco più che discreto, ma Mondo antico conquistò una sua tardiva notorietà per la polemica sorta allorché comparve in Italia la traduzione del romanzo di Henryk Sienkiewicz, Quo vadis?.
Il romanzo di Sienkiewicz era comparso a puntate, fra il 1894 e il 1896, sulla Gazeta Polska,giornale polacco a grande tiratura, e il successo era stato immediato e strepitoso: tradotto in russo già nel 1897, e in inglese addirittura nel 1896, comparve poi in francese e in italiano, e via via in una trentina di lingue, vendendo in un solo anno 400.000 copie negli Stati Uniti, 150.000 in Germania, circa 100.000 in Francia. Probabilmente fu soprattutto per la strepitosa fortuna del romanzo (ma anche per la ricca produzione di racconti e di romanzi d'appendice ambientati nella sua Polonia) che Sienkiewicz vinse nel 1905 il premio Nobel per la letteratura, vedendosi preferito dalla giuria a candidati quali L. N. Tolstoj, A. C. Swinburne, R. Kipling, Selma Lageróf, G. Carducci. Nel Quo vadis? il D. riconobbe immediatamente il suo Mondo antico,ed un confronto anche rapido fra le due opere rivela in effetti che il romanzo del polacco somiglia al romanzo del monferrino più di quanto non consenta una generica vicinanza d'ispirazione, e spesso ne ricalca nei minimi dettagli gli avvenimenti, i personaggi, perfino il fraseggio.
Le lunghe polemiche che nacquero da questa "scoperta" non valsero, come è facile immaginare, a mutare il diverso destino dei due romanzi e dei due romanzieri, e il D. dovette limitarsi a premettere alla seconda edizione del suo Mondo antico (Milano 1901) un'ironica prefazione in cui si riproponeva di curare in futuro la propria igiene mentale, e di evitare così quanto era successo ad altri che, convinti di creare, in verità scopiazzavano. Il caso va inserito nel suo contesto, che è quello del romanzo d'appendice della fine del secolo scorso e dei primi del Novecento: su uno spazio vastissimo e in nazioni di lingua diversa, dall'Europa alle Americhe, un'infinità di pubblicazioni periodiche effimere e incontrollabili diffondeva testi redatti quasi industrialmente. In questo contesto appunto si spiega, per esempio, che fosse di moda a Parigi la ricerca dell'opera e dell'autore "saccheggiati" da Sienkiewicz, nel corso della quale furono passati in rassegna i Martiri di F. A. R. Chateaubriand, Acté di A. Dumas padre, Salammbó di G. Flaubert, l'Anticristo di J.-E. Renan, Fabiola di N. P. Wiseman, Gli ultimi giorni di Pompei di E. G. Bulwer-Lytton. In questo contesto la lettera inviata nel 1901 al giornale parigino Le Gaulois da Sienkiewicz appunto per narrare quale fosse la genesi del suo romanzo, frutto di qualche passeggiata romana nel 1894 oltre che della lettura di Tacito, suona come una discolpa; e pure suonano un po' discolpa, e un po' involontaria ironia, altre pagine del Sienkiewiez dedicate alle descrizioni del suo lavoro febbrile ("scrivo presto e senza inciampi..."). E nel medesimo contesto s'inseriscono le altre disavventure editoriali del D., ricordate nell'accorato, quasi patetico volume autobiografico Nella tribolazione (Torino 1914), pubblicato postumo, e in particolare "un'altra pirateria fattami a quel mio povero Mondo antico",che un giornale francese pubblicò, tradotto, a puntate, con il titolo Néron, grand roman historique inédit,attribuendone la paternità a chi ne era semplicemente il traduttore. Rispecchiano dunque un uso tutt'altro che raro, e non solo l'ironico umorismo dell'autore, quelle pagine di Il filodi un romanzo (Milano 1908) nelle quali il D. esorta sarcasticamente un amico a "far ricerca, sui bancucci, di qualche romanzo già pubblicatosi, stampato in un piccolo centro, da un editore oscuro e che sia di un autore modesto e dimenticato; ce ne sono tanti di questi. Tu gli dai forma smagliante, muti i nomi dei personaggi, vi aggiungi qualche episodio, gli poni un titolo suggestivo che non abbia proprio nulla, ma nulla a che fare col libro, e il romanzo è fatto, e correrà trionfante con il tuo nome...". E si terrà presente che, se questo era il contesto, paradossalmente proprio la vicinanza ideologica dei due autori quasi coetanei, entrambi conservatori, cattolici, antipositivisti favoriva e anzi determinava il travaso letterario.
Se ai due romanzi storici il D. dedicò le sue maggiori energie, pure i risultati più interessanti li ottenne in lavori di minore impegno, come quelli su ricordati e in altri romanzi. Il primo, Nel 2073!Sogni di uno stravagante (Moncalvo 1873),unico del genere nella produzione del D., è un romanzo singolare, che trova riscontro fuori d'Italia nelle opere di A. Robida, di J. Verne e, più tardi, di G. Wells, ecc., insomma in quel filone letterario utopico-avveniristico in Italia poco frequentato. Gli altri due romanzi, L'organista di Pontedolce (Torino 1896)e il già citato Ilfilodi un romanzo, entrambi ambientati nel Piemonte di fine Ottocento, sono, sia pure in bilico fra bozzettismo macchiettistico e romanzo d'appendice, perfettamente riusciti.
Paesaggi, personaggi e interni popolari e borghesi sono descritti con affettuosa ironia; le vicende, solide e lineari, hanno quel tanto di prevedibilità da assicurare godimento al lettore, e non vi mancano colpi di scena e agnizione finale secondo le migliori tradizioni del genere. Il tutto è guidato con mano leggera, da una sensibilità attenta alle sfumature, che non permette mai all'autore di scivolare nel sublime plateale. Anzi, nel secondo romanzo, eleggendo a protagonista Marziano Marziani, tipo di superuomo esteta come ce ne erano tanti nella letteratura popolare e non popolare di quegli anni, il D. si diverte a ridicolizzarlo, proponendo un modello di romanzo popolare più delicato, più credibile e, com e ovvio, cristianamente presente al proprio tempo. Il filodi un romanzo è l'ultima opera edita del D., e costituisce una sorta di dichiarazione della sua poetica: vi teorizza un realismo cristiano, di stampo populista e paternalista, e si erge, come gia contro il positivismo, contro l'irrazionalismo allora in voga e contro il decadentismo, di cui sembra intuire le pericolose tendenze antipopolari.
Altri scritti: Una notte al camposanto di Torino: carme,Torino 1865; La torre di Viarigi: versi, Casale 1885; I collimonferrini: versi,ibid. 1885; L'ammonito: romanzo sociale, Casale 1886.
Morì a Moncalvo (Asti) il 18 settembre 1913.
Fonti e Bibl.: A. De Gubernatis, Diz. biogr. degli scrittori contemp.,Firenze 1879, p. 364; L. Torre, Scrittori monferrini,Casale Monferrato 1898, p. 151; A. Albertazzi, Il romanzo,Milano 1902, pp. 242, 307; E. Della Sala Spada, Notizie sulla vita e sulle opere di A. D.,in Riv. di storia, arte e archeol. per le prov. di Alessandria e Asti, L (1942), pp. 123-32; G. Maver, Introd. a H. Sienkiewicz, Quo vadis?, Torino 1964, pp. IX-XXXII; A. Truffa, A. D. nel cinquantenario della morte, Asti 1965.