DELLA SILVA Y RIDO, Paolo
Nacque nel castello di Crevola, nei pressi di Domodossola, l'8 ag. 1691 da Marco Antonio e da Elena Denti.
Il casato era illustre: i Della Silva erano feudatari del vescovo di Novara nell'alta Val d'Ossola fin dal XIII secolo, e i vari rami della famiglia avevano aggiunto al cognome il nome della località dove si erano insediati. Il D. era il quintogenito della famiglia. Aveva tre fratelli (Guglielmo fu arcipresbitero nella collegiata di Domodossola; Antonio si laureò all'università di Pavia) e quattro sorelle. Fu il padre - che visse complicate vicende giudiziarie, condannato due volte in contumacia e altrettante proclamato poi innocente - a spingere il D. agli studi giuridici.
Nel 1724 gli venne offerta la carica di vicario nella curia di Pavia, dove lavorò per due anni. Nel 1726 presentò al Collegio dei nobili giureconsulti di Milano - per ottenerne l'iscrizione - una minuziosa dissertazione sulle origini della propria famiglia. Quando venne istituito il tribunale araldico, vi presentò una erudita relazione sul proprio stemma, approvata, con molti elogi, nel settembre, 1770. Compilò anche alcuni scritti di storia ossolana e, in tarda età, alcuni volumi intorno alle vicende della sua famiglia.
Stabilitosi a Milano, ottenne presto una notevole fama di avvocato civilista. La stessa città di Milano si avvalse dei suoi servizi e il governo austriaco lo nominò conservatore del Patrimonio dello Stato, attribuendogli un congruo stipendio. Ciò non impedì tuttavia al D. di impegnarsi per ottenere - contro il parere della giunta istituita fin dal 1718 dal Carlo VI - l'immunità per la Val d'Ossola dal censimento catastale. Ancora nel 1743, quando Maria Teresa d'Asburgo chiese un rapporto sulle condizioni dell'alto Novarese, il D. e il senatore C. Cavalli, preoccupati di sottrarre il territorio agli obblighi fiscali, fornirono una descrizione che la rappresentava in uno stato di squallore e miseria, con ciò favorendo, con ogni probabilità, la cessione della zona al Piemonte nel 1748.
Il D. aveva sposato la contessa Elena Attendolo Bolognini, vedova del conte Francesco Brivio, che egli aveva assistito - tra l'altro in un'azione giudiziaria contro il suocero per la restituzione della dote. Con questo matrimonio era entrato nella cerchia della migliore nobiltà di Milano e aveva compiuto così un passo decisivo anche per la propria carriera. Al principio del 1742 venne nominato vicario di Provvisione della città. Nel febbraio dello stesso anno perdeva la moglie, ma nove mesi più tardi si risposò con Vittoria dei conti Gavagio della Somaglia, cognata della prima moglie e vedova del conte Innocenzo Bolognini.
Il 12 maggio 1749 il D., che nel marzo era stato nominato avvocato fiscale, sollecitò dal governo la concessione del titolo di conte trasmissibile agli eredi. Nel 1750 fu designato reggente nel Consiglio d'Italia. Abbandonata ormai del tutto l'avvocatura, continuò invece a impegnarsi in arbitrati: diventò famoso quello esercitato nel 1751 nella controversia sorta tra i Comuni di Domodossola e Vigezzo per il pagamento dei dazi sul cuoio. Nel 1755 fu nominato capitano di Giustizia a Cremona, gradino intermedio per giungere al grado senatorio, cui ormai da tempo aspirava. Finalmente, con dispaccio da Vienna del 24 maggio 1756, il D. fu promosso senatore. Subito nominato podestà di Cremona, in questa città portò a termine una ricerca sulla storia delle istituzioni di diritto pubblico in Lombardia.
Rimasto manoscritto, in latino, dedicato forse al cardinale Angelo Durini, il De iure publico Civitatis, et Ducatus Mediolani (Bibl. Ambrosiana, mss., p. 175 e p. 260) fu scritto con l'intenzione di spingere il patriziato - il solo cui spettasse il governo dello Stato, secondo la concezione fortemente conservatrice del D. - allo studio del diritto pubblico. Il volume prende le mosse dall'anno 1162 e giunge fino al XVIII secolo, studiando l'avvicendarsi delle varie magistrature milanesi e le loro trasformazioni.
Nel 1760 il D. fu chiamato a presiedere il Supremo Consiglio di giustizia a Mantova e venne messo a capo della giunta interinale di governo. Sempre nello stesso anno diventò consigliere intimo di Stato dei sovrani d'Austria. Tre anni dopo raggiunse il massimo grado cui un magistrato potesse pervenire: il 25 apr. 1763 fu nominato "Consultore presso il governo generale della Lombardia austriaca" con residenza a Milano. Nel 1764 ricevette poteri assoluti dalla corte di Vienna per risolvere le controversie con la Repubblica di Venezia sulle acque del fiume Tartaro tra Mantova e Verona. Sappiamo che nel 1765 si trovava a Mantova, gravemente ammalato di angina. Nel giugno 1769 con Pietro Verri e altre illustri personalità partecipò ai lavori di una giunta incaricata di trattare affari di economia pubblica e di finanza.
Di lui non si hanno poi notizie fino al 1773, quando chiese un passaporto e commendatizie per potersi recare a Torino a ossequiare il nuovo re Vittorio Amedeo III, sovrano anche di Domodossola nella cui provincia - scriveva - "la mia casa ha le sue origini, suoi fondi e residui di sostanze lasciategli da' suoi maggiori". La licenza gli fu concessa e il ministro Kaunitz aggiunge che a "questo benemerito ministro ... la meditata corsa servirà di qualche respiro".
Nel 1781 il D. venne eletto decurione nella città di Pavia. Si accenna infine a lui nel 1789, in un documento di governo del 20 maggio, come a un magistrato collocato a riposo dopo una vita passata completamente al servizio dello Stato.
Morì, senza eredi, a Milano il 18 maggio 1789.
Nel testamento egli chiedeva che il suo cadavere fosse esposto in abito da penitente ma con un'arma gentilizia della famiglia alla porta della chiesa. Dispose legati testamentari per tutti i luoghi pii su cui aveva un patronato (tre cappelle nella collegiata di Domodossola, una cappella nella chiesa conventuale di S. Francesco, sempre a Domodossola, e una cappella nella parrocchiale di Crevola) o che egli curava, persino per l'immagine della Vergine appesa nell'atrio della Porta Briona che si ricordava di aver guardato quando, a tre anni, colpito dal vaiolo, venne portato da Crevola a Domodossola. Lasciò 4.500 lire ai suoi quattordici servitori e 6.000 lire ai quarantadue poveri cui mensilmente provvedeva un'elemosina. Nominò il conte Giovanni Giacomo Attendolo Bolognini erede dei suoi beni nel Milanese, e don Giovanni Battista Silva Castiglioni e suo figlio eredi dei beni della Val d'Ossola.
Altri suoi inediti si trovano nella Bibl. Galletti di Domodossola, Memorie storiche di Val d'Ossola; Memorie della famiglia Della Silva; e nella Biblioteca universitaria di Pavia, Disordine sua notizia dal 1750 al 1780, cart. 2138; Notes cimmeriae.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Araldica, parte antica, cart. 120; Religione, parte moderna, cart. 2138; Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri dal 1776 al 1797, a cura di E. Greppi-A. Giulini, I, 1, Milano 1923, pp. 104, 360; Famiglie notabili milanesi. Cenni stor. e genealogici, Milano 1875, III, tav. VIII; V. Forcella, Iscriz. delle chiese e degli altri edifici di Milano dal sec. VIII ai giorni nostri, Milano 1890, IV, p. 348; F. Scaciga della Silva, Vite di ossolani ill. con un quadro storico delle eresie, Domodossola 1847, pp. 253-264; G. Bustico, Catal. descrittivo dei manoscritti della Biblioteca Galletti, in Illustr. ossolana, (1910), 7-8, p. 55; Id., Mem. della famiglia Della Silva, ibid.,II (1911), 2-3, pp. 20 s.; N. Bazzetta, Storia della città di Domodossola e dell'Ossola superiore dai primi tempi all'apertura del traforo del Sempione, Gozzano-Omegna-Domodossola 1911, pp. 190 s., 525; A. Visconti, Don P. D. consultore di governo e stor. del diritto, in Arch. stor. lomb., XLIII (1916), I, pp. 199-212; Id., Su alcuni caratteri della politica eccles. del governo austriaco in Lombardia (seconda metà del XVIII sec.), ibid., XLVII (1920), 1, pp. 279-281; A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, XXXIV, Firenze 1926, pp. 159-169.