DELLA TORRE, Francesco, detto Franceschino
Figlio primogenito di Guido di Francesco, fratello quest'ultimo di Napoleone detto Napo signore di Milano, risulta menzionato nelle fonti solamente a partire dal 1302, allorché, in seguito al rivolgimento del 13 giugno che aveva provocato la cacciata dei Visconti da Milano, poté rientrare in città insieme con il padre, il fratello Simone ed altri esponenti della famiglia. Di lì a poco (luglio 1302) fu concordato il suo matrimonio con una nipote di Alberto Scotti, signore di Piacenza e promotore della Lega guelfa. Nello stesso tempo vennero concordate le nozze dello stesso Guido, rimasto vedovo, con una figlia del conte Filippone di Langosco e quelle di Simone con una figlia di Pietro Visconti, al fine di maggiormente corroborare il legame tra i Della Torre e i capi della lega stessa, costituita con precisi intenti antiviscontei e sostenitrice quindi del ritorno della famiglia a Milano e alla gestione del potere.
Dopo un silenzio di alcuni anni, durante i quali il D. visse forse all'ombra della fortuna politica del padre - nominato capitano del Popolo di Milano nel 1307 - nella veste di suo potenziale successore, le notizie su di lui riprendono dal 1308 e si fanno non solo cronologicamente più serrate, ma anche più consistenti e più apprezzabili. Nel maggio 1308 partecipò a fianco del padre all'avanzata guelfa contro Brescia, partigiana dei Visconti. Il D. e Guido penetrarono nel Bresciano e sferrarono l'attacco decisivo contro il nemico, conquistando il castello detto dell'Isola; la loro vittoria indusse Brescia ad aprire trattative di pace con Milano. Nuovamente su incarico paterno il D., accompagnato dal fratello Simone e dal conte di Langosco, al comando di un numeroso esercito, si recò, nel giugno del 1309, in aiuto dei guelfi piacentini che si erano rifugiati a Zavattarello, onde sfuggire alle rappresaglie di Alberto Scotti, il quale, dopo il 1302, con un rapido voltafaccia era diventato filovisconteo e ghibellino ed aveva recuperato il dominio di Piacenza perso nel 1304.
Successivamente (settembre 1309), al pari degli altri componenti il suo gruppo parentale, il D. fu colpito dalla scomunica, - comminata dal legato pontificio su istigazione di Cassone Della Torre - importante risvolto dell'aspro dissidio sorto per rivalità di primato e contrasti di natura patrimoniale tra i due rami principali del casato torriano, facenti appunto capo all'arcivescovo Cassone e a Guido, capitano del Popolo a vita. Eletto podestà di Monza nel 1310, il D. continuò a risiedere a Milano e fu, inoltre, interessato in prima persona a quanto accadde nella città lombarda durante il soggiorno di Enrico VII. Proprio nel febbraio del 1311, a meno di due mesi dall'entrata dello stesso Enrico in Milano, si verificò l'episodio, reso famoso dal racconto particolareggiato del cronista sincrono Giovanni da Cermentate, dell'incontro privato fra il D. ed il figlio di Matteo Visconti, Galeazzo: un episodio che portò ad un drastico mutamento dell'esistenza del giovane Della Torre.
Premessa al fatto era stato il malcontento che serpeggiava nella metropoli ambrosiana per alcune decisioni del monarca tedesco, soprattutto per quella, anche finanziariamente onerosa, di farsi accompagnare nel suo viaggio a Roma, programmato per accelerare i tempi dell'incoronazione imperiale, da ostaggi di entrambe le parti in lotta, tra i quali figuravano ovviamente il D. e Guido insieme con Matteo e Galeazzo Visconti, precedentemente richiamati in patria dall'esilio. Tutto ciò avrebbe indotto i due giovani figli dei capi fazione ad un abboccamento segreto fuori porta Ticinese, forse per ordire una congiura contro il sovrano straniero. A quanto pare, il colloquio soddisfece le aspettative del D., ma la reazione di Enrico VII, subito informato, fu immediata, poiché il giorno successivo (12 febbraio) i suoi stipendiari a cavallo perquisirono le case dei Visconti, che mantennero un atteggiamento tranquillo, e dei Torriani, i quali invece si armarono. Il D. e suo fratello Simone, riunito un gruppo di fedeli presso i Guasti Torriani (quelli del 1277) non furono però in grado di fronteggiare gli uomini del maresciallo Enrico di Fiandra e dovettero darsi alla fuga attraverso la pusterla di S. Marco alla volta di Montorfano.
Bandito come ribelle - e la sentenza di proscrizione fu irrevocabilmente confermata dopo l'insurrezione cremonese dell'inizio del 1312 - il D. si adoperò con energia, dal caposaldo comasco, per coordinare e rendere più incisiva la lotta contro la parte avversa. Dal castello di Montorfano si recò, verso la metà del 1312, a Cremona, al capezzale del padre morente; indi prese contatti con il re Roberto d'Angiò, con il quale concluse a Pavia, il 5 novembre, un trattato di alleanza. Non a caso la convenzione, dove re Roberto fu rappresentato dal senescalco di Piemonte Hugues de Baux, fu tenuta a Pavia: nella città, retta dal guelfo conte di Langosco, si erano stabiliti non solo il D., ma anche tutto lo stato maggiore della esiliata fazione torriana, facendone una importante e agguerrita roccaforte guelfa durante tutto il 1313. Essendo necessaria la ratifica del trattato da parte di Roberto d'Angiò prima della Pasqua (1313), il D. e Bonifacio Fara partirono per Napoli.
Con la morte improvvisa di Arrigo VII (24 ag. 1313), la minaccia angioino-torriana si fece più pressante e si espresse nel tentativo del D. di riconquistare Milano. L'attacco fu da lui organizzato dalla base pavese nel mese di settembre (1313), in collaborazione con il senescalco di Provenza Tommaso Marzano, conte di Squillace. Il D. riuscì ad aver ragione delle incertezze e indecisioni del Marzano e a dare inizio alle operazioni militari nel 1314. Le milizie regie e guelfe avanzarono su Abbiategrasso - in questi pressi il D. fece prigioniero il conte di Saarbrück -, su Albairate e misero il campo a Legnano. Ma proprio in prossimità della meta, e sebbene l'effettivo torriano fosse stato ingrossato dall'afflusso di molti rurali, il Marzano non si sentì di attaccare Milano e decise la ritirata verso Pavia, con grande sdegno del D. che ebbe con lui un diverbio piuttosto vivace. Altrettanta indignazione pervase la popolazione pavese, la quale avrebbe senz'altro massacrato il senescalco se questi non fosse stato salvato dallo stesso Della Torre.
L'anno successivo Pavia venne conquistata dai Visconti e il D. fu costretto a fuggire. Si rifugiò prima presso Roberto d'Angiò e si mise al suo servizio; combatté all'assedio di Genova e andò come ambasciatore angioino presso Cangrande Della Scala, per convincerlo (ma tutto fu inutile) ad aderire alla causa guelfa. In seguito - nel 1318 e forse anche prima - il D. raggiunse il gruppo parentale che viveva in Friuli: compare infatti come testimone in due atti riguardanti Pagano Della Torre, vescovo di Padova e amministratore del patriarcato di Aquileia, il primo redatto a Venezia nel dicembre 1318 e il secondo a Cividale il 5 luglio 1319. Nell'agosto successivo fu nominato marchese d'Istria da Pagano Della Torre.
Dall'atto con cui il 25 maggio 1319 il D. acquistò terre in Friuli "pro augumento dotis" della cugina (o nipote) Beatrice, moglie del conte di Gorizia e Tirolo (Bianchi, doc. 141), si può dedurre la volontà, sua e della famiglia, di inserirsi nei quadri della nobiltà friulana tramite la politica matrimoniale. Ad ogni modo il D. non dimenticò la causa per cui aveva combattuto in passato; non mancò infatti di consolidare le vecchie alleanze, dando in sposa una figlia a Simone da Correggio, figlio di Giberto signore di Parma, il 2 sett. 1319. E nel 1323 accompagnò Pagano Della Torre, ora patriarca di Aquileia, a Monza, quartier generale del legato pontificio mentre era in atto la crociata di Giovanni XXII contro i Visconti.
Il D. partecipò alle operazioni di guerra condotte dal comandante angioino Raimondo di Cardona e alla disastrosa battaglia di Vaprio (28 febbr. 1324), nella quale perse il fratello Simone annegato nell'Adda. Da questo momento non si hanno più sue notizie.
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