DELLE PIANE (Dalle Piane), Giovanni Maria, detto il Mulinaretto
Nacque a Genova nel 1660 da Gio. Battista "esperto schermidore" (Ratti, 1769, p.146): "dall'Avolo suo, nativo di Pegli", mugnaio, ebbe il soprannome di Mulinaretto. All'età di dieci anni iniziò a frequentare la bottega di G. B. Merano. Secondo il biografo settecentesco, C. G. Ratti, - che si mostra particolarmente documentato sull'opera del D. - vi rimase fino all'età di sedici anni (1676) quando si trasferì a Roma, presso G. B. Gaulli detto il Baciccio, che "per lungo spazio di tempo sel tenne in casa, qual proprio figliolo" (Ratti, p.147).
Nell'importante bottega romana il D., sotto la guida del Gaulli, si esercitò su opere di grandi maestri: Giulio Romano, Annibale Carracci, Guido Reni e il Domenichino, traendone copie che il Ratti poté vedere in casa Gaulli. Ancora presso il Gaulli sviluppò il "franco possesso di trasportare esattamente in tela le più delicate e difficili fisonomie" (Ratti, pp. 147 s.), mostrando particolari inclinazioni di ritrattista.
Non casualmente il D. decise il ritorno a Genova nel 1684, un anno dopo la morte di C. B. Carbone, erede della tradizione ritrattistica genovese della prima metà del XVII secolo. Subito l'aristocrazia locale riconobbe nel D. un ritrattista sensibile alle necessità celebrative del tempo, capace di adeguarsi alle nuove mode, vestendo "quelle sue figure con drappi maestosi ed eleganti", cogliendole in "certe nuove, e spiritose movenze" (Ratti, p. 148).
Nel 1695, su invito dei conte Morando, compì un primo viaggio a Parma, città dove era stato recentemente attivo il suo primo maestro G. B. Merano. Trovò committenti sia nelle città farnesiane sia in Genova e, fra Emilia e Liguria, si spostò eseguendo ritratti e opere di carattere sacro. Ancora il Ratti lo testimonia presente a Parma nel 1698; nel 1705 il cardinale G. Alberoni, inviato del duca Francesco, incaricò l'artista, che sembra risiedesse in quel momento a Piacenza, di ritrarre il duca di Vendôme, comandante delle truppe franco-spagnole (Rossi, 1938, pp. 12 ss.).
Nel 1706 il D. era ancora a Parma impegnato a ritrarre il duca Francesco, la duchessa Dorotea e la principessa Elisabetta Farnese giovinetta, due anni dopo a Milano eseguì il ritratto di Elisabetta Cristina di Wolfenbüttel (Ratti, p. 151) e a Milano ritornò successivamente più volte. Nel 1709 ritrasse il principe Antonio Farnese e già da quell'anno - secondo il Ratti - venne nominato pittore di corte e si trasferì a Parma, da dove - come anche in seguito - ritornò a Genova per numerose occasioni di lavoro. Il 21 apr. 1715 il D. "venne ai servigi della Duchessa Farnese con stipendio di L. 165, tavola e generi in natura" (Archivio di Stato di Parma, Ruolo 1713-23, c. 312) ed era ancora titolare di una provvigione nel 1734 (Scarabelli Zuriti). Tra il 1714 e il 1715 ritrasse la principessa Elisabetta in occasione delle nozze con Filippo V di Spagna; dal 1715 risiedeva stabilmente con la famiglia a Piacenza (cfr. Fiori, 1970, p. 95), dove rimase fino al 1737 e dove, nel 1730, morì sua moglie Benedetta Passatori.
Nel 1719 fu invitato a recarsi in Spagna, probabilmente da Elisabetta Farnese, che lo considerava suo ritrattista di fiducia, ma il viaggio non fu mai intrapreso. Già vecchio, nel 1737, affrontò una lunga trasferta fino a Napoli, dove si trattenne alcuni anni alla corte del giovane re Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta, già duca di Parma. Pittore di camera (Urrea Fernandez, 1977, p. 433), fu impegnato a ritrarre il re Carlo e sua moglie Maria Amalia di Sassonia, Proprio in quegli anni (1737) due "ritratti di femmine" del D. furono presentati all'esposizione fiorentina dell'Accademia del disegno (F. Borroni Salvadori, Le esposiz. d'arte a Firenze dal 1674 al 1767, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Inst. in Florenz, XVIII[1974], p. 110).
Nel 1741 il D. stesso consigliò come nuovo pittore di corte Clemente Ruta, da lui conosciuto a Parma e, nel giugno dello stesso anno, lasciò Napoli per Genova. A Genova ancora dipinse ritratti per la nobiltà locale e infine, nel 1744, si ritirò a Monticelli d'Ongina, nel Piacentino, dove morì il 28 giugno 1745.
L'opera del D., attivo per oltre sessant'anni, fu estremamente ricca. Se non molto rimane della pur interessante produzione religiosa, numerosissimi al contrario risultano i ritratti a lui attribuiti, specie in collezioni private, o segnalati sul mercato antiquario.
Secondo il Ratti a Genova erano poche "le case civili" (Ratti, p. 149) che non rivendicassero almeno un ritratto del Delle Piane. La vastissima produzione riferitagli è anche dovuta all'attività della sua bottega, coadiuvato com'era da pittori di diversa qualità e competenza, coma Carlo Antonio Durante, specializzato "nel vestire qualsivoglia figura" (Ratti, p.153), Giovanni Battista Grondona, Giovanni Andrea Delle Piane, probabilmente suo parente, e altri ancora che pur non appartenendo alla sua bottega si rifacevano alle caratteristiche di quella produzione di successo.
Le prime opere del D. si devono inserire ancora in quel filone tipico della ritrattistica genovese che dal Carbone risale al Van Dyck: il ritratto del Doge Pietro Durazzo (Genova, Galleria nazionale di palazzo Spinola, cfr. Galleria naz. di Palazzo Spinola, Intervento di restauro, Quad. 2, Genova 1980, pp.55, 60) è condotto con robusta incisività nel volto e con esuberanza decorativa nel ricchissimo panneggio. Così pure quello di Gian Battista Cattaneo (1691-93, Genova, collezione Società Levante assicurazioni), dove il D. inserisce, in una sfarzosa scenografia, la consueta iconografia dogale. Il contemporaneo dipinto raffigurante probabilmente la moglie del doge Cattaneo, Maddalena Gentile con una figlia (Genova, ibid.), offre ancora un'impostazione alla maniera del Van Dyck e un'attenzione minuziosa per gli attributi di casta del soggetto rappresentato. Sullo scorcio del secolo si colloca una serie di ritratti dai quali emerge la sua capacità di rinnovare la tradizione ritrattistica locale.
I ritratti di Giacomo Filippo II Durazzo e di Barbara Durazzo Balbi (Genova, coll. Durazzo Pallavicini), riferibili, alla metà degli anni '90, sono piacevoli invenzioni in cui sotto le spoglie di Diana e di un baldo cacciatore, si celano i giovani sposi: la soluzione adottata, la fusione di mondanità e allegoria, rimandano in questo caso all'ambiente francese, forse mediato anche attraverso la corte sabauda, e dimostrano la sensibilità "moderna" del pittore. Nel suo orientamento verso la contemporanea ritrattistica francese certo risultò fondamentale l'indicazione della committenza genovese, della classe dirigente di una città per la quale il bombardamento della flotta di Luigi XIV nel 1684 - coincidente, secondo le fonti, con il giorno dell'arrivo del D. a Genova, - aveva definitivamente sancito il passaggio nell'orbita d'influenza della monarchia transalpina. In questa linea scelta dal D. - comunque più sensibile alle soluzioni di moda, di gusto, dei pittori francesi contemporanei che a una meditazione sul loro fare pittorico - si inseriscono anche il Ritratto di Clemente Doria (Montaldeo, raccolta Doria) e il Ritratto di gentiluomo con corazza di palazzo Rosso a Genova.
Ormai nei primi anni del secolo XVIII si collocano altri ritratti eseguiti per i Doria a Genova (Montaldeo, raccolta Doria): nel Ritratto di Teresa Doria Gentile si vengono a concretizzare quei caratteri di esuberante fierezza, di ammiccante consapevolezza che definiranno il "tipo" femminile dei ritratti del Delle Piane. Estremamente sontuoso risulta il Ritratto del marchese Gaetano Carlo Maria Anguissola (coll. priv.; cfr. Godi, 1973, p. 90), datato al 1705, eseguito durante una delle sue trasferte in Emilia.
Nel secondo decennio del secolo il riferimento a H. Rigaud in particolare e a N. de Largillière, molte opere dei quali erano ormai giunte a Genova, diviene estremamente evidente in alcuni ritratti provenienti da collezioni private, per i quali si rimanda agli scritti del Bonzi (1933, 1939, 1962). Ma la soluzione che il D. sembra trovare in una serie di opere databili dopo il 1716, incanala i suoi diversi riferimenti culturali verso una interpretazione più personale e specifica: nel Ritratto di dama inazzurro (Genova, coll. priv.; cfr. Bonzi, 1962, p. 28) il "tipo" ritrattistico individuato dal D. si carica di una vivacità quasi arguta, come nel Ritratto di Annetta Scotti (1718; già Pieve Ligure, coll. priv.; cfr. Bonzi, 1933, p.906), una maggiore fisicità, una tendenza al realismo che viene a contrastare con certi modelli francesi sono evidenti nel Ritratto digentiluomo in abito scarlatto (Genova, palazzo Bianco), probabilmente assai vicino, anche cronologicamente, al Ritratto del conte Gian Angelo Gazzola (Piacenza, Istituto Gazzola). In particolare, per il ritratto di palazzo Bianco è stata citata come riferimento l'opera di V. Ghislandi che certo il D. aveva potuto vedere nei suoi viaggi a Milano. Ancora in opere posteriori, come il Ritratto di Claudia Belli Tassi (Genova, coll. priv.), datato 1720, o in quello più tardo del Conte Felice Gazzola (Piacenza, Istituto Gazzola; cfr. Arte e pietà ... [catal.], Piacenza 1981, p. 106), il D. si mostra estremamente efficace nell'esaltare quelle componenti - uno sguardo ammiccante, un sorriso ironico - che animano immagini altrimenti stereotipe.
Infine, in due opere databili intorno al 1730, il Ritratto del cardinale Alberoni (Piacenzal collegio Alberoni) e Ritratto di prelato (Piacenza, coll. priv.; cfr. Bonzi, 1933, p. 906), nei due volti di uomini maturi - al di là dei condizionamenti della moda - sembra riemergere l'esperienza dell'ormai lontano alunnato presso il Gaulli.
Il D. risulta certo più condizionato nella sua posizione di pittore di corte: adotta facili soluzioni di effetto nel Ritratto del principe Francesco Farnese a cavallo (Segovia, Palacio de la Granja de S. Ildefonso, e in dimensioni ridotte, Parma, Museo civico); si dimostra abile cortigiano nel fortunatissimo Ritratto di Elisabetta Farnese (174-15), del quale esistono numerose repliche (La Coruña, Museo provincial; Parma, Museo civico; Piacenza, collegio Alberoni). Assai deboli, sia per il peso degli anni sia per la difficoltà del soggetto, risultano i ritratti di Carlo di Borbone in abito da caccia (1737; Napoli, Capodimonte) e ancora a figura intera nell'iconografia che diverrà quella ufficiale del sovrano (1738; Segovia, Palacio de la Granja).
Un capitolo a parte costituisce la produzione di tele di soggetto sacro dove il D. si mostra incondizionatamente fedele alla sua formazione romana. Così nell'Angelocustode della chiesa di Nostra Signora di Loreto a Genova è evidente la citazione dal Gaulli e nella Vergine con Bambino e s. Gaetano a Bacezza (Chiavari) la solida composizione ha diretti riferimenti a opere del Maratta e ancora del Gaulli.
Tra le poche opere di soggetto sacro rintracciate si devono ancora porre la S. Francesca Romana in gloria (Piacenza, S. Antonino), la tela raffigurante S. Giovanni della Croce (Piacenza, convento delle monache carmelitane scalze) e infine L'Annunciazione nella cappella palatina di Colorno.
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