DÈMONI
Creazione filosofica più che oggetto di un culto reale e popolare il dèmone (δαίμων) ha nella poesia e nella filosofia greca, e di riflesso in quella romana, molteplicità di significazioni e di aspetti, che non sempre hanno riscontro in una ben definita tipologia artistica sotto la comune denominazione di d., ma piuttosto son noti singolarmente con nomi e attribuzioni proprie e ben definite.
Tale è il caso di quelle personificazioni di divinità minori, ausiliari e ministre di quelle maggiori, che furono per i Greci i δαίμονες πρόπολοι, quali i Coribanti, le Stagioni, le Parche, le Grazie, le Muse, le Erinni e numerose personificazioni del corteggio bacchico (sileni, satiri, menadi, ecc.) e dei culti mistici. Quale contrapposto maschile della Tyche o Fortuna il δαίμων, nel senso sia di destino individuale sia di influenza divina sui destini umani, fu noto come Agathodàimon (᾿Αγαϑοδαίμων, v.), Bonus Eventus per i Romani, ed ebbe una sua iconografia ben distinta, che si può far risalire a creazioni celebri quali quella di Euphranor in Elide (Plin., Nat. hist., xxxiv, 77) che aveva nella destra una coppa e nella sinistra un mazzo di papaveri e spighe (in altra versione dello stesso autore aveva invece la cornucopia) o quella del Bonus Eventus che insieme alla Bona Fortuna, si ammiravano sul Campidoglio, secondo la notizia pliniana (Nat. hist., xxxvi, 23).
Nel campo puramente filosofico e letterario resta confinato il demone personale, che guida ciascun uomo nelle sue azioni e lo accompagna attraverso la vita e può trovar riscontro nella lasa etrusca e nel genius dei Romani (v. genio); mentre il concetto greco dei d., anime dei morti divinizzate o eroizzate, trova riscontro nei Mani e nei Lari (v.) che hanno una propria iconografia ben definita.
L'unica categoria di d., che abbia, come tale, una sua fisionomia artistica sotto un comune denominatore è quella dei d. sotterranei, sia benefici (e tra questi vanno annoverati Thanatos e Hypnos) sia malefici. Questi ultimi, sia per aspetto sia per mansioni (tormentano le anime dei malvagi, appaiono a predire future sciagure) rispondono alla moderna accezione comune del termine. Ambedue le categorie di questi d. sotterranei sono alate, ma mentre i genî benefici hanno l'aspetto di giovani efebi dalle belle fattezze velate di malinconia (tali ci appaiono i d. alati che pietosamente compongono un defunto nella tomba in una lèkythos attica), quelli malefici sono orridi e spaventosi. Presso gli Etruschi una rappresentazione di d. benefico è la lasa (v.), che assume l'aspetto di una nobile figura femminile alata in lunghe vesti, che talora impugna una fiaccola, altra volta, forse per attrazione con le Erinni o con i d. malefici, dei serpenti.
Anche per i d. malvagi la più ricca documentazione iconografica ci è tramandata dalle pitture, dai rilievi, dalle maschere fittili etrusche; infatti per il mondo greco nelle rappresentazioni degli Inferi che conosciamo dalla pittura vascolare sono generalmente le Furie (alate e con serpenti tra i capelli) che hanno l'ufficio di tormentatrici dei grandi peccatori. Sappiamo peraltro che nelle composizioni di taluni grandi pittori comparivano d. d'aspetto spaventoso come, ad esempio, Eurynomos divoratore di cadaveri, alato, soffuso il corpo di una tinta nera, rappresentato da Polignoto nella Lesche di Delfi (Paus., x, 28, 7). Una eco di questa produzione perduta l'abbiamo conservata, probabilmente, come si è accennato, nelle rappresentazioni etrusche: becchi adunchi in luogo di nasi, orecchie ferme, occhi sbarrati, chiome scarmigliate da cui sbucano serpenti (come nel Tuchulcha della Tomba dell'Orco a Tarquinia) bocche ghignanti e zannute, serpi guizzanti dalla persona o che annodano le vesti, fiaccole tormentatrici o pesanti magli, arma, questa, tipica di Charun (v. caronte), il genio etrusco della morte, sono le caratteristiche di queste creature infernali alla cui ripugnante e grottesca bruttezza aggiunge orrore la tinta scura del corpo, che giustifica la definizione di dii atri coloris data per i d. infernali da Plinio (Nat. hist., x, 25).
Bibl.: Sybel, in Roscher, I, s. v. Daimon; J. A. Hild, in Dict. Ant., II, 1892, s. v. Daemon; Waser, in Pauly-Wissowa, IV, 1901, s. v. Daimon. V. inoltre sotto le singole voci.