DENARO (lat. denarius)
Il denaro fu l'unità monetaria presso i Romani; per la sua bontà, incontrò largo favore anche nei popoli confinanti dell'Impero. Il nome rivisse poi nel Medioevo (fr. dénier), dopo la riforma monetaria di Carlomagno (v. appresso); attraverso il bizantino δηνάριον, passò nel mondo arabo-persiano (dinar). Al bizantino risale anche il serbo dinar ora nome dell'unità monetaria iugoslava. V. dinar.
Denaro romano (denarius, denarius nummus). - Moneta romana, equivalente in origine a 10 assi e 2 1/2 sesterzî, emessa per la prima volta sotto forma di moneta d'argento nel 269 a. C., e contrassegnata col numerale X. Prima del 269 lo sviluppo dell'economia della Repubblica romana fa supporre che l'oro e l'argento tesaurizzato servissero come mezzi di scambio, specie nei rapporti con gli altri paesi del Mediterraneo. Il denaro più antico pesa circa 4 scrupoli, dopo la battaglia del Trasimeno (217) è ridotto a 1/84 di libbra, per discendere poi al tempo di Nerone a 1/96 di libbra (3 scrupoli). Il denaro romano fu emesso originariamente su un piede che dava un rapporto di 240 fra l'argento e il rame dell'atrientale, che dura sino al 241, e da questo anno discende a 140; nel 217 il denaro di 1/84 di libbra è ragguagliato a 16 assi unciali, pari a 2 quinarî e a 4 sesterzî, cioè il rapporto diventa di 112. Il contrassegno dell'asse sino all'89 rimane tuttavia tanto l'antico X quanto il nuovo XVI. Con le successive riduzioni del peso dell'asse, il rapporto argento-rame monetato si va abbassando da un rapporto di 120 a un rapporto di 60 fissato dalla lex Plautia dell'89.
La moneta romana fu coniata sotto la vigilanza di tresviri aere argento auro flando feriundo. La coniazione di un'unità monetaria di 10 assi a Roma deriva certamente dalla coniazione dei nòmoi sicelioti e italioti, divisi, anche essi, in 10 λίτραι: divisione imitata poi dagli Etruschi. La storia del denaro romano, con le sue riduzioni di peso e i suoi ragguagli in assi, presenta notevoli analogie con quella della moneta d'argento siceliota, italiota ed etrusca. Il denaro romano si mantiene di buona lega sino ai primi due secoli dell'Impero. I denari foderati che circolano nell'età repubblicana sono relativamente rari. All'età dì Nerone i denari conservavano il 90% d'argento, al tempo di Antonino Pio l'80%, sotto Settimio Severo il 70% per scendere poi negli ultimi anni di questo imperatore al 50%. Sotto Caracalla s'inizia la coniazione dell'antoniniano (v.) in argento che corrisponde a 5 assi o a 1/4 denari. La circolazione del denaro romano sostituito dall'antoniniano cessa praticamente alla metà del sec. III. Il denaro di 3 scrupoli d'argento sparisce dalla circolazione. Il denaro diventa allora una moneta di conto per cui il rapporto fra l'aureo e il denario va aumentando rapidamente, sino a passare dalla parità 1 aureo = 25 denari a 1 aureo di 1/60 di libbra = 833 1/3 denari, nell'editto di Diocleziano nel 301; a 1 aureo = 2000 denari nel 307; a 7200 denaii o nummi nel 445. L'inflazione in Egitto prende un'altra piega per cui si giunge nel sec. VI a corsi dell'aureo oscillanti fra le 4000 e le 7200 miriadi di denari. Nei paesi vandalici, invece, il corso del solido, fra il sec. V e il VI, avrebbe come limite massimo circa 2000 denari.
Il denaro, nella seconda metà del sec. III, diventa una moneta divisionale dell'antoniniano e poi del follis di rame argentato. Antoniniano e follis tendono ad avere una quotazione in denari, moneta di conto, sempre più elevata, per cui sono vani i tentativi d'identificare il denaro di rame argentato con una qualunque moneta determinata. Nell'età bizantina è coniato un denaro, specie presso i Galli, del peso nominale di 1/20 d'oncia (gr. 1,36) che è poi quello che nella lex Salica corrisponde a 1/40 di solido. Molto probabilmente ad esso si riconnette la moneta d'argento coniata di Giustiniano col contrassegno del valore di 250 nummi.
Bibl.: Th. Mommsen, Geschichte d. röm. Münzwesen, Lipsia 1863, passim; F. Babelon, Monnaies de la République romaine, Parigi 1885-86; F. Hultsch, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V, coll. 202-215; A. Segrè, Metrologia, Bologna 1928, p. 330 segg.
Tipi e leggende. - Tipi costanti del più antico denaro della Repubblica romana, che dominarono da soli per più di mezzo secolo la monetazione argentea di Roma, sono la testa di Roma di profilo a destra, coperta d'elmo attico alato e ornato d'un grifo, e i Dioscuri al galoppo. Nel corso del sec. II, e poi sempre più frequentemente nel primo secolo a. C., prendono posto sul diritto numerose altre effigi di divinità, di eroi, di genî, personificazioni di città e di regioni, ed effigi-ritratto di personalità leggendarie o storiche (Romolo, Numa, Anco Marcio, Bruto, Domizio Enobarbo, ecc.), cosicché l'effige di Roma finisce per sparire definitivamente dal denaro dopo i primi decennî del primo secolo a. C. Nel contempo sul rovescio, sul finire del sec. III e nei secoli seguenti, ai Dioscuri si vengono sostituendo bighe e quadrighe di divinità varie, e quindi tipi speciali, spesso di difficile e incerta interpretazione, cioè divinità e loro simboli, scene di sacrifizio e di battaglie, monumenti e costruzioni varie, animali reali o fantastici, infine le più varie scene che si riconnettono ai fasti, storici o leggendarî, delle famiglie del monetario o di chi firma in sua vece la moneta. In un ultimo stadio evolutivo, con Silla e Pompeo, poi con Cesare e i Triumviri, sul denaro, come sull'oro contemporaneo, sono celebrate da tipi speciali le gesta di coloro i cui ritratti compaiono sul diritto degli stessi pezzi. Nell'Impero tutto il denaro d'argento, che in numero enorme venne coniato fino al sec. III, come l'oro e il bronzo, porta al dritto l'effige dell'imperatore regnante, o di altro membro della sua famiglia cui viene elargito il diritto di effige, mentre al rovescio prende posto quella svariatissima e numerosissima serie di figurazioni che si riferiscono alla persona dell'imperatore, ai fasti della sua casa e del suo regno, alle gesta dell'esercito, alle cerimonie religiose, ecc., onde emerge l'alto valore iconografico, storico e documentario della ricchissima serie monetaria per la storia dell'Impero.
Evoluzione parallela a quella del tipo percorre la leggenda. Al principio del sec. III a. C. sul primitivo denaro è inscritto il solo nome di Roma, della città sovrana che conia il denaro ed è sede della zecca. Poi si vengono aggiungendo monogrammi che distinguono le emissioni, e nei quali affiora un nome, quello del monetario che ha la responsabilità dell'emissione stessa. Questo nome, sempre meno abbreviato, prende maggior posto, sinché domina sul pezzo accanto al tipo commemorativo, e alle poche leggende esplicative del tipo stesso. Così si è potuta costituire la lunga lista dei funzionarî della zecca della repubblica appartenenti a tutte le più varie famiglie di Roma; si è letto inoltre il nome di questori urbani, di edili, di pretori, ai quali, in determinati momenti straordinarî e per straordinarie ragioni, venne affidata l'emissione della moneta. Sulle serie dell'ultimo secolo della Repubblica, che vengono designate col nome di serie imperatorie, perché coniate dai generali degli eserciti romani - imperatores - per lo più fuori di Roma, è il nome di questi generali, Silla, Pompeo, Cesare, Ottavio e dei triumviri Lepido e Antonio, ecc., insieme con quello dei loro questori e proquestori, legati, ecc.; onde tale nomenclatura viene a reintegrare i fasti di questo agitato periodo della storia di Roma. Il denaro dell'Impero, come l'aureo di cui imita i tipi (v. tavole alla voce aureo), porta costantemente al dritto il nome dell'imperatore, i suoi titoli, le sue magistrature, le acclamazioni, ecc., e al rovescio una leggenda che reintegra quella del dritto, ovvero illustra il tipo stesso, sia esso una divinità o un monumento, raffiguri un episodio bellico o una funzione religiosa, ecc.
Bibl.: L. Cesano, Denarius, in E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico s. v.; id., La effige di Roma sulle monete romane, in Roma, VI (1928); id., I Dioscuri sulle monete antiche, in Bollett. Commiss. arch. com. di Roma, 1927.
Denaro carolingio. - Fu questa la sola moneta effettiva, che ebbe corso per qualche secolo, dopo che Carlomagno nella sua riforma m0netaria (794?) stabilì un sistema ponderale per cui una libbra d'argento si considerava composta di 20 parti chiamate soldi, ognuna delle quali era a sua volta divisa in 12 denari. La libbra o lira (v.) e il soldo (v.) rimasero allora monete ideali e di conto, e il solo denaro divenne effettivo. Si vuole che la denominazione derivasse dai Merovingi, presso i quali la consuetudine dei vecchi denari romani finì per dare quel nome alle monete d'argento da loro coniate, delle quali ai tempi di Pipino 12 equivalevano a un soldo. All'epoca della sua istituzione, il denaro consisteva in un pezzo d'argento di peso uguale a 1/240 della libbra, peso che andò sempre diminuendo per l'accrescersi del valore dell'argento, tanto che tre secoli dopo era ridotto appena a un terzo. I comuni e i principi italiani che cominciarono a coniare moneta, pure basandosi sulla divisione carolingia di lire, soldi e denari, non adottarono la stessa misura di peso perché ciò era vietato dalle concessioni imperiali e anche per la diversità delle libbre locali. Di qui la grande varietà di sistemi ponderali di lire e di denari. I bisogni crescenti del traffico resero necessaria la creazione di un'altra moneta più pesante e più comoda da maneggiare, che si disse denaro grosso, equivalente in genere a 12 degli altri, che da allora vennero chiamati piccoli, e con la quale veniva ad essere reso effettivo il soldo ideale: questo a sua volta divenne la 240ª parte della nuova lira di grossi. Il denaro si riduceva a proporzioni microscopiche, sebbene si facesse anche di rame puro, finché scomparve del tutto dalla circolazione, sostituito dai multipli di esso, specialmente dal quattrino (v.), e divenne moneta di conto che serviva a ridurre in lire le monete d'argento di mistura e di rame che si vennero fabbricando.
I varî nomi che prese il denaro derivano dall'autorità emittente, come imperiali, papali, marchesini; dai luoghi: agontano, bolognino, cagliarese, fiorentino, genovino, lucchese o lucano, milanese, pavese, veneziano, veronese ecc.; dalla forma: copoludi, larghi, planeti, scodellati; dal colore: albi, bianchi, bruneti; dalle impronte: aquilini, crociati, fiorini; dagli usi locali: bagattino, denarello, grano, pizolo; dagli zecchieri: gherardino. Nei primi tempi, quando il denaro era più pesante, si fece il mezzo denaro, detto obolo e medaglia (v. tavv. CLXV e CLXVI).
Bibl.: E. Martinori, La moneta ecc., Roma 1915, pp. 96-106.