DENTE (dal lat. dens, dentis; fr. dent; sp. diente; ted. zahn; ingl. tooth)
I denti sono organi peculiari degli animali Vertebrati Gnatostomi, con la bocca cioè provvista di mascelle; offrono grande varietà di caratteri minori, mentre in tutte le classi mantengono una sola linea di sviluppo e di struttura.
Anatomia comparata.
Nei pesci inferiori a scheletro cartilagineo, i denti compaiono e si affermano come una potente arma d'offesa e di presa degli alimenti, e si connettono per stretta parentela alle squamme o organi placoidi del tegumento, detti anche dentelli cutanei. (Lo zigrino è pelle di pescecane, e la sua asperità è data dai minuti dentelli predetti). Ogni dentello placoide è originato da elementi cellulari dei due strati del tegumento, dell'epidermide, ectodermale, e del sottostante derma, mesenchimale. Nel derma s'inizia la formazione d'una papilla (fig. 2) che si solleva tosto verso l'epidermide, mentre le sue cellule, accrescentisi di volume e di numero, nello strato a contatto con l'epidermide si mostrano a caratteri differenziati, disposte in una serie regolare a costituire quasi una membrana, la quale acquista la capacità di elaborare alla sua superficie esterna una sostanza del tutto simile all'avorio, la dentina, che costituirà la parte maggiore del dentello. Mentre detta membrana dell'avorio o strato degli odontoblasti (così si chiamano le cellule che la compongono, che secernono la dentina) s'organizza e inizia la sua particolare attività, lo strato cellulare immediatamente sovrastante a contatto, il più profondo dell'epidermide, assume una struttura particolare di cellule più alte, disposte esse pure regolarmente in uno strato o membrana, detta adamantina perché destinata a secernere, sulla sua superficie profonda, quella sostanza dura della superficie del dentello, del tutto simile allo smalto dei denti, che verrà così a disporsi a stretto contatto con la dentina secreta dallo strato più superficiale della papilla dermica. Questa mantiene nella parte centrale la sua compagine di tessuti connettivi molli, con vasi e nervi; e basalmente, dove si continua col derma, origina perifericamente un tessuto duro paragonabile al cemento dei denti, a costituire la piastra basale del dentello. Con l'accrescersi dell'avorio e dello smalto, il dentello viene a sollevare gli strati superficiali dell'epidermide, i quali, e pur la membrana adamantina, si eliminano ad accrescimento compiuto del dentello, che viene così a emergere alla superficie del tegumento, mantenendo sempre la cavità interna occupata dalla polpa mesenchimale. In tutti i vertebrati l'ectoderma riveste la prima porzione, cefalica, del canale digerente. Nei pesci cartilaginei è chiaramente evidente la continuazione, il passaggio fra l'ectoderma esterno, tegumentale, con dentelli placoidi, e quello orale mucoso, che sarà direttamente interessato nella formazione dei denti boccali (fig. 1). I forti, duri, caratteristici denti boccali dei Selaci si originano con processo del tutto simile a quello sopradescritto per i dentelli placoidi del tegumento. Per la maggior mole dei denti boccali, per il determinarsi e il mantenersi di serie d'abbozzi di denti di sostituzione alle perdite frequenti nei grandi sforzi improvvisi di queste armi potenti, il tessuto ectodermale che sarà interessato nella genesi dei denti della mascella (cartilagine palato-quadrata) e della mandibola (cartilagine di Meckel) si affonda nella massa dei tessuti connettivi mesenchimali, a costituire, in continuazione con l'epitelio orale superficiale, la cosiddetta cresta dentale. I tessuti del derma iniziano la formazione di papille, che a contatto e in unione con la cresta dentale, con processo identico a quello descritto per i dentelli cutanei, daranno origine ai denti. Nei vertebrati inferiori gli abbozzi dei denti boccali seguitano a originarsi per tutta la vita; rapida, facile è l'usura, la perdita dei denti, e le dentizioni sono, si può dire, illimitate (polifiodontia). Nei vertebrati superiori, a numero limitato di dentizioni, gli abbozzi dentali si formano nel numero corrispondente all'unica o duplice dentizione (monofiodontia, difiodontia).
Fra i pesci cartilaginei, i Selaci sono dotati della potente dentatura sopraccennata, in alcune forme modificata a robuste piastre avvicinate. Tipici organi placoidi che hanno raggiunto particolare sviluppo come quelli cutanei, a borchia, delle comuni Razze, sono i denti della sega del Pescesega (Pristis antiquorum L.) del Mediterraneo e dell'Atlantico. I geologi conoscono con particolare interesse i durissimi denti rimasti testimoni della ricca fauna di pesci cartilaginei fin dal Silurico e dal Devonico. I Ganoidi inferiori, a scheletro in gran parte cartilagineo e per tanti caratteri vicini ai Selaci, sono invece dotati di denti piccolissimi, o ne possono mancare del tutto a completo sviluppo (Storione) pur avendone gli abbozzi nell'embrione. Gli osteoganoidi (Lepidosteus, Amia, dell'America) hanno denti numerosi e forti del tipo dei pesci ossei, fra cui si hanno pure forme prive di denti (Coregono, Cavalluccio di mare). In generale però tutti i Teleostei hanno molti denti (fig. 4), oltre che sulle ossa costituenti l'arcata mascellare e la mandibolare, anche su tutte le ossa che delimitano il cavo orale e perfino nel cavo faringeo, sugli archi branchiali. I denti boccali dei pesci ossei, pur variando enormemente da specie a specie in numero e potenza, sono di forma semplice, aguzzi, destinati a ghermire e trattenere la preda: i denti faringei, più spesso a forma di piastre, servono invece a schiacciare gli alimenti. Nei Dipnoi si hanpo piastre boccali, prive di smalto, dovute a fusione di denti semplici.
Gli Anfibî viventi hanno debole dentatura: sprovvisti al tutto di denti sono il Rospo nostrale e il Pipa americano; la Rana ha denti solo sull'arcata mascellare; alcune Salamandre hanno denti anche sulle ossa della vòlta boccale: tutti denti simili fra loro (omodontia), piccoli, semplici. I girini degli Anfibî anuri non posseggono denti, ma un'armatura boccale cornea. Grandi antichi Anfibî fossili (dal Carbonico al Triassico), gli Stegocefali labirintodonti, possedevano grossi denti caratteristici per lo smalto affondantesi in pieghe tortuose nella dentina.
I Rettili sono in generale ancora omodonti, con denti spesso robusti e numerosi, simili fra loro. I componenti dell'intera sottoclasse dei Chelonî o tartarughe sono del tutto privi di denti, con la sola eccezione di alcune specie, che ne hanno accenni nella vita embrionale: le tartarughe hanno la bocca guarnita di un'armatura cornea simile alla ranfoteca degli Uccelli. I denti della maggior parte dei Rettili, come quelli dei Pesci ossei e degli Anfibî, a sviluppo completo si saldano intimamente per la loro base all'osso di supporto, e mancano così di radice. In alcuni gruppi di Rettili però, negli pseudoeterodonti qui appresso accennati, i denti hanno vere radici con cemento, e sono impiantati in alveoli. In detti gruppi si hanno denti che dimostrano tendenza a differenziarsi in tre forme, più che tutto per le dimensioni, poiché oltre ad aver sempre una sola semplice radice, hanno anche sempre la corona semplice, conica: tali denti si devono esattamente dire pseudoincisivi, pseudocanini, pseudomolari (pseudoeterodontia): sono di Rettili di tempi geologici remoti, dal Permico al Triassico, e dei Coccodrilli fra i viventi. Nella classe dei Rettili, nel confronto con le classi inferiori degli Ittiopsidi (Pesci e Anfibî), si delinea la tendenza al ridursi della distribuzione dei denti delle ossa della vòlta boccale: negli pseudoeterodonti la riduzione si stabilizza nelle due semplici chiostre, la mascellare e la mandibolare. Negli embrioni degli Ofidî e di Sauri, nei nostrali ben evidente nei generi Vipera e Lacerta, gli abbozzi dei due denti anteriori portati dagl'intermascellari, si fondono per dare origine a un nuovo dente impari, diretto all'innanzi, foggiato a scalpello: serve all'animale per rompere alla nascita il guscio dell'uovo, ed è detto appunto dente dell'uovo o dente embrionale: cade dopo la nascita. Nell'ordine dei Rettili Ofidî o Serpenti alcuni denti possono assumere importanza come organi veleniferi (v. Serpenti).
Gli Uccelli viventi sono tutti privi di denti: l'astuccio corneo del becco o ranfoteca riveste gli ossi dell'arcata mascellare e della mandibolare: in alcune forme peraltro, durante lo sviluppo embrionale, pare si accenni una cresta dentale che poi scompare senza che si arrivi mai alla costituzione di abbozzi dentali. Non ha nessun rapporto con i denti, neppure con l'analogo vero dente dell'uovo sopraricordato per alcuni Rettili, il callo epidermale corneo che si trova all'apice del becco al termine dello sviluppo embrionale; serve al pulcino per frangere il guscio dell'uovo, e cade dopo avvenuta la schiusa (una formazione simile si trova anche nell'altra classe dei Sauropsidi, nei Rettili Chelonî e nei Coccodrilli). Uccelli fossili erano ben provvisti di denti: da ricordare, degno per tanti fatti strutturali del più alto interesse, Archaeopterix del Giurassico europeo; Hesperornis, affine agli Uccelli Ratiti viventi, del Cretacico americano, con denti impiantati in solchi; e, fra i Carenati, Ichthyornis, pure del Cretacico americano, con denti impiantati in alveoli.
Nei Mammiferi (fig. 5) i denti raggiungono il più alto grado di sviluppo, influenzati, dominati dalla ben definita funzione della masticazione degli alimenti. I Mammiferi sono perciò tipicamente eterodonti, e posseggono i denti di quelle forme che sono proprie anche all'uomo, incisivi, canini, premolari e molari. Eccezionalmente si hanno denti uniformemente simili, come nei Delfini. Ancora fra gli stessi Cetacei odontoceti i giganteschi Capodogli (Physeter dei mari polari) posseggono denti semplici e uniformi alla mandibola, mentre mancano di denti superiori; e il Narvalo (Monodon monoceros L.) dei mari polari presenta piccoli denti uniformi superiori e inferiori che cadono presto sia nella femmina sia nel maschio, nel quale uno dei due denti che permangono in posizione anteriore della mascella, generalmente il sinistro, prende un enorme sviluppo di durissima e fortissima asta (anche di 2 m.) con superficie scanalata a spira. Nei Mammiferi solo tre ossa portano denti: gl'intermascellari e i mascellari superiormente, e la mandibola inferiormente; questa, sempre più raccorciata che nelle classi inferiori, è una leva di gran potenza che permette ai denti di esercitare la duplice funzione di presa e di triturazione degli alimenti. Non vi è rispondenza fra i denti superiori e gl'inferiori: il canino superiore va generalmente a corrispondere allo spazio tra il canino inferiore e il primo premolare. La polifiodontia dei vertebrati inferiori ha un primo differenziamento in qualche rettile che ha alcuni denti che non cambiano. Fra i Mammiferi si hanno eccezionalmente animali (Delfini, Topi) che hanno un'unica dentizione (monofiodontia) che però si ritiene derivata da una condizione di difiodontia, cioè di duplice dentizione, quale in varia misura avviene nel più gran numero dei Mammiferi. Nei quali si ha una prima dentizione di latte o decidua, che a una data età cade per dar luogo a una seconda dentizione permanente (fig. 6). La dentizione latteale, per la nostra specie e per molte altre, comprende incisivi, canini e premolari: in alcuni gruppi può essere più limitata nel numero dei denti e nella sua manifestazione (Marsupiali che cambiano un sol dente; le foche, alcuni insettivori cambiano i denti prima della nascita). In nessun caso si cambiano i molari.
Gli abbozzi dei denti si formano solo e tutti durante la vita fetale: abbozzi dentali prelatteali, in posizione labiale rispetto ai latteali, trovati in feti e neonati della nostra specie, abbozzi trovati in posizione linguale rispetto a quelli dei denti permanenti, e il fatto non raro della sostituzione a perdite di denti permanenti, hanno indotto ad avanzare ipotesi sulla primitiva esistenza d'una dentizione prelatteale e d'una dentizione successiva alla permanente: più semplicemente si possono interpretare questi fatti come parziali singoli ricordi della polifiodontia dei vertebrati inferiori. I denti decidui sono in generale meno forti e di forme più semplici dei permanenti e mostrano minori differenziamenti fra i gruppi e fra le specie vicine, nonché caratteri di somiglianza con le forme fossili ancestrali, fatto illustrato specialmente per gli Ungulati (Rütimeyer). I denti rappresentano un carattere di grande importanza nello studio e nella conoscenza dei Mammiferi: il numero e la forma dei denti, sempre costanti, sono un carattere ben definito per ogni singola specie. Con la formula dentaria s' indica il numero dei diversi denti di un sol lato per la mascella e per la mandibola; es. la formula dentaria del cane è: i. 3/3, c. 1/1, pr. 4/4, m. 2/3 = 42. La dentatura è detta completa allorché sono rappresentate tutte le sopraddette forme di denti: incompleta allorché manca taluna forma: gl'incisivi, i canini e i premolari sono i denti che offrono le maggiori variazioni nella classe. È detto diastema lo spazio esistente fra incisivi e molari per la riduzione o mancanza dei canini (cavallo, Roditori); nel cavallo è più precisamente noto col nome di barra lo spazio compreso fra i canini rudimentali e i molari.
Gl'incisivi, sempre a forma di scalpello, presentano notevoli variazioni nei diversi gruppi: peculiare la mancanza completa dei superiori nei Ruminanti. I canini, conici, aguzzi, mancano del tutto in interi gruppi più decisamente vegetariani, e sono specialmente sviluppati come mezzi d'offesa. Incisivi e canini sono sempre denti tipicamente semplici, semplice la corona, semplice la radice. I premolari e i molari, più direttamente destinati alla masticazione e quindi più legati al genere d'alimentazione riflesso nella forma e nello sviluppo della corona, hanno radici plurime e per ciò furono da taluni ritenuti derivati da fusione di più denti semplici: i risultati della paleontologia li fanno piuttosto ritenere differenziamenti di denti semplici in rapporto alla funzione (Osborn). Anche tra i molari si hanno denti rudimentali o tendenti alla riduzione: si può ricordare l'ultimo molare serotino o "del giudizio" della nostra specie, che in molti individui compare tardi per cadere presto. I molari degli elefanti sono tipici denti composti derivati dalla fusione di più denti. I Cetacei misticeti (le Balene) posseggono durante la vita embrionale abbozzi di denti i quali sono poi riassorbiti, mentre sulla vòlta boccale si sviluppano due file verticali di enormi lamine trasversali cornee, frangiate al margine posteriore, i fanoni, a costituire un graticcio e uno staccio per cui sono trattenuti nella bocca i piccoli animali planctonici che costituiscono l'unico alimento di questi giganti fra i viventi. L'usura dei denti può dar luogo per disposizione varia dell'avorio e dello smalto a figurazioni particolari; tipiche quelle degl'incisivi degli equini che valgono a giudicare l'età dell'animale. A compensare la forte usura, alcuni denti sono ad accrescimento continuo, privi di radice, con l'organo dello smalto permanente fino alla base del dente a impedire la formazione del cemento come è degli incisivi e dei molari dei Rosicanti e degl'incisivi dell'Ippopotamo, dei canini o zanne dei Suidi; pure ad accrescimento continuo sono gli unici incisivi, privi di smalto, costituenti le difese degli Elefanti; in tali denti a crescenza continua una grande apertura permette il permanere per tutta la vita di una ricca papilla nutritiva.
Nei bassissimi Mammiferi Monotremi (Ornithorhynchus, Echidna) si ha un primo abbozzo giovanile di dentatura di tipo multitubercolare decisamente ancestrale, che poi s'involve ed è ricoperta da piastre cornee, derivate da indurimenti della mucosa boccale: formazioni consimili si hanno in Rhytina, il grande Sirenide boreale scomparso da due secoli.
I denti possono presentare notevoli differenze tra i sessi: basti ricordare le difese dell'Elefante, i canini superiori del Moschus (cervo senza corna dell'Asia centrale) le zanne dei Suidi, con tanto maggior sviluppo nei maschi che nelle femmine: la cavalla manca generalmente dei canini rudimentali del maschio; nei maiali maschi castrati le zanne non completano lo sviluppo. (Per i caratteri e le formule della dentatura nei varî ordini di Mammiferi, vedi le singole voci, e Mammiferi).
I componenti il piccolo particolare gruppo dei Pesci inferiori Ciclostomi (Lampreda) per tanti caratteri lontani da tutti i vertebrati gnatostomi, hanno la bocca, circolare o semicircolare, senza mascelle, atta a succhiare, priva di veri denti, munita invece di particolari formazioni epidermiche, corneificate, coniche (v. ciclostomi).
Anatomia umana.
Nell'uomo la principale funzione dei denti è la masticazione, che si compie con l'incisione, lo strappamento, lo sminuzzamento e la triturazione dei cibi solidi; nella fonazione i denti anteriori contribuiscono alla pronuncia d'alcune consonanti dette appunto dentali; inoltre sia perché i denti si scoprono nella parola e nel riso, sia perché essi costituiscono uno dei principali mezzi di sostegno delle parti molli, hanno notevole importanza nell'estetica del volto. Il valore dell'apparato dentale a questo riguardo si può rilevare dall'alterazione della fisionomia del vecchio edentulo.
Il dente nell'uomo è costituito da due parti: l'una che resta libera al di sopra della gengiva, la corona; l'altra, inclusa nel processo alveolare, la radice. La corona e la radice sono divise da una linea chiamata colletto. La corona è di varia foggia a seconda del gruppo cui il dente appartiene: tagliata a scalpello negl'incisivi, appuntita nei canini, e con varie rilevatezze (cuspidi) sulle superficie masticanti, nei premolari e nei molari. Ogni dente ha una o più radici, a forma conoide, più o meno appiattita. Il dente presenta nell'interno una cavità che dalla regione coronaria (camera pulpare) si prolunga, a guisa di canale, lungo tutta la radice (canale radicolare) e sbocca all'apice di questa in un orificio (forame apicale), che dà passaggio ai nervi e ai vasi del dente. Nella camera pulpare e. nel canale radicolare è racchiusa la polpa dentale. (Tav. CLXVII, nn.1-5).
Alla classificazione dei denti nell'uomo si può giungere partendo da due concetti differenti. Secondo il tempo dell'eruzione, i denti si suddividono in decidui o di latte o di prima dentizione, e in denti permanenti o di seconda dentizione; oppure, secondo i caratteri morfologici, si suddividono in incisivi (I), canini (C), premolari (Pm) e molari (M). Il numero di ciascun gruppo viene espresso dalla formula dentaria, che s'ottiene immaginando la bocca dell'individuo divisa da un piano verticale antero-posteriore passante per la linea mediana del corpo, e indicando al di sopra d'una linea orizzontale che separa le due arcate, il numero dei denti della metà superiore, al di sotto quelli della metà inferiore, preceduti dalla iniziale del loro gruppo. Così la formula della dentizione decidua dell'uomo è la seguente:
La formula della dentizione permanente risulta invece
La differenza numerica tra la prima e la seconda dentizione è data dai molari permanenti che sono sei per parte e non hanno omologhi nella prima dentizione. La dentizione decidua consta di venti denti, la permanente di trentadue. Ciascun gruppo di denti ha caratteri morfologici proprî e ben differenziati, sia nella corona sia nella radice (tav. CLXVII, nn. 4,5; tav. CLXVIII, nn. 6,7).
Gl'incisivi, la cui funzione è appunto d'incidere, presentano corona scalpelliforme con una sola radice conoide nei superiori centrali, più o meno schiacciata lateralmente nei laterali superiori e negl'inferiori; unica è la cavità pulpare. I canini servono ad afferrare e strappare il cibo: si presentano assai più forti e massicci degl'incisivi e con corona e radice più lunghe di qualsiasi altro dente. La corona è appuntita, a forma lanceolata, con radice unica e conica. I premolari, o bicuspidati, come i policuspidati, servono allo sminuzzamento e alla triturazione dei cibi; presentano la corona con due cuspidi divise da un solco scavato in direzione mesiodistale, e una sola radice appiattita fortemente, spesso percorsa da un solco longitudinale che accenna a dividerla in due. Il primo bicuspide superiore presenta spesso (circa nel 60% dei casi) due radici. Nei molari, che sono gli elementi più forti dell'apparato di masticazione, la corona ha forma cuboide con quattro o cinque cuspidi. I molari superiori hanno di norma tre radici, una palatina e due vestibolari; gl'inferiori ne hanno due, una anteriore o mesiale e l'altra posteriore o distale. Il volume dei denti molari diminuisce procedendo dall'avanti all'indietro, cosicché il terzo molare, o dente del giudizio, ha la corona più piccola, a volte rudimentale, spesso manca nelle razze civilizzate. I caratteri morfologici dei denti decidui somigliano a quelli dei denti permanenti. I decidui si distinguono per il volume assai minore, pel colore bianco cretaceo in confronto al colore giallo roseo dei permanenti, per la forma globosa della corona, e per uno strozzamento di questa sulla linea del colletto. Altra differenza tra dente deciduo e dente permanente è data dall'usura delle cuspidi dovuta alla più lunga funzione esercitata da questo in confronto del dente permanente di recente eruzione. I denti decidui presentano una maggiore ampiezza della cavità pulpare e una forte divergenza delle radici nei denti molari.
Sulla genesi dei complessi caratteri morfologici dei denti nell'uomo e nei Mammiferi superiori si contendono il campo due ipotesi, quella della concrescenza o coalescenza e quella della differenziazione. Secondo la prima, i denti policuspidati sarebbero derivati dalla fusione o coalescenza di primitivi elementi semplici (denti conoidi); invece la seconda attribuisce all'adattamento funzionale la trasformazione, attraverso la filogenesi, del dente conoide in tritubercolato, in triconodonte e infine in pluricuspidato. Argomenti di carattere paleontologico ed embriologico depongono pro e contro l'una e l'altra ipotesi; oggi prevale il concetto che processi di fusione, come processi di differenziazione, abbiano avuto la loro parte nella morfogenesi dell'odierno sistema dentale dei Primati, nel senso che la funzione abbia preparato il campo e il materiale allo svolgersi di successivi fenomeni di differenziazione (Adloff).
Il dente si compone di diversi tessuti: tre di sostanza dura, lo smalto, il cemento e la dentina, che insieme costituiscono la teca mineralizzata del dente; questa avvolge un tessuto molle, la polpa.
Lo smalto (tav. CLXVII, n. 2), il tessuto più duro dell'organismo umano, ricopre la corona dentale, a guisa di cappuccio. È di colore giallognolo, bianco azzurro, d'aspetto vitreo con splendore perlaceo. Il suo spessore varia a seconda delle regioni della corona; è maggiore nei punti dov'è necessaria una maggiore resistenza all'abrasione, massimo nelle regioni cuspidali. Lo smalto risulta composto di fasci di prismi o colonne dello smalto, a sezione poligonale riuniti insieme da una sostanza cementante. Lo smalto adulto contiene all'incirca il 3% di sostanza organica. La superficie esterna dello smalto è ricoperta da una sottile pellicola trasparente che nell'adulto non mostra alcuna figura cellulare (cuticola dello smalto).
La dentina (tavv. CLXVII, n. 2; CLXVIII, nn.1-2) è un tessuto che alla sezione presenta aspetto serico e colore giallognolo. È costituita da una sostanza fondamentale attraversata da un sistema di tubuli (tubuli dentinali) entro i quali decorrono le fibre di Tomes, che sono i prolungamenti degli odontoblasti (v. appresso). Ciascun tubulo è circondato da una guaina di sostanza elastica, la guaina di Neumann. I canalicoli dentinali divergono pressoché radialmente dalla cavità pulpare verso la linea di confine con lo smalto, modificando tuttavia la direzione a seconda delle regioni del dente. La sostanza fondamentale ha essa pure una struttura finemente fibrillare. Le fibre sono riunite da una sostanza calcarea in lamelle che, incrociandosi ripetutamente, si dispongono perpendicolarmente ai tubuli dentinali. La linea di contatto fra lo smalto e la dentina è ondulata e mostra una serie d'anfrattuosità, dove i due tessuti s'addentrano l'uno nell'altro; ne risulta un forte ancoraggio dello smalto nel tessuto dentinale. La dentina contiene circa il 27% di sostanza organica.
Il cemento (tav. CLXVII, n. 2) riveste la superficie esterna della radice e si incontra con lo smalto alla linea del colletto. Presenta una struttura simile all'osso; è composto da una sostanza fondamentale granulosa, disposta in strati concentrici all'asse maggiore del dente, contenente fibre di Sharpey ed elementi figurati, i cementoblasti, che hanno una grande somiglianza con gli osteoblasti. Il cemento contiene all'incirca il 32% di sostanza organica.
Entro la cavità centrale della dentina è racchiuso l'organo della polpa (tav. CLXVII, n. 2). Questo è costituito da un tessuto connettivo molle, ricco di nervi e d'arterie che penetrano dal forame apicale, seguono il canale radicolare e, giunte allo strato esterno degli odontoblasti, formano delle anse capillari da cui partono le vene emissarie. Nella polpa si trovano cellule di differente forma: cellule poligonali ramificate, cellule rotonde, e cellule connettive fusiformi, specialmente situate lungo il decorso dei vasi e dei nervi. Più importanti di tutte sono gli odontoblasti (tav. CLXVIII, n. 5), cellule che rivestono tutto attorno la superficie esterna della polpa e che rappresentano la matrice del tessuto dentinale. Hanno forma cilindrica allungata con protoplasma granulare e grosso nucleo ovoide situato nella parte centripeta e più ingrossata della cellula. Ciascun odontoblasta emette tre prolungamenti protoplasmatici: uno centripeto, che si dirige verso il parenchima centrale della polpa, uno centrifugo che s'inoltra nei tubuli dentinali e costituisce in tutto o in parte il prolungamento di Tomes, infine alcuni prolungamenti laterali che collegano gli odontoblasti fra loro vicini formando quella che dagli antichi era chiamata membrana eboris. Le funzioni della polpa sono la formazione della dentina e la nutrizione del dente, che si compie però anche per via paradentale. Della circolazione linfatica nella polpa, che fu negata sino a pochi anni or sono, sembra oggi dimostrata l'esistenza, sebbene essa sia assai limitata e destinata a scomparire dopo l'eruzione del dente. I nervi entrano insieme con le arterie dal forame apicale e si distribuiscono alla polpa coronaria in numerose ramificazioni. A livello degli odontoblasti, penetrano come fibrille finissime nello strato di queste cellule. La loro terminazione è tuttora oggetto di studio. Secondo la maggioranza degli autori queste terminazioni entrano in rapporto diretto o indiretto con le fibre di Tomes. che assumono così un'importante funzione pel trofismo dei tessuti e per la conduzione centripeta della sensibilità. Secondo recenti osservazioni la sensibilità della dentina sarebbe invece dovuta alla presenza di vere fibre nervose.
Il periodonto è una formazione che avvolge la radice del dente e la congiunge alle pareti dell'alveolo. Il periodonto, secondo alcuni autori, avrebbe il significato di una vera articolazione, mentre per altri sarebbe da riguardarsi come periostio alveolare modificato. Esso è costituito da fasci fibrosi connettivali, che s'inseriscono al cemento radicolare da una parte, all'alveolo e alla gengiva dall'altra. Presenta spessore variabile; massimo nella regione apicale. I fasci fibrosi del periodonto, distribuiti con differente disposizione lungo la radice del dente, s'intrecciano variamente fra di loro formando loggette entro cui decorrono vasi, nervi ed elementi cellulari. Degni di particolare nota, sono i cosiddetti resti paradentali di Malassez, che si trovano in diversi punti della formazione periodontale. Sono costituiti da zaffi epiteliali talvolta sferici, tal'altra a grappolo o ramificati, e si debbono considerare come residui embriologici dell'evoluzione dell'organo dello smalto. I linfatici del periodonto sono molto sviluppati, e in comunicazione con le ghiandole linfatiche; da ciò si spiega la frequente ripercussione linfatica nelle infiammazioni periodontali.
Con la denominazione di paradenzio, introdotta di recente in odontologia, s'indica una unità fisiologica e funzionale caratterizzata da un insieme di tessuti che costituiscono il diretto organo d'attacco, determinante le funzioni statiche e meccaniche del dente (Weski). Questa formazione comprende il periodonto, la corticale dell'alveolo, il cemento radicolare, una parte di gengiva, nonché altri elementi di secondaria importanza. L'opportunità della nuova denominazione risulta da considerazioni embriologiche e fisiopatologiche. Difatti i tessuti del paradenzio hanno origine dal germe dentale (v. appresso), seguono le mutazioni topografiche del dente e scompaiono con la perdita del dente.
Odontogenesi. - Nell'embrione umano di quaranta giorni l'epitelio pavimentoso della cavità orale che ricopre il futuro processo alvolare dei mascellari s'approfonda in forma d'arco nel mesoderma sottostante, per un ispessimento dovuto a intensa proliferazione cellulare. Si forma così la lamina dentaria, che si sviluppa in modo discontinuo al suo margine libero e quindi assume un aspetto ondulato per successive estroflessioni che, in numero di dieci per ciascun mascellare, costituiscono le gemme o bottoni epiteliali, abbozzo degli organi dello smalto dei denti di latte. Col progredire della proliferazione cellulare ciascuna gemma o bottone così formata, s'ingrossa e quindi si deprime al centro della parte basale, si fa concava e prende la forma di campana. Contemporaneamente, al di sotto dell'organo dello smalto, le cellule fusiformi del mesoderma s'avanzano nella concavità ora descritta, entrano in attiva proliferazione e dànno origine alla papilla dentaria. L'avvolgimento della papilla da parte dell'organo dello smalto s'accentua maggiormente sino a lasciare soltanto in basso una connessione col circostante mesenchima, il quale nel frattempo s'ispessisce tutto attorno all'organo dello smalto e lo circonda completamente, dando luogo alla formazione del sacco o follicolo dentale. In tal modo il germe dentale rimane connesso alla lamina dentaria soltanto per mezzo d'un cordone, il gubernaculum dentis, il quale via via s'atrofizza sino a lasciare poi del tutto indipendente il germe dentale nel mesenchima ambiente. Della papilla, che è avvolta dall'organo dello smalto e che resta in comunicazione col mesenchima, la parte superficiale produce la dentina; la parte centrale rimane molle e forma la polpa. L'organo dello smalto dà origine allo smalto, il sacco o follicolo produce il cemento e il periodonto (tav. CLXVIII, n. 3).
Formazione della dentina. - Alla parte esterna della membrana eboris, tra i prolungamenti distali degli odontoblasti si va formando una sostanza carica di sali di calce omogenea e continua: è la sostanza dentinale, che dalla maggioranza degli autori si ritiene prodotta per un processo di secrezione degli odontoblasti.
Formazione dello smalto. - L'organo dello smalto, costituito all'inizio da un bottone di cellule epiteliali, mostra in breve una evidente differenziazione nel tipo dei proprî elementi, i quali si dispongono a strati. Di questi il principale è l'interno o strato degli ameloblasti da cui ha origine lo smalto, secondo alcuni autori per un processo di secrezione, secondo altri per trasformazione degli elementi cellulari. La formazione dello smalto comincia subito dopo l'inizio della formazione della dentina. Gli ameloblasti vengono allontanati dal limite dentinale per l'interposizione d'una sostanza calcare granulosa che si dispone nella direzione degli ameloblasti e dà origine, per successive stratificazioni, ai prismi dello smalto. La cuticola dello smalto è costituita dall'epitelio interno, o strato degli ameloblasti che, finita la funzione ameloblastica, s'atrofizzano e, fondendosi insieme, costituiscono la cuticola vera dello smalto. Sopra di questa possono restare evidenti ancora per un certo periodo di tempo anche elementi degli altri strati (Beretta).
Formazione del cemento e del periodonto. - Come sopra s'è detto, il cemento s'origina dallo strato interno del follicolo; il periodonto dallo strato esterno.
Sviluppo della radice. - Allorché la corona è formata, s'inizia lo sviluppo della radice. Gli strati epiteliali di cui è costituito l'organo dello smalto a livello del colletto si fondono insieme formando la cosiddetta guaina epiteliale di Hertwig che s'approfonda nel mesoderma a modellare la forma e la lunghezza della futura radice. Il mesenchima così limitato si trasforma in tessuto pulpare con la apposizione, nella superficie interna della guaina, d'una serie di cellule che assumono caratteri istologici e funzionali di veri odontoblasti e che dànno luogo alla formazione di tessuto dentinale analogamente alla parte coronaria del dente. Formatasi così la dentina, dalla parte interna del sacco partono delle cellule a tipo osteoblastico che, attraversando la guaina epiteliale, s'applicano sopra lo strato dentinale radicolare già formato e producono uno strato di cemento che, sottile all'inizio, aumenta poi progressivamente di spessore. Gli elementi epiteliali della guaina s'atrofizzano e vengono riassorbiti; rimangono tuttavia in parte come zaffi epiteliali analoghi ai residui dell'organo dello smalto coronario, di cui sopra s'è detto. Nel processo ulteriore di sviluppo del dente l'organo dello smalto coronario, cessata la sua funzione di produttore di sostanza adamantina, s'atrofizza, e, quando il dente erompe, si può dire che sia pressoché del tutto scomparso. Ne viene una conseguenza importantissima per la fisiopatologia dello smalto, e cioè che questo tessuto, quale si trova al momento dell'eruzione tale rimarrà per tutta la vita dell'individuo. Invece l'organo della dentina (polpa e strato odontoblastico), restando vitale e funzionante come polpa dentale, permetterà la formazione della dentina per tutta la vita del dente o almeno sino a che la polpa rimanga attiva. Per questo presupposto istogenetico e per i reperti istologici già ricordati, dalla maggioranza degli autori si nega allo smalto del dente erotto qualsiasi attività vitale, e lo si ritiene una massa informe, omogenea e morta, dove è da escludersi ogni manifestazione di vita. Notiamo tuttavia che recenti concezioni tratte da nuovi reperti istologici e istogenetici, nonché da ricerche sperimentali sulla permeabilità dei tessuti del dente, sembrano comprovare l'esistenza di rapporti anatomici e fisiologici intercorrenti fra i varî tessuti del dente, e l'esistenza d'un certo metabolismo anche nello smalto.
Sviluppo dei denti permanenti. - Una volta formato il germe del dente di latte, mentre questo continua nella sua evoluzione, s'inizia la formazione dei primi molari permanenti. La lamina dentaria nella sua parte distale, posteriormente ai germi dei molari di latte, s'approfonda nel mesenchima mascellare e dà origine al bottone del primo molare permanente. Dall'organo dello smalto di questo ha origine il bottone del secondo molare permanente, cui segue il terzo molare con analogo processo. La formazione dell'abbozzo dei denti incisivi, canini e premolari, i quali sostituiscono i denti decidui, ha origine invece da una propaggine epiteliale (banderella di sostituzione di Ahrens), differenziazione della lamina dentale primitiva e degli elementi dell'organo dello smalto e del gubernaculum del dente di latte.
Calcificazione del dente. - La calcificazione dei tessuti dentali avviene per apposizione di sali minerali, specialmente di calcio, che s'inizia dalle cuspidi e procede gradualmente verso l'estremità radicolare. Il processo di mineralizzazione non è continuo, ma si svolge con periodi d'attività alternati a periodi di riposo. È importante rilevare che, quando per una qualsiasi ragione intervenga una turba generale che modifichi la normale deposizione dei sali calcarei, troviamo poi nel dente formato, visibili e permanenti tracce di queste anomalie. Di rado ne è colpita la prima dentizione, assai più di frequente la seconda dentizione, e di questa specialmente i primi molari, gl'incisivi e i canini nei quali la calcificazione s'inizia rispettivamente nel sesto mese di vita fetale, nel primo e nel quarto mese dopo la nascita. Poiché è appunto questo il periodo di maggiore morbilità del bambino e poiché queste turbe generali sottraggono all'organismo o rendono anormale la deposizione dei sali di calcio necessaria alla mineralizzazione delle ossa e dei denti, si comprende con quanta frequenza s'abbiano a osservare anche nei denti i segni di tali turbe di sviluppo. In questi casi la corona dei denti sopra indicati mostra la superficie dello smalto non già liscia e lucente come di norma, ma solcata trasversalmente da striature e fossette più o meno profonde ed estese. Altre volte lo smalto è usurato per largo tratto sino a lasciare scoperta la sottostante dentina. A queste alterazioni si dà il nome di ipoplasie dello smalto. Qualunque sia la pregressa malattia generale da cui le ipoplasie dello smalto sono determinate, è importantissimo rilevare come esse, una volta manifestatesi, tali si mantengano per tutta la vita del dente, poiché, come s'è detto in precedenza, l'organo matrice dello smalto cessa la sua funzione e s'atrofizza non appena compiuta la formazione del dente. Anche ammettendo che scambî vitali avvengano tra dentina e smalto, non si può pensare alla possibilità che da questi venga riparato allo smalto mancante.
Eruzione dei denti decidui. - Sul meccanismo d'eruzione dei denti decidui gli autori non sono concordi. Alcuni la considerano quale conseguenza dello sviluppo della radice; formandosi e allungandosi questa, la corona verrebbe spinta in alto e, comprimendo sempre più il follicolo dentale, l'osso e la gengiva, ne provocherebbe la usura e il riassorbimento. Per gli altri sarebbe invece una spinta attiva delle pareti alveolari che, premendo sul dente, ne determinerebbe la fuoruscita in rapporto a modificazioni locali di circolo. Secondo Eichler l'eruzione dei denti decidui sarebbe invece dovuta all'accrescimento della polpa dentale e alla formazione di nuova sostanza ossea sul fondo dell'alveolo.
Pur non potendosi fissare dati assoluti, riportiamo nella seguente tabella il tempo approssimativo dell'eruzione dei denti decidui:
È importante rilevare che il primo molare di latte erompe prima del canino, e che v'è analoga corrispondenza anche al tempo della caduta. Ripetiamo che queste date variano da bambino a bambino e hanno quindi un valore relativo. D'altra parte l'epoca d'eruzione non ha soverchia importanza, purché non sia accompagnata da fenomeni patologici. Tuttavia, quando non si tratti di caratteri famigliari, un notevole ritardo nella comparsa dei denti può essere effetto di prolungata malattia o indice di rachitismo, alla stessa guisa che un eccessivo anticipo della dentizione può essere messo in rapporto con una debole costituzione.
Caduta dei denti decidui. - La caduta dei denti decidui avviene ressoché secondo lo stesso ordine cronologico della loro eruzione. È noto che essa è preceduta da un'atrofia progressiva delle radici, per cui del dente rimane la sola corona mantenuta più o meno saldamente dalla gengiva.
Per spiegare questo fenomeno sono state avanzate diverse teorie: s'è pensato che il riassorbimento radicolare avvenga per compressione permanente esercitata dal dente sottostante; ma il fatto che talora denti di prima dentizione permangono nonostante la presenza del corrispondente della seconda dentizione, e l'altro fatto che denti decidui possono cadere, pur mancando il dente di sostituzione, contrastano con questa teoria meccanica. S'è invocata allora una teoria organica, secondo la quale le radici verrebbero riassorbite per l'azione del cosiddetto organo assorbente ricco di elementi analoghi per la loro funzione agli osteoclasti, teoria seducente ma non da tutti accolta. Recentemente s'è supposto che il processo sia dovuto all'azione dei cosiddetti resti epiteliali paradentali. Vedemmo infatti che nel periodonto esistono ammassi di cellule epiteliali variamente raggruppate.
Calcificazione ed eruzione dei denti permanenti. - Come nei denti decidui, anche nei denti permanenti nel processo di calcificazione s'inizia alla parte cuspidale e procede gradualmente verso l'apice radicolare. La calcificazione non è contemporanea in tutti i denti, ma soltanto nei denti omologhi. Il processo di calcificazione comincia dai primi molari, ancor prima della nascita, e si continua negli altri denti con progressione determinata. L'eruzione dei denti permanenti avviene secondo l'ordine e le date approssimative qui riportate:
Osservazioni statistiche compiute dal Röse sopra più di 40.000 bambini nei riguardi dell'eruzione dei denti permanenti condurrebbero alla conclusione che la data d'eruzione dei denti permanenti non può essere fissata se non entro limiti molto ampî. La data di eruzione del 1° molare è la più costante: quella dei canini e dei premolari è la più variabile.
La Dentizione difficile. - E stato questo un problema che ha signoreggiato per lungo tempo nella patologia pediatrica, assurgendo a causa precipua d'infiniti e svariati stati morbosi, gravi o lievi, che con essa poco o punto hanno a vedere. La questione è stata riposta sul tappeto anche recentemente per opera di noti e autorevoli pediatri, con la quasi unanime conclusione che vere e proprie malattie della dentizione non esistono. Neppure sono da ammettersi i tanto caldeggiati rapporti fra dentizione e crosta lattea e altre dermatosi; né quelli con particolari malattie del sistema nervoso (spasmofilia), dell'apparecchio digerente e respiratorio. Cosĭ cade anche la famosa cosiddetta febbre dei denti. Vi è chi pensa che le malattie intercorrenti possano accelerare l'eruzione dei denti allo stesso modo che stimolano altri accrescimenti. Indubbia invece rimane l'importanza della dentizione, quale concausa nella genesi delle malattie locali della bocca (stomatiti, ecc.) e delle loro complicazioni. Riassumendo, al concetto della dentizione difficile non spetta un posto speciale nella nosologia della prima infanzia. Hanno invece importanza le anomalie e le alterazioni della dentizione nel loro rapporto con svariate alterazioni costituzionali, con le tossinfenzioni croniche, con le malattie delle ghiandole a secrezione interna, ecc.
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V. anche: odontoiatria; stomatologia.
I denti nelle razze umane.
Gli antropomorfi sono molto ben distinti dall'uomo per i loro caratteri dentarî, non solo, ma ognuno di essi dimostra un ben marcato tipo di specializzazione in una via propria, soprattutto riguardo alla forma dei molari. Le razze umane diverse, invece, non manifestano differenze evidenti fra loro. Ciò si comprende bene quando si consideri che ogni antropomorfo ha una dieta sua propria, mentre gli uomini hanno in comune una dieta onnivora. Il gruppo dei tre antropomorfi si differenzia dagli uomini per i seguenti caratteri: il canino nei primi è grosso, conico, prominente, rivolto con la sua punta verso l'esterno, negli uomini è piccolo, pochissimo o null'affatto prominente sugli altri denti; la serie dentaria è chiusa negli uomini, manifesta un hiatus (diastema) fra canino e primo premolare inferiormente, tra canino e secondo incisivo per la serie superiore, negli antropomorfi; il primo premolare è piccolo nell'uomo e più piccolo del secondo, nell'antropomorfo è grosso, specializzato per la presenza di una forte punta e più grande del secondo.
L'Adloff (1908) reputa che a tutta prima appare assai dubbio che si possano stabilire differenze caratteristiche fra le razze umane per i denti, tuttavia ritiene che differenze si potranno stabilire anche per questo carattere. È certo che, finora, queste dei denti non hanno quella evidenza che hanno altre caratteristiche, benché già si possieda. Qualche buono studio in proposito, come quello del De Terra. Alcune differenze tuttavia possono già dirsi stabilite. Non si tratta, in ogni caso, del tipo del molare, il quale rimane press'a poco invariato, ma di caratteri assai subordinati e di particolarità minute, per lo più poi trattandosi di percentuali diverse, con cui si presenta una certa conformazione. Può darsi che esistano fra le diverse razze differenze nella forma del molare sul piano orizzontale, esprimibili in un rapporto analogo a quelli che si usano per altri segmenti antropologici, ma la piccolezza delle misure rende questi rapporti troppo sensibili a cause perturbatrici. Questi indici potrebbero dare resultati attendibili sopra un numero di casi assai grande, ma non abbiamo sinora materiali pubblicati in proposito. La grossezza dei denti, alla quale molti autori dànno assai peso, in realtà oscilla assai più fortemente per ragioni individuali che per ragioni raziali. Tuttavia il De Terra ha indicato che alcune razze tendono alla macrodontia (denti grossi), e cioè Australiani, Papua, Timoresi, Giagga. Lo stesso fatto Adloff stabilì per i Melanesiani. Altre razze, come gli antichi Egiziani, i Birmani, gli Svizzeri preistorici, i Fueginii secondo il De Terra, inclinano alla microdontia (denti piccoli).
A determinare lo sviluppo relativo dell'apparato dentario, Flower propose il suo indice dentario, che è il rapporto della lunghezza diretta, a partire dalla superficie anteriore (mesiale) del primo premolare fino alla superficie posteriore (distale) dell'ultimo molare, alla lunghezza naso-basilare, rapporto che è moltiplicato per 100, come al solito. Il De Terra, avendo posto in luce i numerosi difetti di questo indice, ne propose uno nuovo che egli chiamò dell'arco dentario, e che è il rapporto tra la larghezza dell'arcata dentaria (larghezza che, per lo più, cade fra le superficie esterne dei due ultimi molari) e la lunghezza (misurata dal punto di mezzo di una retta tangente alle due superficie distali dei molari stessi alla superficie anteriore dei due incisivi mediani). I valori bassi di questo indice dimostrerebbero una forma lunga e stretta dell'arco dentario, quindi un apparato dentario sviluppato.
Interessante è il numero dei tubercoli e la riduzione di essi nei molari e premolari. Le razze che hanno forti dimensioni dentarie dovrebbero manifestare, secondo alcuni, minore riduzione del numero dei tubercoli dei molari. Siccome il primo molare superiore ha generalmente quattro tubercoli, si prende come campione il secondo; orbene gli Australiani presentano quattro tubercoli nel detto molare nell'80,9% dei casi, i Papua nell'82,3, i Giagga nell'83,6, ma gli antichi Egiziani e i Birmani, che sono microdonti, presentano rispettivamente l'83,8 e l'83,9%. Gli Egiziani moderni, che al più si possono considerare mesodonti (denti di grandezza media) se non microdonti, presentano appunto il valore estremo di 90,9%. Viceversa, i Negri del Nord-Africa, fra i più macrodonti, hanno solo il 57%. Anche nel secondo premolare inferiore la presenza di più cuspidi non è affatto parallela ai fatti di rozzezza, genericamente parlando (fra i quali è la macrodontia). De Terra trovò così 3 tubercoli in 9 sopra 12 Australiani. Negli Europei recenti li trovò in 1/6 dei casi, mentre nei Negri li trovò in 1/8. Negli Africani non Negri li trovò invero in più di 1/4. I dati dello Choquet permettono constatazioni identiche. Il pluritubercolismo si comporta sia nei molari, sia nei premolari, come un carattere indipendente dalla rozzezza somatica, probabilmente come un carattere ereditato da progenitori assai antichi.
Per la forma dell'articolazione De Terra stabilì che la psalidodontia (margine tagliente degl'incisivi superiori alquanto in aggetto su quello degl'inferiori) è più frequente negli Europei, la labidodontia (coincidenza dei margini. taglienti degl'incisivi) fra gli Australiani, Americani, Micronesiani. La massima percentuale della stegodontia (incisivi inferiori coperti dai superiori inclinati verso l'innanzzi), tuttavia sempre al disotto di un terzo, si ha nei Cinesi; la più forte di opistodontia (incisivi inferiori siti 2-10 mm. dietro i superiori), sempre inferiore a 1/5, fra i Malesi della Sonda. Al riguardo del tubercolo di Carabelli, Taviani, sul materiale abbondante (circa 4000 cranî, di cui oltre 1500 extraeuropei) di tutte le parti del mondo, esistente nel Museo antropologico di Firenze, dice che non potrebbe asserire se "prevalga eccessivamente in una razza piuttosto che nell'altra", ma sarebbe sempre frequente. Le osservazioni del Taviani però furono occasionali e non intenzionali allo scopo di un'esatta ricerca statistica. Il De Terra, invece, che ne fece ricerca sistematica, trovò il tubercolo di Carabelli più frequente negli Africani non negroidi e assai meno nei negroidi, frequente negli Alamanni e in genere negli Europei. Esso sembrerebbe perciò piu frequente nei gruppi etnici culturali. Però bisogna dire che i risultati degli autori diversi, per questo carattere, non sono affatto comparabili.
La riduzione degl'individui dentarî colpisce il secondo incisivo superiore e il terzo molare (dente del giudizio) superiore e inferiore. La prima riduzione presenta le più forti percentuali negli Svedesi (5,9) e nei Tedeschi (3), tutti gli altri gruppi etnici la presentano in percentuali più piccole. Il terzo molare ha una tendenza a scomparire assai più sensibile nelle razze superiori. De Terra constatò negli Europei 21 volte, su 298, assenza del terzo molare superiore. Negli Africani negroidi invece solo 3 volte su 138, negli Africani non negroidi 9 volte su 82. La mancanza del terzo molare inferiore è più rara. Riguardo alle anomalie per eccesso, oe Terra ritiene i molari soprannumerarî più frequenti nei gruppi etnici eulturalmente bassi, gl'incisivi invece in quelli culturalmente elevati; i premolari soprannumerarî sono rarità, i canini non sono stati riscontrati in numero anormale. Si può accettare l'opinione che i casi di denti soprannumerarî costituiscono fenomeni di atavismo.
Ancora oggi è viva la discussione se la dentatura umana attuale manifesti dei segni di una discendenza antropoidica. La discussione si accentua sul cosiddetto "problema del canino". Adloff, uno dei più distinti studiosi della materia, ha fatto una critica radicale delle asserzioni dei sostenitori di detta discendenza e a noi pare che la sua critica sia fondata. Non è affatto provato che si sia verificato, in genere, nelle razze umane riduzione dell'apparato dentario in complesso, che a esempio un tipo macrodonte sia stato un precedente necessario del tipo microdonte. Lo stesso fatto della riduzione delle dimensioni del terzo molare è dubbio se parli nel senso di una riduzione progressiva dell'apparato dentario, riscontrandola noi negli antropomorfi, dei quali non può dirsi che presentino riduzione dell'apparato. La scoperta di fossili di antropomorfi (Propliopithecus, Pliopithecus) in cui il canino è piccolo è un forte argomento per ritenere che l'uomo non abbia presentato mai canini fortemente sviluppati. I denti dell'uomo del tipo di Neanderthal presentano una differenziazione singolarissima, che non ha nulla di antropoidico e si dimostra una specificazione sui generis. Essi sono grossi, ma sempre nell'ambito della variazione recente. La cavità della polpa in essi si estende verso la radice. Le radici si fondono insieme e il dente prende un aspetto prismatico notevole. Il Keith chiamò questo tipo dentario "taurodonte", per esprimere la sua somiglianza generica con quello dei ruminanti. In alcuni casi (Krapina) si trovò che le radici erano sorrette da un dischetto di cemento, rotondeggiante (v. fig.). È questo uno dei caratteri per cui la famosa razza di Neanderthal meglio manifesta il suo valore biologico di tipo assai specificato e non primitivo. I detti fenomeni si riscontrano anche, occasionalmente, in razze attuali.
Bibl.: P. Adloff, Das Gebiss des Menschen und der Anthropomorphen, Berlino 1908; M. De Terra, Beiträge zu einer Odontographie der Menschenrassen, Berlino 1905.