Denti
I denti sono strutture mineralizzate del cavo orale, dotate di funzioni di presa e riduzione meccanica del cibo (v. vol. 1°, II, cap. 4: Testa, Cavità orale). Sono soggetti a numerosi tipi di anomalie e patologie. Alterazioni nello sviluppo fetale possono portare ad anomalie dentarie di struttura, dimensione o numero, con denti in eccesso e in difetto. Tra le molteplici patologie a carico dei denti assume particolare importanza, dato il suo impatto sociale, la carie, caratterizzata dalla disgregazione dello smalto e della dentina sottostante a opera di processi locali di origine chimica e di natura batterica.
di Daniela Caporossi
1.
Nell'uomo, come negli altri Mammiferi, i denti sono inseriti saldamente in cavità specifiche (alveoli dentari) delle ossa mascellari e della mandibola, sporgendo al di sopra della gengiva, verso l'interno della cavità buccale. La dentatura umana è tipicamente eterodonte, in quanto costituita da denti con struttura e funzione diversificate, e difiodonte, ovvero caratterizzata da due dentizioni successive: la prima, detta di latte, comprende 20 denti decidui, la cui comparsa progressiva avviene tra i 6 e i 24 mesi di vita, la seconda consiste di 32 denti permanenti, che si sostituiscono progressivamente a quelli decidui tra i 6 e i 21 anni di età. Strutturalmente, ogni dente comprende una porzione sporgente dalla gengiva, la corona, la cui forma è in relazione alla funzione specifica; una porzione infissa negli alveoli dentari, la radice, che può essere singola o plurima, e una porzione interposta tra corona e radice, il colletto. All'interno si trova la cavità dentaria, più slargata nella corona e ristretta a canale nella radice, contenente tessuto connettivo mucoso ricco di vasi e di terminazioni nervose (polpa dentaria). Il dente è formato da una varietà di tessuto osseo (dentina, o avorio), rivestito da cemento a livello della radice e da smalto, tessuto osseo altamente mineralizzato, a livello della corona. Uno strato di connettivo fibroso (periodontio) lega il cemento alla parete dell'alveolo. I denti si distinguono in incisivi (I), deputati soprattutto al taglio degli alimenti, con una corona a scalpello (struttura secodonte); canini (C), la cui forma lanceolata richiama la funzione originaria di presa e lacerazione del cibo; premolari (P) e molari (M), con una corona provvista di due, quattro o cinque prominenze (cuspidi), atte a comprimere e triturare il cibo. Essi sono disposti nelle due arcate, superiore e inferiore, con una simmetria mediana che per ciascuna emiarcata comprende, nella dentizione di latte, 2 incisivi (centrale e laterale), 1 canino, 2 molari (primo e secondo); nella dentizione permanente, 2 incisivi (centrale e laterale), 1 canino, 2 premolari (primo e secondo), 3 molari (primo, secondo e terzo). Il colore dei denti può presentare una gamma individuale notevole, passando dal biancastro azzurrognolo al giallastro.
In genere nei maschi i denti sono più grandi e di colore più tendente al giallastro che nelle femmine; sempre nel sesso maschile si nota normalmente un'eruzione della dentatura sia decidua sia permanente più tardiva. I denti sono soggetti a usura, in quantità e modalità connesse con l'età e con le abitudini alimentari. L'analisi dell'usura dei denti fornisce informazioni molto utili sullo stile di vita delle popolazioni fossili.
2.
I denti compaiono nel regno animale per la necessità di trattenere e ridurre meccanicamente cibo. Sono quindi assenti in tutti gli animali microfagi, come Spugne, Molluschi (polipi), Anellidi, Cetacei, che si nutrono di piccoli metazoi e frammenti organici, nei predatori che possiedono tentacoli o faringi muscolari per immobilizzare e digerire parzialmente la preda (meduse, planarie) e negli ectoparassiti ematofagi o fitofagi che succhiano alimento liquido. Mancano anche negli animali che per la masticazione utilizzano le mascelle (Coleotteri, Ortotteri e altri) e in quelli in cui il cibo viene triturato da un vero stomaco masticatore fornito di dentelli chitinosi, pietre callose o sassolini (Crostacei, Uccelli e alcuni Insetti), come pure nei Cordati inferiori e negli Agnati (pesci privi di mascella), il cui antenato si alimentava presumibilmente filtrando l'acqua attraverso l'apparato branchiale. Le lamprede adulte lacerano la preda tramite una lingua raspante provvista di strutture cornee simili a denti, presenti anche nel resto della cavità buccale.
Una forma arcaica di apparato masticatorio fa la sua comparsa in alcuni pesci fossili (Placodermi), che utilizzavano il margine osseo della mascella stessa per catturare le prede. Sebbene la derivazione dei denti da squame placoidi modificate venga in parte messa in discussione, è chiaro che sia l'epidermide cutanea sia l'epitelio della mucosa buccale, entrambi di origine ectodermica, sono in grado di sostenere la formazione di strutture solide. Nei Selaci (pesci cartilaginei, per es. squali) si riscontra la forma meno diversificata di dente, rappresentata da un semplice cono, a volte fornito di cuspide anteriore o posteriore. In alcuni Selaci, nelle torpedini e nelle razze, che si nutrono di Molluschi forniti di conchiglia, i denti assumono una forma più appiattita, utile per triturare il guscio. Nei Pesci più evoluti i denti possono essere distribuiti anche su altre ossa della bocca, come le ossa palatine, il parasfenoide, il vomere, e anche sull'arcata ioidea e branchiale. In alcuni Teleostei (pesci ossei) il cemento che fissa i denti può formare una struttura di sostegno unica, e spesso si osservano grosse zanne articolate con la mandibola; in questo caso i denti possono piegarsi per favorire l'ingresso di una preda e ostacolarne l'uscita. In altri Teleostei i denti possono essere addirittura assenti sull'apparato mascellare e la masticazione è effettuata a livello del palato o, a volte, della faringe.
Sebbene l'omodontia (presenza di una dentatura formata da elementi strutturalmente simili) sia caratteristica nei Vertebrati non mammiferi, alcune specie di Pesci predatori, come i dentici e i saraghi, che si nutrono anche di organismi provvisti di conchiglia, mostrano una forma di eterodontia, con denti masticatori posteriori. Gli Anfibi e la maggior parte dei Rettili hanno denti conici distribuiti sui margini delle mascelle, sulle ossa palatine o sui vomeri. Alcune lucertole e coccodrilli sono provvisti di denti piuttosto appiattiti e presentano una certa eterodontia. Questa era già riscontrabile in Rettili fossili di grandi dimensioni, come i Pelicosauri, estinti nel Triassico, che possedevano un grosso dente, paragonabile agli attuali canini e presumibilmente utilizzato per strappare, che interrompeva la serie omogenea di denti conici, e i Terapsidi, posteriori ai Pelicosauri, nei quali erano presenti canini tipici in ogni quadrante, preceduti da quattro denti paragonabili agli incisivi e seguiti da una decina di denti provvisti di piccoli rilievi, analoghi alle cuspidi multiple dei molari. Nei Mammiferi la dentatura è tipicamente eterodonte e limitata ai bordi della mascella e della mandibola. Nelle specie primitive, i canini erano sempre quattro, mentre il numero di incisivi, premolari e molari era molto variabile, per un totale di denti decisamente maggiore che nelle specie attuali.
Tranne poche eccezioni, quindi, il processo evolutivo ha favorito la riduzione numerica di tutti i differenti tipi di denti. Gli incisivi, utili per ogni genere di alimentazione, sono presenti nella maggior parte dei Mammiferi, tranne che in alcuni Erbivori, nei quali mancano o sono modificati: i Ruminanti, per es., sono privi di incisivi superiori, mentre i Roditori hanno incisivi a forma di scalpello che si accrescono continuamente. Negli elefanti gli incisivi superiori sono modificati a formare le zanne. I canini, la cui funzione originaria è quella di mordere e forare, sono molto sviluppati nei Carnivori e in Mammiferi non predatori, come alcuni Pinnipedi (tricheco) e Suidi (cinghiale), nei quali vengono utilizzati per la difesa o per il combattimento tra maschi. Nelle altre specie di Mammiferi, invece, i canini sono generalmente molto ridotti o assenti. Nei Roditori e negli Ungolati l'assenza dei canini determina una lacuna, detta diastema, tra incisivi e molari. Nel cavallo i canini sono presenti nel maschio e assenti nella femmina. I premolari e i molari, adibiti alla triturazione e masticazione, mostrano forma e disegno complicati, la cui evoluzione ha seguito strade differenti nei vari gruppi animali. In generale, molari con forma relativamente semplice si trovano in alcune specie di Onnivori e Carnivori; in questi ultimi dalla modificazione dell'ultimo premolare superiore e del primo molare inferiore derivano i cosiddetti denti ferini, caratterizzati da cuspidi trasformate in creste taglienti. Negli Erbivori, invece, la superficie masticatoria dei molari si allarga e la corona diviene più spessa, con crescita prolungata per contrastare l'usura dovuta alla continua masticazione. In alcuni degli Erbivori, come il cavallo, i premolari assumono una struttura simile a quella dei molari. L'adattamento all'ambiente arboricolo da parte dei Primati ha determinato l'evoluzione dell'apparato masticatorio in relazione al cambiamento di dieta. Nelle Proscimmie ancestrali e nella tupaia, che si ciba di insetti, larve ecc., esso funziona soprattutto come organo da presa, mentre nelle Scimmie si osservano un riaggiustamento dello scheletro e della muscolatura facciale e cambiamenti nella dentatura, in quanto la masticazione diventa indispensabile affinché il cibo, costituito soprattutto da foglie, radici, frutta ecc., possa essere digerito. Anche nei Primati, come nei Mammiferi in generale, si osserva una diminuzione nel numero dei denti: 40 nelle Proscimmie, 36 nelle Scimmie attuali e nelle Platarrine, 32 nelle Catarrine.
Nell'uomo, rispetto ai Primati non umani, l'apparato masticatorio si riduce, con la riorganizzazione dello splancnocranio, ovvero del sostegno scheletrico relativo alla bocca, in relazione all'aumento del neurocranio. Le modificazioni più vistose sono avvenute a carico della mandibola, con una graduale riduzione di spessore e il passaggio dalla forma a V nelle Proscimmie a quella a U delle antropomorfe e a quella paraboloide dell'uomo. L'attività di compressione è determinata dalla contrazione dei muscoli temporali, masseteri e pterigoidei interni, mentre il movimento laterale necessario per la triturazione viene assicurato dai muscoli pterigoidei laterali. Nelle Scimmie provviste di canini poderosi (babbuini, gorilla, scimpanzé), questo movimento non è possibile, con conseguente assenza della funzione di triturazione del cibo e necessità di una dieta più specializzata.
Accanto alla riduzione dell'apparato masticatorio, nell'uomo si osserva una generale diminuzione del volume dei denti, specialmente di canini e incisivi, ma anche di premolari e molari, che hanno di solito cuspidi arrotondate. I premolari possiedono due cuspidi e, al contrario delle antropomorfe, una radice unica. I molari umani presentano lo stesso numero di cuspidi delle antropomorfe, ma il molare di maggiori dimensioni è il primo (M1), mentre nelle antropomorfe il più grande è il secondo (M2) o il terzo (M3).
Nella specie umana vi è poi una tendenza alla riduzione della dentatura, come dimostrato dalla frequente assenza del terzo molare (cosiddetto 'del giudizio'). I denti si possono fissare all'osso di sostegno in tre diversi modi: nella dentatura acrodonte, che rappresenta la modalità più primitiva, essi sono direttamente fusi con il tessuto osseo delle mascelle; nella dentatura pleurodonte vi è una linea di separazione tra il tessuto del dente e l'osso; nella dentatura tecodonte, che rappresenta la forma più evoluta di impianto, il dente è contenuto all'interno di un alveolo, separato dall'osso di sostegno. In alcuni Mammiferi i denti possono avere un accrescimento indefinito, come avviene per le zanne degli elefanti o per gli incisivi dei Roditori, ma generalmente la loro crescita è limitata e il proble- ma dell'usura viene risolto tramite rinnovamento con dentizioni successive. In Pesci, Anfibi e Retti- li si possono avere numerose dentizioni (dentatura polifiodonte), mentre nella maggioranza dei Mammiferi si ha una dentatura difiodonte, con una sola dentatura postlatteale. In alcuni Pesci e Rettili, come anche nei Marsupiali, Sirenidi e Cetacei, i denti non si rinnovano e la dentatura viene perciò definita monofiodonte.
3.
Lo sviluppo dei denti ha inizio da un ispessimento dell'epitelio della mucosa buccale che si inserisce sul margine delle arcate mascellari, dando origine a una lamina dentale continua. Da questa, in profondità, si separano i germi dentari (od organi dello smalto), a forma di coppa, al cui interno si trova una papilla dentale di origine connettivale. Le cellule epiteliali che tappezzano il fondo della coppa diventeranno adamantoblasti, deputati alla produzione dello smalto, mentre le cellule della papilla connettivale si differenziano, rispettivamente, quelle periferiche in odontoblasti, specializzati nella formazione di dentina, quelle interne in polpa dentaria. Poiché le arcate ossee limitano l'accrescimento della massa del dente in profondità, la produzione di dentina porta obbligatoriamente al suo avanzamento verso la superficie gengivale. Prima che il dente emerga, gli adamantoblasti costruiscono lo strato di smalto, in modo che la corona sporga in modo completo dalla gengiva.
Nella specie umana, nella quale lo sviluppo della corona ha un limite, a crescita avvenuta l'orifizio della cavità dentaria, attraverso cui passano nervi e vasi, si restringe.
Nelle specie con denti a crescita continua, invece, la cavità dentaria rimane larga, mentre in quelle con denti a crescita prolungata essa si restringe dopo un lungo periodo di sviluppo. La possibilità di una o più dentizioni successive è determinata dal fatto che non tutta la lamina dentale originaria prende parte alla formazione del germe dentario. Al momento della sostituzione, il riassorbimento della base provoca la caduta del dente, cosicché un nuovo germe dentario si stacca dalla cresta epiteliale per andare così a formare il dente di ricambio.
Nell'uomo, nel quale la dentatura è tipicamente difiodonte, si forma prima la lamina dentale, da cui si separano i germi per i denti da latte, e, successivamente, quelli per la dentatura permanente, dopo di che la lamina si esaurisce.
Nei Vertebrati con dentatura polifiodonte la lamina dentale permane come materiale indifferenziato per tutta la durata della vita dell'organismo, e la sostituzione dei denti sembra avvenire a onde che procedono lungo le mascelle dall'indietro in avanti.
di Guido Grippaudo
1.
I denti possono essere soggetti a numerosi tipi di anomalie. Quelle di sviluppo, spesso ereditarie, si determinano nel periodo embriogenetico a carico del numero o della struttura dei denti.
a) Anomalie di numero
Il mancato sviluppo di qualche dente è abbastanza frequente, specialmente per i terzi molari e spesso anche per l'incisivo laterale superiore e il secondo premolare inferiore, provocando in questi ultimi due casi una malocclusione. La mancanza totale o parziale di più denti (agenesia totale o parziale) è invece un evento raro, legato a fattori o malattie ereditarie, quali la displasia ectodermica anidrotica o la sindrome di Down. In questi casi bisogna cercare di conservare il più a lungo possibile gli eventuali denti decidui e provvedere poi al più presto all'applicazione di una protesi dentaria. Lo sviluppo di un maggior numero di denti, invece, dà luogo a denti definiti supplementari, se sono simili ai normali, o a denti soprannumerari, se malformati (conici); il più frequente fra questi è il dente che si interpone tra gli incisivi centrali superiori (mesiodens). Per evitare disarmonie nell'occlusione, si deve procedere all'estrazione.
b) Anomalie di struttura
Nel periodo embriogenetico, la gemma dentale attraversa varie fasi evolutive, che vanno dalla formazione del bottone epiteliale iniziale a quella dell'organo dello smalto e della papilla dentale per la produzione, rispettivamente, dello smalto e della dentina, alla mineralizzazione di queste sostanze e infine all'eruzione del dente nel cavo orale. Questo processo, che avviene in alcuni mesi per i denti decidui, impiega invece molti anni per quelli permanenti. Se in tale periodo interferisce una qualche patologia locale o sistemica si hanno difetti strutturali che vanno da alterazioni cromatiche fino ad alterazioni nella formazione dello smalto e della dentina (amelogenesi e dentinogenesi imperfetta). Caratteristiche a questo proposito le alterazioni cromatiche da tetraciclina, i difetti dovuti a carenze nutrizionali, i denti di Hutchinson nella lue congenita e le colorazioni o ipoplasie dello smalto nella fluorosi, che si manifesta negli individui che vivono in aree con alta concentrazione di fluoro nelle acque potabili.
c) Anomalie di eruzione
L'eruzione dei denti è un meccanismo fisiologico che per quelli decidui inizia a circa 6 mesi di età e si compie a circa 2 anni, e per i denti permanenti va dai 6 ai 21 anni circa: essa presenta comunque ampi margini di variabilità. Talvolta si ha un ritardo rilevante dell'eruzione o addirittura il dente può restare incluso nelle ossa mascellari, soprattutto per quanto riguarda i terzi molari e i canini. Tra i motivi principali di anomalia nell'eruzione, indipendentemente da ostacoli meccanici dovuti a neoformazioni o a persistenza del dente deciduo, vi è quello dell'insufficienza di spazio per inadeguato sviluppo dei mascellari o per estrazione precoce del dente deciduo, con avvicinamento di quelli confinanti. Una patologia abbastanza frequente a carico del terzo molare (dente del giudizio) è la disodontiasi, o difficoltosa e incompleta eruzione del dente stesso. In questi casi si viene a formare una specie di sacca delimitata dalla corona dentale, da una parte, e dalla mucosa gengivale che la ricopre, dall'altra, e in comunicazione con il cavo orale attraverso l'apertura prodotta da una parte di dente già erotto. La presenza all'interno di tale sacca di residui alimentari e batteri può determinare un'infiammazione dei tessuti circostanti (pericoronite) con possibili complicazioni per diffusione ai tessuti limitrofi e rischio di ascessi e flemmoni perimascellari. In questi casi si impone l'estrazione del dente interessato. Per quanto riguarda invece i denti completamente inclusi, se clinicamente silenti e in assenza di giustificate indicazioni all'estrazione, essi possono essere lasciati nel contesto dei mascellari per tutta la vita.
d) Altre anomalie
Abbastanza rare sono le trasposizioni, ossia i casi in cui un dente erompe lontano dalla sua sede naturale, e le geminazioni, fusioni e concrescenze in cui due corone dentali o due denti si fondono insieme in modo da costituire un solo corpo dentale. Un altro tipo di anomalia, o per meglio dire una disembrioplasia piuttosto complessa, espressione di un vero e proprio sovvertimento avvenuto nella lamina dentale durante il suo sviluppo, è l'odontoma, neoformazione costituita da ipersviluppo di singoli tessuti dentali calcificati ovvero raggruppati a formare una quantità di abbozzi di dente in miniatura, che spesso ostacolano meccanicamente l'eruzione di un dente; una volta diagnosticato, e spesso ciò avviene per caso a motivo della mancanza di sintomatologia clinica, è consigliabile provvedere all'asportazione chirurgica per evitare possibili complicazioni. Altra anomalia è la degenerazione cistica del follicolo dentale durante l'embriogenesi con la formazione di cisti follicolari che contengono un abbozzo di dente più o meno sviluppato; anche in questa evenienza si impone l'asportazione chirurgica.
2.
Secondo la definizione dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), la carie è un processo locale di origine estrinseca che compare dopo l'eruzione dentale, porta a una demineralizzazione dei tessuti duri del dente ed evolve nella formazione di una cavità.
Oggi è ormai chiaramente dimostrato che la carie è una malattia multifattoriale caratterizzata da tre fattori fra loro collegati:
1) particolari germi patogeni (acidogeni) aderenti alla superficie del dente (placca batterica);
2) un substrato alimentare (zuccheri) capace di essere metabolizzato da tali germi;
3) uno smalto dentale più solubile, a causa della sua struttura chimico-fisica, agli acidi che i germi formano come prodotto finale del metabolismo degli zuccheri.
In questo meccanismo la placca batterica si comporta come un vero e proprio laboratorio biochimico, dove gli zuccheri vengono adsorbiti e trasformati in acidi dalla flora batterica ivi presente. Tali acidi, a contatto dello smalto, lo solubilizzano creando iniziali perdite di sostanze che permettono la penetrazione e l'azione nel contesto dello smalto, oltre che da parte dei germi acidogeni, anche di germi proteolitici, che ne distruggono pure la parte organica. La cavità così formatasi tende ad allargarsi sempre più e una volta distrutto lo smalto invade la dentina; se non curata evolve verso un'infezione della polpa dentale (pulpite) fino a portare alla perdita del dente.
Si parla di carie di 1° grado quando è attaccato solo lo smalto; di 2° grado quando sono interessati lo smalto e la dentina; di 3° grado quando c'è un interessamento diretto o indiretto della polpa. La sintomatologia è in rapporto alle sollecitazioni che ricevono le terminazioni nervose situate nella polpa attraverso i tessuti mineralizzati, con sensazione di dolore temporaneo provocato dalle variazioni di natura termica o chimica nell'ambiente orale.
La terapia consiste nell'asportazione di tutti i tessuti colpiti e nella loro reintegrazione con materiali opportuni. Le pulpiti possono avere forme acute e croniche: mentre le prime sono caratterizzate da un forte dolore spontaneo, lancinante, persistente, non localizzato, specialmente notturno, nelle forme croniche il dolore è attenuato, intermittente e a volte inesistente. In entrambi i casi l'esito finale è la necrosi della polpa con scomparsa della sintomatologia dolorosa. Il trattamento consiste nell'asportazione di tutto il tessuto infetto o necrotico e nel riempimento dello spazio endodontico con materiali biocompatibili. Se la pulpite o la conseguente necrosi asintomatica della polpa non viene trattata, l'infezione oltrepassa l'apice radicolare del dente e invade il tessuto periapicale dando luogo alle periodontiti (o paradontiti) apicali acute e croniche. In quelle acute il dolore è intenso, localizzato e aggravato da ogni minimo trauma, compreso il contatto con i denti antagonisti. L'evoluzione clinica è quella del classico ascesso dentale che a volte, specie in individui defedati, può dar luogo a flemmoni perimascellari con importante sintomatologia tossicoinfettiva, tale da causare in passato il decesso di molti pazienti. Oggi una mirata terapia antibiotica, accompagnata dal drenaggio della raccolta purulenta e successivamente dal trattamento del dente, garantisce la guarigione. Spesso l'ascesso dentale drena spontaneamente all'esterno sulla mucosa o nel fornice gengivale e l'infezione si cronicizza, residuando come unico segno clinico una fistola che comunica direttamente con l'apice del dente interessato e da cui fuoriescono pus e liquido sieroematico.
Tra le forme croniche della parodontite apicale, in genere asintomatiche e quindi molto spesso diagnosticate per puro caso, la più insidiosa è la parodontite apicale cronica proliferativa, conosciuta come granuloma apicale. In questi casi all'apice del dente si forma un tessuto di granulazione che circoscrive la reazione infiammatoria cronica. Tale tessuto è potenzialmente infetto e ingloba nel suo contesto cellule epiteliali residuate dall'embriogenesi del dente. Il granuloma apicale, al pari di tonsilliti, dermatiti ecc., da una parte può essere la causa di patologie da stimoli focali a distanza, quali febbri intermittenti, artriti, endocarditi, nefriti ecc.; dall'altra può frequentemente trasformarsi in cisti radicolare apicale, con distruzione più o meno ampia dell'osso circostante. Per quanto riguarda la terapia, nelle manifestazioni iniziali uno svuotamento di tutto il canale radicolare fino a raggiungere il periapice, seguito da irrigazione con sostanze antisettiche e da una otturazione ermetica con materiali biocompatibili, porta a una guarigione clinica il cui risultato però non è sempre prevedibile; nei casi di focus accertato o in presenza di una grossa cisti bisogna procedere all'asportazione del dente causale e della cisti o almeno all'asportazione di tutti i tessuti infetti senza l'estrazione del dente (apicectomia).
La prevenzione della carie è fondata su tre interventi ormai universalmente riconosciuti:
1) controllo della placca batterica, sia con mezzi meccanici, quali spazzolino e filo interdentale, sia con mezzi chimici, come dentifrici e collutori;
2) controllo dell'assunzione degli zuccheri, evitando quelli più fermentabili (saccarosio), non ingerendone fuori dai pasti, riducendo la permanenza in bocca con un'adeguata pulizia dopo l'ingestione;
3) somministrazione di ioni fluoro, massimamente nei giovani che rappresentano la categoria più a rischio, per via sistemica, attraverso le acque potabili, il latte, le farine, il sale da cucina e le compresse fluorate alla dose da 0,25 a 1 mg al giorno secondo l'età, e per via locale, con pennellature, ionoforesi, sciacqui con soluzioni fluorate, dentifrici al fluoro.
Un sistema pratico, molto efficiente ma poco economico, è quello di sigillare i solchi dei denti appena erotti con una sostanza capace di isolarli e proteggerne la superficie dai batteri e dagli zuccheri. Tali applicazioni vanno ripetute periodicamente almeno fino ai 15 anni.
3.
Estremamente frequenti nei bambini, i traumatismi dentali hanno recentemente avuto un aumento di incidenza anche negli adulti, principalmente a causa dello sviluppo della motorizzazione. Un dente colpito da un trauma può lussarsi nel suo alveolo o fratturarsi in due o più parti. Indipendentemente dal tipo di trattamento ortopedico o restaurativo, è importante procedere alla terapia endodontica con l'asportazione della polpa dentale al momento che questa risulti non vitale, poiché la necrosi pulpare non trattata può evolvere in gravi patologie (cisti radicolari; v. sopra).
La patologia dei tessuti di sostegno dei denti si identifica con le parodontopatie, o patologie dei tessuti parodontali, che comprendono, oltre ai tessuti di sostegno veri e propri (osso alveolare, legamento alveolodentale e cemento dentale), anche la gengiva marginale e aderente posta a loro protezione. Le forme cliniche più frequenti sono le malattie infiammatorie, e cioè gengiviti e parodontiti, che evolvendo in forma cronica portano progressivamente alla distruzione del legamento alveolodentale e dell'osso alveolare con vacillamento progressivo dei denti fino alla loro perdita.
Mentre la carie dentale è la causa principale della perdita dei denti in giovane età, la parodontite cronica lo è in età adulta. Lo stadio preliminare della malattia è la gengivite marginale, determinata dai germi presenti nella placca batterica che, aderente alla superficie del dente dalla parte interna, è esternamente a contatto con l'epitelio del solco gengivale che circonda il colletto del dente stesso. Da qui i germi e le loro tossine penetrano nel tessuto connettivo sottostante determinando un fenomeno flogistico che, se non opportunamente controllato, porta all'estensione progressiva dell'infiammazione ai tessuti sottostanti e alla loro distruzione. L'evoluzione della malattia può essere aggravata da fattori locali, quali presenza di tartaro, anomalie nel combaciamento o nell'allineamento dei denti, protesi o ricostruzioni dentali improprie, o da fattori sistemici, quali il diabete, che altera i naturali meccanismi di difesa dell'organismo. La terapia è basata sull'eliminazione delle cause patogene e dei tessuti infetti e sulla stimolazione alla rigenerazione dei tessuti distrutti. Esiste una sola forma di gengivite acuta provocata da uno specifico agente infettivo (associazione fusospirochetale di Vincent). Essa evolve rapidamente con necrosi gengivale che, iniziando dalle papille interdentali, si diffonde poi ai rimanenti tessuti gengivali e parodontali. Il trattamento di elezione, oltre al controllo dell'igiene orale, è a base di antibiotici. Tra le parodontopatie devono poi essere citate le epulidi, neoformazioni connettivali benigne che prendono origine dai tessuti parodontali superficiali o profondi e si manifestano clinicamente con iperplasia e ipertrofia gengivale localizzata, che aumenta progressivamente di volume. Tra le cause vi sono le disfunzioni ormonali (epulidis gravidarum), la scarsa igiene orale e i microtraumi. Il trattamento consiste necessariamente in un'asportazione completa, allo scopo di evitarne la recidiva.
4.
L'ortodonzia è la branca dell'odontoiatria che mira alla correzione delle anomalie dentomaxillofacciali. La corretta posizione dei denti nelle due arcate costituisce il presupposto per un'altrettanto corretta interrelazione delle arcate mascellari fra loro e garantisce la funzionalità ottimale dell'organo della masticazione insieme a un apprezzabile aspetto estetico. Qualora la posizione, l'allineamento, l'inclinazione dei denti non siano corretti, si manifesta una malocclusione che compromette in vario modo una o più funzioni dell'apparato buccodentale: la masticazione, la fonetica e l'estetica. Le cause sono spesso da collegare, oltre che a errate linee di sviluppo di carattere genetico, a fattori estrinseci, quali abitudini viziate (respirazione orale, deglutizione infantile), oppure a patologie dentali intercorrenti (mancata eruzione dentale, estrazioni precoci). Il problema della diagnosi, forse più che della terapia, ha differenziato le varie scuole, segnando le tappe del progresso dell'ortodonzia.
Agli inizi del 20° secolo la diagnosi veniva fatta sul riscontro dell'esame obiettivo; in questa ottica il primo odontoiatra che prese in considerazione la materia da un punto di vista prettamente scientifico fu l'americano E.H. Angle, che analizzò il rapporto mesiodistale (anteroposteriore) di combaciamento tra l'arcata superiore e quella inferiore. Prendendo come riferimento il rapporto del primo molare permanente superiore (dente chiave) con il corrispettivo primo molare inferiore, Angle distinse così: lª classe, o normocclusione, quando la cuspide mesiovestibolare del primo molare superiore occlude nel solco vestibolare del primo molare inferiore; 2ª classe, o distocclusione, quando la cuspide mesiovestibolare del primo molare superiore è spostata anteriormente rispetto alla normocclusione; 3ª classe, o mesiocclusione, quando la cuspide mesiovestibolare del primo molare superiore è spostata posteriormente rispetto alla normocclusione. La suddivisione di Angle è valida ancor oggi per la facilità con cui è possibile distinguere le tre classi dentali, nonostante essa riveli grandi limiti, in quanto trascura le anomalie verticali e trasversali, non tiene conto dei rapporti scheletrici e, inoltre, accomuna sotto la stessa classe anomalie differenti dal punto di vista eziologico, morfologico e terapeutico.
Nel corso degli anni, dunque, il progresso dell'ortodonzia ha portato a sempre più moderni procedimenti diagnostici e terapeutici, che hanno preso in considerazione l'occlusione dentale non solamente in senso anteroposteriore, ma anche in senso verticale (morso aperto e morso profondo) e trasversale (morso crociato). Oltre a ciò, sono state analizzate le malformazioni scheletriche dell'osso alveolare e delle ossa basali, che determinano le anomalie dentoscheletriche di 2ª classe (protrusione mascellare o retrusione della mandibola) e quelle di 3ª classe scheletrica, che si manifestano con il progenismo (con la mandibola in posizione di protrusione).
Per un corretto approccio al problema è quindi evidente che non basta il semplice esame clinico, accompagnato dallo studio dei modelli e delle foto, ma occorre anche l'esame cefalometrico su una teleradiografia laterolaterale e posteroanteriore del cranio, in cui vengono individuati riferimenti fissi nel senso delle tre dimensioni dello spazio, che permettono di ottenere misurazioni angolari e lineari. Tenendo presenti i valori del tipo definito 'normale', si può, in rapporto a questo, valutare ogni anomalia, controllare la crescita facciale, avere un'indicazione per quanto riguarda la terapia, sorvegliando poi quest'ultima nel tempo. Su tale base sono sorte numerose tecniche, in rapporto ai punti di repere da prendere in considerazione e quindi in funzione della determinazione del tipo normale e del piano terapeutico da adottare. Queste diverse tecniche, tra cui si possono ricordare quelle di Steiner, Ricketts, Biggerstaff, Delaire e Giannì, caratterizzano attualmente le varie scuole ortodontiche.
Da un punto di vista terapeutico si possono inoltre distinguere varie branche della disciplina.
a) Ortodonzia preventiva . - Mira a evitare l'insorgenza delle anomalie dentomaxillofacciali. Essa corregge eventuali abitudini viziate, come l'abuso delle tettarelle, il succhiamento delle dita, la permanenza della deglutizione atipica infantile, la respirazione orale ed eventuali atteggiamenti scorretti di postura. È inoltre importante mantenere aperti gli eventuali spazi che si possono creare per perdita precoce dei denti decidui.
b) Odontoiatria intercettiva. - Si pone come obiettivo la modificazione dei vettori di crescita nell'età evolutiva, inducendo una crescita pilotata, idonea a rimodellare le strutture ossee. Essa consiste essenzialmente in una terapia miofunzionale, al fine di ottenere uno sviluppo armonico delle ossa mascellari, correggendo o guidando opportunamente le forze muscolari e affiancandovi eventualmente una terapia ortopedica attiva per modificare la struttura ossea.
c) Terapia ortognatodontica. - Tende a una buona estetica e a una funzionalità che durino nel tempo. Ciò può essere attuato spostando i denti nel loro alveolo, oppure l'osso alveolare nell'osso basale o, ancora, l'osso basale rispetto alle altre ossa craniofacciali. Per ottenere tali spostamenti vengono utilizzate metodiche ortognatodontiche oppure chirurgiche.
Le prime possono essere attuate con apparecchiature rimovibili o fisse, secondo la tecnica multibande Edgewise, l'applicazione di espansori per il mascellare superiore e altre metodiche di competenza specialistica. Le tecniche chirurgiche si avvalgono di vari tipi di osteotomie, seguite successivamente dal riposizionamento tridimensionale dei segmenti ossei secondo un programma prestabilito e, quindi, dalla loro contenzione mediante osteosintesi.
5.
Per protesi dentaria si intende qualsiasi manufatto idoneo a sostituire uno o più denti naturali mancanti. In passato le protesi dentarie servivano soltanto a fini estetici, al punto da venire temporaneamente tolte dalla bocca durante la masticazione. Successivamente il progresso della tecnologia e dei materiali di fabbricazione ha permesso notevoli sviluppi delle loro proprietà meccaniche ed estetiche. In particolare, un impulso decisivo è venuto dalla possibilità del rilievo di impronte del cavo orale (v. oltre).
Le migliori conoscenze della fisiologia della masticazione hanno infine consentito la realizzazione di protesi che, oltre all'estetica, rispettano l'anatomia, la fisiologia e le leggi della biomeccanica, consentendo di ristabilire in toto le funzioni masticatoria, fonetica ed estetica dell'apparato buccodentario. Le diverse tipologie di protesi possono essere essenzialmente distinte in: fisse, cioè cementate su due o più denti residui chiamati denti pilastro; rimovibili, che possono essere rimosse dal paziente a sua discrezione e la cui ritenzione è in genere affidata a ganci metallici; amovo-inamovibili, cioè una combinazione di entrambi i sistemi, collegati da attacchi di precisione. Un'altra classificazione è invece correlata con la sede sulla quale vengono trasmesse le forze della masticazione.
Così, si possono avere protesi fisiologiche, quando tali forze vengono trasmesse sui denti residui (denti pilastro), come avviene nelle protesi a ponte, che consistono essenzialmente in due corone fissate su due denti pilastro uniti da una travata costituita da uno o più denti artificiali che sostituiscono quelli mancanti; in questi casi i denti pilastro vanno prima limati per ridurre il loro volume, così da permettere poi una ricostruzione nel rispetto della funzione e dell'estetica. Viceversa, vengono indicate come protesi afisiologiche quelle in cui tutte le forze della masticazione vengono trasmesse sulla mucosa, tessuto non idoneo a sopportare carichi masticatori: tali protesi possono essere parziali, assai diffuse per il loro basso costo di fabbricazione, o totali, con sostituzione di tutti i denti di un'arcata; in quest'ultimo caso la ritenzione delle protesi (la classica dentiera) è affidata all'ermeticità del sigillo marginale che permette, sotto una leggera pressione e un'altrettanto leggera deformazione dei tessuti molli sottostanti, di creare il vuoto tra protesi e mucosa orale con l'interposizione di un sottile strato di saliva; si viene in questo modo a creare, in funzione della differenza di pressione tra l'esterno e l'interno della protesi, un effetto ventosa.
Esiste inoltre una protesi detta semifisiologica, in cui le forze della masticazione vengono trasmesse in parte sui denti e in parte sulla mucosa, come accade nelle protesi scheletriche, o scheletrati, in cui i ganci metallici svolgono una funzione non solamente di ritenzione, ma anche di assorbimento delle forze masticatorie esercitate sui denti artificiali che poggiano sulla mucosa.
Le protesi possono essere anche classificate in rapporto al numero dei denti da sostituire, distinguendo così protesi parziali, quando vengono ripristinati soltanto alcuni denti mancanti, e totali, se vengono sostituiti tutti i denti di un'arcata. Più correttamente, si parlerà dunque di protesi parziali fisse, rimovibili o amovo-inamovibili e protesi totali. Ancora, le protesi possono essere distinte in provvisorie, se devono essere utilizzate per brevi periodi di tempo, definitive, se destinate a durare a lungo, e immediate, se realizzate contestualmente all'estrazione dei denti che esse sostituiscono. I materiali con cui sono fabbricate le protesi hanno registrato nel tempo una notevole evoluzione.
Nei precorsi storici sono stati utilizzati denti e ossa di animali, denti umani, legno, avorio ecc., ma una vera svolta nella realizzazione delle protesi si è avuta soltanto verso la metà del 19° secolo allorché si cominciò ad avvalersi della possibilità del rilievo delle impronte delle strutture del cavo orale. Le impronte forniscono una riproduzione fedele della parte della bocca interessata: su questi modelli, realizzati generalmente in gesso, l'odontotecnico lavora per costruire protesi adeguate alle necessità del singolo caso. Da ciò risulta l'importanza strategica del rilievo dell'impronta, dalla cui precisione dipende il successo delle protesi stesse; l'odontotecnico infatti, per costruire una protesi corretta, deve poter leggere sui modelli tutti i dettagli morfologici delle strutture del cavo orale. Oggi le protesi fisse sono costruite generalmente con una struttura metallica realizzata con leghe nobili (leghe auree) o non nobili, rivestite con resine sintetiche o ceramica, che riproducono al meglio le forme e il colore dei denti mancanti.
Solo recentemente, grazie al progresso della tecnologia, sono state messe a punto protesi fisse di sola ceramica, specialmente per le sostituzioni dei denti anteriori. Per le basi delle protesi rimovibili vengono invece utilizzate resine sintetiche a base di polimeri (polimetilmetacrilati), mentre i denti artificiali in commercio possono essere costituiti da resine sintetiche o porcellana. Nelle protesi scheletrate la struttura metallica è fabbricata con leghe non nobili al cromo-cobalto-nichel, dette stelliti.
L'implantologia si avvale di tecniche chirurgiche al fine di creare, per mezzo di impianti alloplastici, pilastri artificiali fissi sui quali applicare successivamente protesi dentali. Gli impianti possono essere iuxtaossei ed endoossei. I primi furono utilizzati in passato principalmente come sostegno di protesi totali. La tecnica prevedeva un primo intervento in cui, messa a nudo la cresta ossea, ne veniva rilevata un'impronta; successivamente si realizzava in laboratorio una griglia metallica perfettamente aderente alla riproduzione della cresta, in modo da distribuire uniformemente il carico masticatorio; dalla griglia si dipartivano, verso la cavità orale, vari pilastri idonei a sorreggere la futura protesi; in un successivo intervento chirurgico la griglia veniva posizionata sotto al periostio e sui pilastri che fuoriuscivano nel cavo orale veniva applicata la protesi. Il notevole progresso raggiunto dalla tecnica degli impianti endoossei, che rappresentano uno dei traguardi più interessanti della moderna odontoiatria, ha relegato questa metodologia a limitate indicazioni.
La tecnica chirurgica consiste oggi nel creare uno o più alveoli artificiali nel contesto delle ossa mascellari, nei quali inserire degli impianti alloplastici su cui vengono adattati poi dei pilastri artificiali idonei a sorreggere una protesi. La forma degli impianti e la tecnica di collegamento alle protesi hanno differenziato le varie scuole implantologiche contribuendo notevolmente al progresso della disciplina. I materiali utilizzati sono leghe al cromo cobalto o al platino iridio, acciaio inossidabile, tantalio, titanio e ceramica. Tra i vari tipi di impianti ricordiamo quelli a spirale cava, a spirale piena o misti, oltre a quelli a lama, ad ago, ad ansa, a moncone pieno, a moncone cavo.
Le esperienze cliniche hanno progressivamente portato alla risoluzione dei molti problemi legati alla stabilità degli impianti e alla loro integrazione tessutale ossea e mucosa. Le metodiche adottate in Svezia da P.I. Brånemark negli anni 1952-70 hanno affermato la necessità dell'osteointegrazione dell'impianto, intendendo per osteointegrazione una connessione strutturale diretta tra un osso vitale e la superficie di un impianto. Attualmente l'implantologia ha controindicazioni soltanto in particolari condizioni anatomiche e in pazienti con gravi patologie.
Si distingue una tecnica chirurgica per impianti 'sommersi' in cui, una volta inserito l'impianto nell'osso alveolare, questo rimane sommerso, cioè ricoperto dai tessuti molli per un periodo di tempo che varia, a seconda della struttura dell'osso, da 3 a 6 mesi, tempo sufficiente per garantire un'osteointegrazione ottimale. Poi, con un secondo intervento, si scopre la parte dell'impianto che servirà come unità di ancoraggio per la protesi.
L'altra tecnica è quella per impianti 'non sommersi' in cui l'impianto, inserito nell'osso, emerge nel cavo orale dai tessuti gengivali. Anche in questo caso l'impianto non viene utilizzato per un periodo di tempo che varia da 3 a 6 mesi per favorire l'osteointegrazione. Trascorso il periodo, senza bisogno di altri interventi chirurgici, si inserisce sull'impianto l'unità di ancoraggio per l'applicazione della protesi.
I continui progressi dell'implantologia hanno portato, a seguito di variazioni strutturali della superficie degli impianti, a una sempre più rapida osteointegrazione e quindi a una più precoce applicazione della protesi definitiva. L'implantologia permette di risolvere qualsiasi problema protesico: dalla sostituzione di un singolo dente a quella di tutti i denti con l'utilizzazione di più pilastri artificiali o con una protesi totale tradizionale, ancorata però a due soli impianti pilastro (overdentures).
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