Abstract
Le azioni di nunciazione – denuncia di nuova opera e di danno temuto – vengono studiate in una duplice prospettiva: la prima è quella tradizionale, consistente nell'analisi delle norme sostanziali, gli rtt. 1171 e 1172 c.c., e di quelle processuali, attraverso le quali esse si collocano all'interno della disciplina dei procedimenti cautelari; la seconda è quella funzionale, tendente alla dimostrazione della funzione preventiva di un danno, incipiente ma ancora non verificato, che esse svolgono nel sistema.
1. Origini storiche
Le azioni di nunciazione hanno origini antiche ed anche piuttosto controverse.
L’istituto della operis novi nuntiatio, secondo alcuni, ha origini civilistiche: nasce, cioè, fin dall’epoca delle legis actiones, per contrastare le opere che taluno eseguisse in alieno, in particolare sul fondo del denunciante. Altri, tra gli storici, invece, ritengono che la sua origine sia pretorile. In alcuni frammenti di epoca classica, infatti, l’istituto veniva definito beneficium praetoris, per cui si riteneva di poter collegare la sua origine all’editto del pretore urbano.
Quanto, invece, alla denuncia di danno temuto, le fonti classiche parlano di vitium loci aedium operis, con riferimento ad uno “stato difettoso” (Branca, G., Danno temuto e danno da cose inanimate in diritto romano, Padova, 1957, 105) di un fondo, di una casa, di un’opera, già esistenti. Chi teme il verificarsi del danno pretende dal vicino una stipulatio damni infecti, cui consegue, in caso di rifiuto, la missio in possessionem della casa, del fondo, dell’opera, da parte del minacciato.
Nell’evoluzione dal diritto classico a quello giustinianeo, la missio in possessionem perde il carattere di pena privata, in favore di una precisa responsabilità per lo stato difettoso di un edificio o di un’opera già terminata, con corrispondente diritto del vicino minacciato, legittimato a richiedere, dinanzi al pretore, una cautio damni infecti; il rifiuto di essa conduceva comunque alla missio in possessionem, che aveva, in realtà, carattere penale.
Le azioni nunciative mostrano, sin dalle origini, una chiara funzione preventiva, che risulta evidente malgrado il diritto antico non conoscesse l’esatta distinzione tra strumenti di tutela penalistica e strumenti di tutela civilistica.
2. La denuncia di nuova opera
2.1 La nuova opera e il problema della sua illegittimità
Ai sensi dell’art. 1171 c.c., il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore possono denunciare all’autorità giudiziaria l’intrapresa di una nuova opera sul fondo proprio o su quello altrui, allorché temono che ne derivi danno alla cosa oggetto del proprio diritto o del proprio possesso.
Oggetto della censura è, quindi, quell’opera materiale che presenti il carattere della novità rispetto all’originario assetto dei luoghi, iniziata ma ancora non conclusa.
Essa può anche non consistere, in senso stretto, in una nuova costruzione ma trattarsi di una ricostruzione o ristrutturazione di edificio già esistente (Bianca, C.M., Diritto civile, 6, Milano, 1999, 872; Masi, A., Il possesso e la denuncia di nuova opera e di danno temuto, in Tratt. contratti Rescigno-Gabrielli, 8, II ed., Torino, 2002, 515) e, comunque, può riguardare una piantagione, o uno scavo per la realizzazione di un fosso o di un canale (Jannuzzi, A., Denuncia di nuova opera. b) Diritto vigente, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 172; Cabella Pisu, L., Denuncia di nuova opera e di danno temuto, in Dig. civ., V, Torino, 1989, 196; Franchi, G., Le denunce di nuova opera e di danno temuto, Padova, 1968, 91 ss.); un’opera realizzata in superficie, o nel sottosuolo. Requisito ineludibile, nelle varie ipotesi, è rappresentato dall’intervento dell’uomo: c’è nuova opera solo là dove sia intervenuta un’attività umana produttiva di una modificazione, quantitativa e/o qualitativa, dello stato dei luoghi (Jannuzzi, A., Denuncia, cit., 136 s.; dubbioso Masi, A., Il possesso, cit., 637 s.), la quale sia rilevante e destinata a durare nel tempo, ancorché non assolutamente definitiva o permanente (Franchi, G., Le denunce, cit., 94; Masi, A., Il possesso, cit., 638).
La denuncia di nuova opera, pertanto, si legittima da un rapporto tra uomo e res: ciò che si censura è proprio l’intervento umano su un assetto già condiviso dal denunciante, ancorché non necessariamente allo stesso appartenente a titolo di proprietà.
Quell’attività risulta potenzialmente dannosa e il denunciante ha legittimazione ad agire, a prescindere dal fatto che la sua pericolosità sia riconducibile a quanto fino a quel momento realizzato, oppure all’opera completata.
L’azione deve essere esercitata non oltre l’anno dall’inizio dei lavori, termine che decorre dall’inizio dell’opera nuova e non dalla conoscenza di essa, a meno che non sia stata iniziata clandestinamente; in tal caso il dies a quo è rappresentato dal momento di cessazione della clandestinità (così Masi, A., Il possesso, cit., 639; Jannuzzi, F., Denuncia, cit., 175).
Si tratta di un termine piuttosto breve e di decadenza, congruente con l’intrinseca pericolosità dell’opera nuova; secondo G. Franchi (Le denunce, cit., 99), il giudice non può rilevare d’ufficio il non avvenuto inizio dell’opera nuova, in quanto è interesse esclusivo del denunciato.
L’opera nuova può gravare sul fondo del denunciante o su fondo altrui, col quale, naturalmente, egli abbia una relazione giuridicamente rilevante: per es. denunciante potrebbe essere il possessore, mentre il fondo appartiene ad un altro soggetto da cui egli abbia ricevuto legittimamente il possesso; o, negli stessi termini, potrebbe essere l’usufruttuario. Oppure è possibile che essa venga intrapresa sul fondo del vicino confinante.
Altro punto discusso tra gli interpreti è quello dell’illegittimità dell’opera. L’art. 1171 c.c non ne fa espressa menzione, ma attribuisce rilevanza soltanto alla sua potenzialità dannosa. C’è da chiedersi, allora, se lo strumento della denuncia in esame possa essere utilizzato nei confronti di un’opera in faciendo che risulti pericolosa, ancorché del tutto legittima.
Il giudice della denuncia di nuova opera deve porre rimedio ad una situazione di pericolo: quella è la funzione della fase cautelare. Il provvedimento adottato, pertanto, almeno nel caso di accoglimento della domanda, non potrà che consistere in un ordine di sospensione dei lavori, il quale avrà lo scopo di impedire che il protrarsi dell’attività dallo stesso riscontrata come pericolosa, diventi produttivo di vero e proprio danno. Si tratterà, quindi, di un’ordinanza a contenuto inibitorio e con funzione preventiva.
Ciò che si previene, naturalmente, è il danno, non già l’illecito, il quale, probabilmente, si è già verificato, o, per lo meno, il denunciante, nella misura in cui censuri il pericolo (di danno, appunto), afferma che esso si è verificato.
Ed allora si può concludere nel senso che se la condizione di pericolo c’è, esso è stato provocato da un comportamento altrui almeno prima facie illecito; in presenza di quell’illiceità il giudice della cautela può emettere un’inibitoria contro il suo autore. Nel successivo giudizio di merito, invece, svolti gli opportuni accertamenti, potrà anche concludere nel senso che quell’illiceità non vi fosse già ab origine, con la logica conseguenza che, evidentemente, era insussistente anche il pericolo.
In ragione di tale possibile ribaltamento, la misura cautelare di nuova opera è, generalmente, accompagnata dalla prestazione di cauzione (in senso piuttosto conforme, Satta, S., Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, Milano, 1968, 237).
2.2 Funzione preventiva della tutela
Elementi costitutivi della fattispecie, attraverso la quale si realizza la denuncia di nuova opera, sono: a) la correlazione necessaria e diretta tra la modifica dei luoghi posta in essere e il danno che potrebbe verificarsi; quindi nesso di causalità riscontrabile attraverso ordinari criteri di valutazione e non necessariamente attraverso criteri tecnici; b) l’entità del timore di quel danno, che consiste non nella certezza, ma solo nell’esistenza di un ragionevole dubbio che esso si verifichi (Cass., 22.1.2001, n. 802). Il danno, inoltre, può essere inteso sia in senso materiale, sia nel senso di una deminutio all’esercizio dei diritti o delle facoltà giuridiche del denunciante (Masi, A., Il possesso, cit., 639; Patelli, A., I procedimenti nunciativi, in I procedimenti cautelari, a cura di G. Tarzia, II ed., Padova, 2004, 105; per la giurisprudenza, Cass., 12.3.2002, n. 3573; Cass., 30.7.1988, n. 4802); può essere diretto nei confronti del bene del denunciante o delle cose (o animali, ma non persone) che vi si trovino.
Al di là di tale considerazione, appare capziosa l’altra, sull’ingiustizia del danno minacciato. È senz’altro condivisibile la posizione di chi (Bianca, C.M., Diritto civile, cit., 873) ritiene che laddove vi sia danno – nel senso di lesione o violazione del diritto o del possesso di taluno, od anche semplice limitazione dell’esercizio degli stessi – quello non possa che essere ingiusto: quest’ultima caratteristica è in re ipsa, poiché, almeno nel caso in esame, all’origine c’è un’ illiceità del comportamento del denunciato (cfr. le contrastanti opinioni di Sacco, R., Possesso. Denuncia di nuova opera e di danno temuto, in Tratt. Grosso-Santoro Passarelli, Milano, 1960, 145 ss., il quale afferma che una fattispecie conforme al diritto non può dar luogo alla denunzia e di De Cupis, A., Fatti illeciti, in Comm. c.c. Scialoja - Branca, II ed., Bologna-Roma, 1971, 10 s., secondo cui il danno ingiusto è quello arrecato «a qualsiasi interesse giuridicamente e direttamente tutelato»).
In conseguenza, si può concludere nel senso che il danno minacciato è senz’altro ingiusto; inoltre quel danno è futuro, non si deve essere ancora verificato al momento della denuncia, la quale si incentra tutta sul timore, del denunciante, che esso si verifichi.
L’illecito originariamente commesso è, quindi, illecito di pericolo.
3. La denuncia di danno temuto
3.1 Il rapporto tra le res
A norma dell’art. 1172 c.c., il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore può denunziare all’autorità giudiziaria l’esistenza di una situazione di fatto, dalla quale teme derivi danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso.
Diversamente che per la denuncia di nuova opera, qui il rapporto fondamentale corre tra cosa e cosa (Jannuzzi, F., Denuncia, cit., 174); pertanto, il pericolo di danno prescinde dal compimento di un’attività umana e deriva direttamente dalla cosa che «sovrasti pericolo» – secondo le parole usate dal legislatore – in confronto sempre dell’altra cosa, che forma oggetto del diritto o del possesso del denunciante.
Non si tratta, inoltre, di un’opera nuova, bensì di cosa esistente e caratterizzante proprio l’assetto originario dei luoghi. È necessario, tuttavia, che sussista un altro elemento affinché la fattispecie si verifichi, ancorché la norma dell’art. 1172 non ne faccia alcuna menzione: esso è rappresentato dal comportamento omissivo del proprietario, o, più in generale, di colui che abbia la legittima disponibilità del bene da cui genera il pericolo di danno (Cabella Pisu, L., Denuncia, cit., 198; Basilico, G., La denuncia di danno temuto. Contributo allo studio della tutela preventiva, in Riv. dir. civ., 2005, I, 41 ss.).
Si è verificato, quindi, un non facere del denunciato, la violazione, cioè, di un (obbligo di) facere concretantesi nella disattenzione degli obblighi di custodia e manutenzione che gravano su chiunque abbia la legittima disponibilità di un bene, a prescindere dal titolo di proprietà, di possesso, o di mera detenzione, secondo il chiaro disposto dell’art. 2051 c.c. (in tal senso Bianca, C.M., Diritto civile, cit., 876; Franchi, G., Le denunce, cit., 179 ss.; Cabella Pisu, L., Denuncia, cit., 198, sia pure con un diverso inquadramento della portata dell’art. 2051).
Laddove il pericolo di danno alla cosa non fosse in alcun modo riconducibile alla mano dell’uomo, non vi potrebbe essere tutela nunciativa di danno temuto, perché quel pericolo di danno deriverebbe dal caso fortuito (così Masi, A., Il possesso, cit., 636; Basilico, G., La denuncia, cit., 42 s.).
3.2 Oggetto della denuncia e funzione della tutela
Si evidenzia, così, l’effettivo ambito oggettivo della denuncia di danno temuto. Siamo di fronte, ancora una volta, alla figura dell’illecito di pericolo. Laddove sussista una relazione di custodia tra il soggetto e il bene materiale, il primo è responsabile ogni volta che quello possa cagionare danno ad altri beni, nella misura in cui egli non abbia ottemperato all’obbligo di custodia, a prescindere dal rapporto sottostante.
È discusso in dottrina se la responsabilità per omessa custodia – e quindi l’illecito non facere – sia oggettiva o responsabilità per colpa. Ritengo maggiormente condivisibile la seconda opinione (conf. Bianca, C.M., Diritto civile, 5, Milano, 1994, 718; Cass., 28.10.1995, n. 11264 e Cass., 9.2.1994, n. 1332, secondo le quali si tratta di una presunzione di colpa iuris tantum), che vede una presunzione legale di colpa del custode, il quale violi i suoi obblighi di sorveglianza e alla quale ci si può sottrarre solo attraverso la prova liberatoria del caso fortuito.
L’evidenziato profilo consente, altresì, di differenziare con chiarezza il ruolo dell’opera umana e la correlativa responsabilità, tra la denuncia di nuova opera e quella di danno temuto: nel primo caso c’è un illecito contegno commissivo, la violazione di un obbligo di non facere, che produce direttamente pericolo di danno alla cosa altrui; nel secondo c’è un illecito contegno omissivo, la violazione di un obbligo di facere, che incide sulla cosa disponibile per il suo autore, la quale diventa, così, pericolosa per quella altrui. In ogni caso, occorre che il danno non si sia verificato: esso deve essere, appunto, temuto e quindi futuro. Di conseguenza, il contenuto di quella tutela è lato sensu inibitorio e la sua funzione è chiaramente preventiva.
Oggetto dell’inibitoria, in particolare, è l’illecito non facere; il contenuto dell’ordine del giudice consiste nella cessazione di un illecito contegno omissivo, quindi, è un ordine di facere, di porre in essere quei comportamenti la cui omissione consiste in una violazione di legge – e pertanto è illecita – e che il denunciato aveva omesso.
4. Profili processuali
4.1 Le azioni di nunciazione come tutele cautelari
I processi per denuncia di nuova opera e di danno temuto sono soggetti, ai sensi dell’art. 669 quaterdecies, alle regole del rito cautelare uniforme ed appartengono, quindi, a quella categoria di procedimenti. La legge n. 353 del 1990, infatti, ha abrogato gli artt. 689 e 690 c.p.c., specificamente ad essi dedicati, mantenendo in vita l’art. 688 c.p.c., relativo alla forma dell’istanza, e l’art. 691, integrante la disciplina dell’attuazione delle misure cautelari per nuova opera e per danno temuto.
Alla domanda se si tratti di provvedimenti tipici o atipici non si può dare una risposta uniforme (per una ricognizione del problema cfr. Cabella Pisu, L., Denuncia, cit., 194). Con entrambe le azioni si denuncia una situazione di pericolo che, rispetto, per esempio, al pregiudizio imminente e irreparabile di cui all’art. 700 c.p.c., presenta sicuramente dei tratti di maggiore tipicità. Mentre, infatti, nell’art. 700, malgrado la qualificazione di essi offerta dal legislatore, sono indeterminati i confini del pregiudizio che minaccia il diritto tutelando, nelle azioni nunciative il pericolo denunciato presenta una più chiara fisionomia: nella nuova opera deriva, appunto, dall’opera in itinere e quindi da un facere del denunciato, nel danno temuto deriva dal non facere del denunciato e passa necessariamente per la cosa di cui esso è responsabile, in confronto di quella del denunciante (sui profili di differenziazione tra la tutela urgente ex art. 700 e le denunce, cfr. Cass., 28.11.1953, n. 3605, in Giust. civ., 1953, I, 3377, nonché Arieta, G., Le cautele. Il processo cautelare, in Trattato di diritto processuale civile, IX, II ed., Padova, 2011, 407 ss., secondo il quale la misura di cui all’art. 1171 è senz’altro tipica, mentre quella di cui all’art. 1172 lo è solo con riferimento al periculum, non al contenuto dei provvedimenti pronunciabili).
4.2 La legittimazione attiva e passiva
L’individuazione dei soggetti legittimati attivamente e passivamente, nelle azioni di nunciazione, non presenta particolari difficoltà, essendo chiara la lettera degli artt. 1171 e 1172.
Sono legittimati attivamente il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento, o il possessore; più in particolare, nella denuncia di nuova opera, se la costituzione del diritto limitato sul bene è avvenuta sotto condizione sospensiva o risolutiva, la legittimazione spetterà al proprietario, nel caso che la condizione sia ancora pendente, mentre se si fosse verificata, spetterebbe al titolare del diritto limitato. Altrettanto dicasi di fronte ad un rapporto di semplice alienazione del bene minacciato (cfr. Jannuzzi, F., Denuncia, cit., 175 ss.; per un’analisi accurata delle relative problematiche, Franchi, G., Le denunce, cit., 191 ss.).
L’azione è data anche al comunista o al compossessore in confronto di terzi a tutela della cosa comune, sia in caso di inerzia dell’amministratore, sia a prescindere da essa (così Patelli, A., I procedimenti, cit., 109 e giurisprudenza ivi citata). Con riguardo, invece, all’azione del comunista nei confronti del condominio o di altri comunisti, occorre verificare che il denunciante non abbia partecipato favorevolmente alla delibera dell’opera nuova, altrimenti non ha legittimazione (Jannuzzi, F., Denuncia, cit., 176; Trib. Trani, 30.1.2009, in www.giurisprudenzabarese.it).
Quanto, infine, al rapporto tra proprietario del bene e titolare del diritto reale di godimento sullo stesso bene, è senz’altro ammissibile l’azione dell’uno contro l’altro, nella misura in cui l’uno sia esposto a pericolo dalle attività innovative dell’altro.
Generalmente si esclude, dal novero dei legittimati attivi alla denuncia di nuova opera, il detentore, ancorché qualificato, quale il conduttore (così Jannuzzi, F., Denuncia, cit., 177; Masi, A., Il possesso, cit., 641 e la prevalente giurisprudenza: per es. Cass., 31.1.1983, n. 848; contra; Franchi, G., Le denunce, cit., 199 ss.).
Nella denuncia di danno temuto, oltre alla disposizione letterale dell’art. 1172, occorre precisare che, per es., per quanto attiene ai rapporti tra il proprietario e il titolare di un diritto limitato sullo stesso bene, per es. l’usufruttuario, quest’ultimo avrà legittimazione nei confronti del primo allorché il pericolo alla cosa derivi dalla mancata realizzazione di opere di straordinaria manutenzione a quello spettanti; egli, invece, avrà l’azione nei confronti dell’usufruttuario allorché, a parti invertite, quest’ultimo non abbia realizzato quei lavori di ordinaria manutenzione cui risultava obbligato (Jannuzzi, F., Denuncia, cit., 177).
Anche nella denuncia di danno temuto si esclude, generalmente, la legittimazione attiva del detentore.
Quanto alla legittimazione passiva, ancora una volta occorre distinguere tra nuova opera e danno temuto. Nel primo caso, poiché l’oggetto della denuncia è proprio la nuova opera, è chiaro che il destinatario, o legittimato passivo della stessa, non può che essere colui che volontariamente la intraprende sul proprio o sull’altrui fondo; non necessariamente, pertanto, il proprietario, almeno del fondo su cui l’opera nuova viene ad insistere, ma colui che ne assume l’iniziativa e soprattutto se ne assume la responsabilità, anche se non la realizza materialmente (si pensi all’opera nuova realizzanda in esecuzione di un contratto di appalto: legittimato passivo sarà il committente, non l’appaltatore, a meno che quest’ultimo non abbia agito in violazione delle regole contrattuali che gli erano state imposte; così Jannuzzi, F., Denuncia, cit., 178).
Alla luce della normativa vigente, non è condivisibile quella giurisprudenza che continua a distinguere la legittimazione passiva della fase cautelare da quella del merito: oggi esse si identificano (cfr. Cass., 6.10.2000, n. 13327; Cass., 16.7.1992, n. 8648; ma contra, Trib. Catania, 26.8.1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 675).
Anche nel caso del danno temuto, la denuncia non colpisce necessariamente il proprietario della cosa pericolosa, ma colui che ne è responsabile, illegittimamente venuto meno all’obbligo di custodia e manutenzione di quella cosa e facendo sì che diventasse pericolosa.
Si potrà agire, pertanto, in confronto del possessore, dell’usufruttuario, ma anche del nudo proprietario, se l’incuria consiste nella mancata realizzazione di opere di straordinaria manutenzione che a lui spettavano; così come del titolare del fondo servente, il quale è tenuto a compiere le opere necessarie per l’esercizio della servitù (co. 2 dell’art. 1067 c.c.; cfr. Cass., 11.1.2001, n. 345 e, per un’analisi attenta della ripartizione dell’obbligo di custodia sui diversi soggetti potenzialmente destinatari, cfr. Cass., 9.2.2004, n. 2422, in Riv. giur. ed., 2004, I, 1320).
Quanto al detentore, è condivisibile l’opinione di chi (Jannuzzi, F., Denuncia, cit., 179) ritiene che, nei limiti degli obblighi di manutenzione spettanti, per es., al conduttore, egli possa considerarsi responsabile della pericolosità derivante dall’avervi disatteso. Ma il tema della legittimazione passiva alla denuncia di danno temuto investe pure un altro soggetto: la pubblica amministrazione. Chiaramente, là dove l’azione del denunciante dovesse comportare un sindacato sul provvedimento amministrativo, anche soltanto presupposto, essa non è proponibile; lo è, invece, là dove il denunciante censuri uno stato di pericolo riconducibile ad attività di diritto privato della p.a., non già ad attività autoritativa.
Pertanto, le possibilità sono limitate all’ambito dei rapporti privatistico – contrattuali, e quindi paritetici, tra p.a. e privati; ai casi in cui il provvedimento amministrativo sia stato emesso da organo assolutamente incompetente, o comunque in uno stato di assoluta carenza di potere; a quelli, infine, in cui il pericolo non derivi dall’opera pubblica in sé, ma dalle modalità di esecuzione della stessa e quindi dalla inosservanza di regole tecniche in confronto delle quali non sussiste discrezionalità (per es., costruzione di un edificio pubblico in appoggio a un muro già pericolante: Cass., 15.7.1986, n. 4566; oppure pericolo prodotto da uno sbancamento stradale con mezzi troppo efficaci: Cass., S.U., 18.5.1995, n. 5474; più di recente, Cass., S.U., 28.2.2007, n. 4633).
Con riguardo alle attività poste in essere da un concessionario di pubblico servizio, le regole sono, sostanzialmente, le stesse: la denuncia di danno temuto gli può essere diretta solo allorché egli ecceda dai limiti della concessione, o ponga altrimenti in essere violazioni di norme civilistiche (Cass., S.U., 29.1.2001, n. 39; Cass., 18.10.1986, n. 6128).
Date queste premesse, è agevole concludere che la giurisdizione spetta al giudice ordinario.
4.3 Competenza e procedimento
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 669 ter e 21 c.p.c., competente per le azioni nunciative sarà sempre il tribunale, in formazione monocratica, giudice competente per il merito quanto alla materia e al valore; per quel che riguarda il territorio, invece, la chiara disposizione dell’art. 21, cpv. affida la competenza al giudice del luogo nel quale è avvenuto il fatto denunciato.
Quanto appena evidenziato vale, naturalmente, per le denunce proposte ante causam; ma c’è da domandarsi – al di là del problema della competenza, di facile e piana soluzione in favore del giudice del merito – se sia effettivamente configurabile la proposizione delle denunce in corso di causa. Il legislatore del processo, in verità, sembra ammetterla de plano, affermando, al comma 2 dell’art. 688 – norma dedicata alla forma dell’istanza – che, quando vi sia causa pendente per il merito, la denuncia si propone ai sensi dell’art. 669 quater.
Per esempio, nel corso di una lite sulla proprietà di un immobile, uno dei due litiganti inizia lavori di sopraelevazione dell’immobile, assolutamente non idoneo a sorreggerli, data la sua vetustà. Nulla impedisce all’altro, che già nel primo giudizio si affermava proprietario, oppure che agiva in veste di possessore, di denunciare la nuova opera, iniziando, così, il relativo processo a partire dalla fase cautelare. In realtà, però, quel procedimento cautelare non è in corso di (quella) causa, ma è autonomo; ivi si agisce per porre rimedio al pericolo di danno, mentre, nell’originario giudizio, per accertare la proprietà, evidentemente altrimenti contestata. Anche la soluzione della connessione di cause è, qui, difficilmente configurabile, trattandosi, da una parte, di un processo di cognizione ordinaria, dall’altra di un cautelare. L’unica configurabile appare, quindi, quella della pregiudizialità: rispetto al processo per denuncia (cautelare), la risoluzione di quello originario, petitorio o possessorio, appare pregiudiziale.
Si è affermato, in dottrina (Patelli, A., I procedimenti, cit., 114), che, pendente causa per il merito, lo stesso giudice potrà provvedere sulla denuncia solo se quella abbia «per oggetto gli stessi fatti e la medesima pretesa che si intendono tutelare con l’azione di nunciazione» (conf. Cass., 7.8.1996, n. 7260 e Cass., 27.1.1995, n. 918). Ma, a questo punto, c’è da chiedersi quale potrebbe essere l’utilità di una denuncia nel caso di un giudizio di merito già pendente sugli stessi fatti; l’unica risposta possibile può riguardare la sopravvenienza di altri fatti, generatori del periculum fondante la denuncia stessa: ma così si ritorna alla conclusione, già preferita sopra, dell’autonomia delle due azioni.
La forma dell’istanza è quella del ricorso. Lo svolgimento della fase cautelare nunciativa avviene nel solco dell’art. 669 sexies; dal che si evince: a) che la misura cautelare in esame può, in presenza delle specifiche circostanze di legge, essere emessa anche con decreto, oltre che, come di regola, con ordinanza; b) che l’attività istruttoria in senso stretto non può che consistere in quella sommaria e deformalizzata di cui al comma 1 dell’art. 669 sexies: espletamento degli atti indispensabili «in relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto», dopo aver provveduto all’instaurazione del contraddittorio ed avendo omesso ogni formalità non essenziale a quello scopo.
Trattandosi, comunque, di fase cautelare e disponendo, il giudice, di poteri officiosi, è ben possibile che, anche nell’accoglimento delle rispettive domande, egli disattenda, almeno in parte, le richieste del denunciante, o pronunciando su di una diversa qualificazione giuridica del petitum, o somministrando una cautela diversa da quella domandata (Arieta, G., Le cautele, cit., 408).
4.4 Rapporti tra cautela e merito
Con le leggi di riforma del processo civile varate fino al 2005 (d.l. 14.3.2005, n. 35, convertito in l. 14.5.2005, n. 80 e d.l. 30.12.2005, n. 273, convertito in l. 23.2.2006, n. 51), il legislatore è intervenuto sul principio di strumentalità, che governava rigidamente il sistema delle misure cautelari riconducendo, alla mancata instaurazione del giudizio di merito, l’inefficacia della misura stessa. Oggi, a norma dell’art. 669 octies, co. 6, con riguardo ad alcune tipologie di misure cautelari, non è più necessario instaurare il giudizio di merito, in mancanza del quale non si produce l’inefficacia del provvedimento; rimane ferma, comunque, in capo a tutte le parti, la facoltà di instaurarlo.
Tra le misure soggette al nuovo regime di strumentalità attenuata, sono ricomprese le denunce di nuova opera e di danno temuto.
Sulla natura del giudizio di merito successivo esiste un consolidato orientamento, sia di dottrina che di giurisprudenza, in base al quale l’oggetto di esso è rappresentato dall’accertamento della proprietà o del possesso (del denunciante). Orientamento formatosi nel periodo antecedente alla riforma del 1990 e sopravvissuto alla stessa, malgrado la riconduzione delle regole processuali sulle denunce a quelle del rito cautelare uniforme (cfr. Jannuzzi, F., Denuncia, cit., 170; Arieta, G., Le cautele, cit., 394 s.; Cass., 15.7.2003, n. 11027). Questa soluzione, peraltro comporta, come immediata conseguenza, che quel particolare giudizio di merito debba essere riguardato in un’ottica diversa da quella propria dei giudizi successivi all’emanazione delle altre misure cautelari: mentre in questi ultimi casi, infatti, la misura cautelare e il giudizio successivo procedono su un unico binario, rappresentato dall’accertamento, in sede di merito, appunto, della situazione giuridica, di cui si è domandata già la cautela, e suscettibile di rimanere pregiudicata nel tempo occorrente per lo svolgimento di un processo di cognizione ordinaria, nel caso delle denunce, invece, si addiverrebbe, in fase cautelare, alla protezione della cosa nei confronti di un pericolo incombente, per poi accedere, successivamente, all’accertamento del diritto sulla cosa stessa o della sussistenza di un legittimo possesso.
Già in altre occasioni (cfr. Basilico, G., La denuncia, cit., 305 ss.; Basilico, G., Denuncia di nuova opera e di danno temuto, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2007, § 4.4) ho avuto modo di riflettere sul punto e di giungere a conclusioni non del tutto conformi a questa soluzione, almeno con riguardo al danno temuto; è necessario, ora, domandarsi se sia possibile estendere quelle conclusioni alla nuova opera. Non appare scontato che il giudizio di merito successivo ai provvedimenti cautelari nunciatori possa avere un petitum, almeno mediato, e una causa petendi diversi da quelli della fase cautelare, poiché esso, pur con le indiscutibili differenze funzionali tra l’una e l’altra, non rappresenta altro che la naturale prosecuzione del primo, che gli è, appunto, strumentale; esso tende a dare certezza di quella stessa situazione che, in fase cautelare, si era decisa sulla base del fumus. In conseguenza, il giudizio di merito dopo un provvedimento ottenuto con denuncia di nuova opera, tenderà ad accertare definitivamente la legittimità o l’illegittimità dell’opera nuova, la sorte, in senso materiale, che essa deve subire e, infine, se si sia verificato o no un danno e se sussistano, quindi, ragioni di risarcibilità. Quello, invece, dopo un provvedimento di danno temuto, tenderà all’accertamento della responsabilità di colui che, con il suo contegno omissivo, abbia creato la condizione di pericolo nel rapporto tra le due res in oggetto e alla fissazione del definitivo assetto materiale tra quelle stesse cose, in modo che non sussista più ragione di pericolo; ancora una volta, ove un danno si sia già verificato, esso dovrà essere accertato e risarcito (Satta, S., Commentario, cit., 242 s.). In conseguenza, la discussione sulla proprietà o sul possesso non potrà che concentrarsi su una verifica della portata pregiudizievole – e quindi della lesione – che in concreto l’opera nuova abbia prodotto sul diritto di proprietà o sul legittimo possesso del denunciante.
Tutto ciò, peraltro, non contrasta con la diffusa affermazione dell’autonomia tra la fase cautelare e quella di merito, nelle azioni nunciative (cfr. Cass., 24.7.2001, n. 10062; Cass., 24.5.2000, n. 6809; in dottrina, Jannuzzi, F., Denuncia, cit., 169, ma già Cerino Canova, A., Ricorso introduttivo e domanda di merito nel procedimento di nunciazione, in Giur. it., 1973, I, 2, 984 ss., secondo il quale il ricorso introduttivo cautelare non è idoneo ad introdurre anche la fase di merito).
Detta autonomia può essere correttamente intesa solo se rapportata, ancora una volta, alle regole di cui agli artt. 669 bis ss.: la fase di merito, nella tutela cautelare, è sempre autonoma dalla precedente, che però le è strumentale; essa è una fase di controllo, aperta, quindi, all’espletamento di tutte le attività processuali che consentano l’attuazione del pieno contraddittorio e che non avevano trovato spazio in fase cautelare; ma la situazione giuridica tutelata è sempre quella di partenza, già dedotta nel ricorso cautelare. Le denunce, quindi, sono senz’altro azioni destinate alla protezione del diritto di proprietà o del legittimo possesso, ma non seguono ad una contestazione – in senso lato – né dell’una né dell’altro (in questi casi, peraltro, l’ordinamento appresta delle tutele specifiche); sono funzionalizzate all’eliminazione di uno stato di pericolo che, in progressione di tempo, potrebbe diventare produttivo di danno. Esse, pertanto, tutelano il denunciante dal periculum da tardività della sentenza di merito che, dopo la cognizione ordinaria, non risulterebbe idonea a quella funzione preventiva, cui è destinata la cautela.
Superato normativamente il rapporto di strumentalità necessaria, interdipendente con l’inefficacia della misura cautelare, consegue la possibilità che la stessa, in mancanza di giudizio di merito, si stabilizzi. Si tratta, invero, di una stabilità più di tipo processuale che sostanziale – non potendo essere giammai equiparata al giudicato – essenzialmente di definitività.
4.5 L’esecuzione-attuazione
Con riferimento alle problematiche della fase esecutiva-attuativa delle azioni nunciative, bisogna ancora una volta distinguere tra misura cautelare e sentenza di merito emessa a cognizione piena.
L’ordinanza cautelare di nuova opera o di danno temuto si attua, in mancanza di esecuzione spontanea, ai sensi del co. 1, seconda pt., dell’art. 669 duodecies: trattandosi di obblighi di fare, le operazioni esecutive verranno predeterminate dal giudice della cautela e si svolgeranno secondo la sua direzione (Patelli, A., I procedimenti, cit., 124 ss.). Eventuali «difficoltà o contestazioni» verranno risolte dallo stesso giudice con ordinanza, dopo aver sentito le parti, salva l’insorgenza di altre questioni, non attinenti strettamente alle operazioni esecutive-attuative, che, ai sensi dell’ultimo inciso dell’art. 669 duodecies, verranno proposte nel giudizio di merito; ove quello non vi dovesse essere, ritengo che almeno debba essere data alle parti la possibilità di proporre reclamo contro quelle ordinanze appena riferite, trattandosi di provvedimenti del giudice della cautela e non di quello dell’esecuzione.
Dopo l’entrata in vigore della l. 18.6.2009, n. 69, occorre riflettere sull’applicabilità, ai provvedimenti cautelari nunciativi, della misura coercitiva di cui all’art. 614 bis c.p.c. È senz’altro condivisibile l’orientamento giurisprudenziale favorevole alla sua applicazione ai provvedimenti cautelari in genere; in conseguenza, ferma restando, a mio avviso, la ricorrenza del necessario presupposto rappresentato dalla infungibilità della prestazione gravante sull’obbligato, non v’è ragione di escludere l’assoggettamento delle cautele nunciative alla comminatoria dell’art. 614 bis (così espressamente Trib. Terni, 4.8.2009, in Foro it., 2011, I, 287; in senso generalmente favorevole, Mazzamuto, S., La comminatoria di cui all’art. 614 bis c.p.c. e il concetto di infungibilità processuale, in Europa e dir. priv., 2009, 957).
Alle menzionate riforme, progressivamente intervenute, è sopravvissuto l’art. 691 c.p.c. Esso presenta un ambito di applicazione necessariamente residuale, proprio per la presenza del sopra citato art. 669 duodecies, contenente la disciplina generale dell’attuazione; presenta, poi, un ulteriore limite derivante dalla sua compatibilità solo con la denuncia di nuova opera e non con quella di danno temuto; si riferisce, infine, al caso in cui il denunciato contravvenga al divieto imposto dal giudice e contenuto nel provvedimento già emanato: si tratta, quindi, di un’ipotesi specifica di inosservanza spontanea al provvedimento giudiziale inibitorio, sanzionabile con l’emanazione di altro provvedimento, di contenuto ripristinatorio, su ricorso della parte interessata.
L’inosservanza ulteriore dell’obbligo nascente dal provvedimento giudiziale non può che considerarsi sanzionabile ai sensi dell’art. 388, cpv., c.p.
I provvedimenti emessi dal giudice delle azioni nunciative sono ordini; in particolare, ordini a contenuto lato sensu inibitorio, ancorché impongano un facere, per ovviare ad un pericolo incombente sul bene; proprio questo tipo di ordine mi pare non si possa che assimilare alla condanna, altrimenti risulterebbe assolutamente inidoneo all’espletamento della funzione cui è destinato. In conseguenza, con riguardo alla sentenza di merito successiva alla fase cautelare, non v’è dubbio che si proceda ad esecuzione in applicazione degli artt. 612-614 c.p.c. e degli altri che risultino compatibili.
Fonti normative
Artt. 1171-1172 c.c.; artt. 21, 669 bis-669 quaterdecies, 688 e 691 c.p.c.
Bibliografia essenziale
Arieta, G., Le cautele. Il processo cautelare, in Trattato di diritto processuale civile, IX, II ed., Padova, 2011, 389 ss.; Basilico, G., Denuncia di nuova opera e di danno temuto, in Enc. giur. Treccani, Roma, 2007; Basilico, G., La denuncia di danno temuto. Contributo allo studio della tutela preventiva, in Riv. dir. civ., 2005, I, 39 ss., II, 297 ss.; Bianca, C.M., Diritto civile, 6, Milano, 1999, 870 ss.; Branca, G., Danno temuto e danno da cose inanimate in diritto romano, Padova, 1957; Cabella Pisu, L., Denuncia di nuova opera e di danno temuto, in Dig. civ., V, Torino, 1989, 192 ss.; Franchi, G., Le denunce di nuova opera e di danno temuto, Padova, 1968; Jannuzzi, F., Denuncia di nuova opera. b) Diritto vigente, in Enc. dir., XII, Milano, 1964, 168 ss.; Masi, A., Il possesso e la denuncia di nuova opera e di danno temuto, in Tratt. contratti Rescigno-Gabrielli, 8, II ed., Torino, 2002, 635 ss.; Patelli, A., I procedimenti nunciativi, in I procedimenti cautelari, a cura di G., Tarzia, II ed., Padova, 2004, 95 ss.; Satta, S., Commentario al codice di procedura civile, IV, 1, Milano, 1968, 236 ss.