Der letzte Mann
(Germania 1924, L'ultima risata o L'ultimo uomo, bianco e nero, 90m a 20 pfs); regia: Friedrich Wilhelm Murnau; produzione: Erich Pommer per UFA; sceneggiatura: Carl Mayer; fotografia: Karl Freund; scenografia: Edgar G. Ulmer, Robert Herlth, Walter Röhrig; musica: Giuseppe Becce.
Il portiere dell'Hotel Atlantic di Berlino è un uomo dall'aspetto imponente che regna sul piccolo mondo dei fattorini e dei cocchieri. Visto che indossa un'uniforme gallonata che ricorda quelle dei militari, quando la sera fa ritorno a casa è il re del proprio condominio. Ma, sopraffatto dall'avanzare dell'età, egli non ha più la forza di trasportare i pesanti bauli dei clienti dell'albergo. Rimosso dal suo incarico dalla direzione dell'hotel, viene destinato ai sotterranei con la mansione di sorvegliante delle toilette. L'uomo si impossessa allora dell'uniforme che non può più indossare, per poter continuare a fare bella figura ritornando a casa. Quella sera, infatti, si sposa sua figlia, ed egli partecipa ai festeggiamenti continuando a pensare al lavoro perduto. Ma il giorno dopo la zia, recatasi all'hotel per portargli il pranzo, scopre la sua nuova condizione umiliante e fugge spaventata. Le voci corrono in fretta e gli abitanti del palazzo vengono messi al corrente della situazione. Quando l'uomo ritorna a casa dopo il lavoro, tutti si burlano di lui. Il genero lo mette alla porta ed egli è costretto a trascorrere la notte nelle toilette dell'hotel. Ma alla vita reale si sostituisce un sogno: il sorvegliante delle toilette riceve una cospicua eredità da parte di un cliente miliardario; può così festeggiare l'avvenimento insieme all'amico del turno di notte, distribuire mance a tutto il personale e lasciare l'hotel in calesse, prendendo a bordo un mendicante a cui il nuovo portiere ha impedito di avvicinarsi ai clienti facoltosi.
Troppo spesso catalogato come film appartenente al cinema espressionista tedesco, le cui prime opere (Der Student von Prag di Stellan Rye, Der Golem di Henrik Galeen e Paul Wegener) erano apparse tra il 1913 e il 1915, Der letzte Mann, realizzato dieci anni più tardi, non è soltanto un film che si ricollega al realismo del Kammerspiel, ma supera completamente anche questa seconda etichetta, arrivando ad assumere un valore simbolico. Molti suoi elementi espressionisti ‒ i trucchi della sequenza notturna in cui il portiere, ripensando al lavoro che ha appena perduto, sembra dominare il mondo trasportando con una sola mano alcune pesanti valige; i movimenti di macchina che restituiscono l'ubriachezza del personaggio mentre questi rimane solo e fermo al centro dell'inquadratura ‒ servono proprio a definire il passaggio dal reale al mitologico.
Anziano stimato ma improvvisamente destituito dal suo incarico a causa dell'età, quindi privato di una gestualità essenzialmente militare, il protagonista passa dal privilegio di accogliere i clienti a uno degli incarichi più umilianti dell'hotel, dalla strada iperattiva di una Berlino simbolica alla solitudine dei sotterranei, da una posizione di autorità a una di completa sottomissione, per giunta ignorata dai clienti che, quando l'uomo porge loro l'asciugamano nella toilette, non lo degnano di uno sguardo: il suo percorso discendente sintetizza le sofferenze dell'essere umano. Ma il portiere è anche un simbolo della Germania degradata dal disarmo conseguente alla Prima guerra mondiale, paese che rifiuta di accettare la perdita della propria autorità. L'abilità e l'eleganza della piroetta che chiude ottimisticamente il film non trovano riscontro nella realtà nazionale, lontana dalla rivincita. Il film è anche, dall'inizio alla fine, un gioco delle illusioni, con un capovolgimento finale in cui i poveri e i ricchi si scambiano i ruoli.
Un decennio dopo l'esordio del cinema espressionista, il film di Friedrich W. Murnau segnò profondamente la storia del cinema per la sua eccezionale riuscita complessiva, la qualità della sua progressione narrativa, il grande apporto creativo di Emil Jannings, la contrazione delle scenografie degli esterni (la grande piazza di Berlino che sta tutta in una sola inquadratura), l'espressività del montaggio che rende inutile l'uso delle didascalie esplicative (l'unica è quella che introduce l'happy end), ma soprattutto conquistò l'Europa grazie alla mobilità della macchina da presa. Rielaborando l'invenzione italiana del carrello, la cinepresa leggera di Karl Freund, montata su piattaforme mobili, moltiplica i propri interventi, amplifica gli spazi, diviene un vero e proprio interprete del dramma cinematografico. Der letzte Mann fu un successo internazionale e conquistò anche l'America del Nord, dove il film venne rimontato con la supervisione dello stesso Murnau per rafforzare il lieto fine ed eliminare le inquadrature in movimento, considerate troppo poco 'raffinate' per il mercato americano, mentre in Europa erano state determinanti per la fama del film. In Germania Der letzte Mann fu oggetto di un omonimo remake nel 1955, per la regia di Harold Braun.
Interpreti e personaggi: Emil Jannings (portiere d'albergo), Maly Delschaft (figlia del portiere), Max Hiller (genero del portiere), Emilie Kurz (sua zia), Hans Unterkircher (direttore dell'albergo), Olaf Storm (cliente giovane), Hermann Valentin (cliente corpulento), Emmy Wyda (vicina magra), Georg John (guardiano di notte).
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Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 190-191, juillet-septembre 1977.