Aguirre, der Zorn Gottes
(RFT 1972, Aguirre, furore di Dio, colore, 93m); regia: Werner Herzog; produzione: Werner Herzog per Werner Herzog/Hessischer Rundfunk; soggetto: dal diario di Gaspar de Carvajal; sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Thomas Mauch; montaggio: Beate Mainka-Jellinghaus; musica: Popol Vuh.
Nel 1560 un piccolo esercito di soldati spagnoli e schiavi indios guidato da Gonzalo Pizarro valica le Ande per addentrarsi nella foresta amazzonica alla ricerca del mitico regno di Eldorado. Giunto sulle rive dell'Urubamba al termine di un'estenuante marcia nella giungla, Pizarro decide di mandare in avanscoperta una spedizione su zattere al comando di Pedro de Ursúa, cui affianca Lope de Aguirre, con lo scopo di reperire viveri e saggiare le reali possibilità di riuscita dell'impresa. La violenza del fiume, che causa la morte di dieci uomini e la distruzione delle zattere, convince Ursúa a ritirarsi. Alla decisione si oppone Aguirre che, esautorato il comandante, proclama il proprio tradimento della corona di Spagna e nomina imperatore di Eldorado il nobile ma rozzo Fernando de Guzman. L'equipaggio, terrorizzato dalla violenza di Aguirre, ma al tempo stesso affascinato dalla sua lucida follia, decide di seguirlo nell'impresa. Dopo un processo sommario che condanna a morte Ursúa, si costruiscono nuove zattere per riprendere la discesa del fiume. Colpiti dalla fame, dalle malattie, dagli indios che li bersagliano con frecce avvelenate, gli uomini muoiono uno dopo l'altro: Aguirre rimane solo in mezzo a un'orda di scimmie, a gridare al nulla assurdi proclami di gloria.
Primo successo internazionale di Werner Herzog, Aguirre, der Zorn Gottes è anche il film che meglio riassume le caratteristiche del cinema di questo autore: una pratica artigianale e antiaccademica, efficacissima tanto nel rendere con crudele compiacimento i lati più grotteschi dell'agire umano quanto nel restituire il senso di timoroso stupore di fronte alla maestosità dei paesaggi naturali, contrapposta a un desiderio di assoluto vicino a una mistica romantica che ben si rispecchia nella sproporzione tra i mezzi tecnici utilizzati e gli ambienti selvaggi ai quali si accosta di volta in volta il regista. Fu proprio il desiderio di confrontarsi con un paesaggio primordiale, che riuscisse a tradurre in 'visioni assolute' la folle epopea di Aguirre, a spingere Herzog a calarsi in un'impresa sovrumana, pari quasi a quella dell'eroe del suo film: realizzare le riprese nella foresta amazzonica con un budget modesto, coinvolgendo la troupe tecnica e gli interpreti in un tour de force che riproducesse le sofferenze fisiche dei personaggi, per arrivare a esprimere l'inutilità della loro lotta.
Gli intenti di Herzog, tuttavia, non erano orientati a produrre un calco naturalistico della vicenda reale (tra l'altro per lo più ignorata nei suoi particolari dallo stesso regista, anzi, 'falsificata' dalla voce over che accompagna la narrazione leggendo un finto diario di viaggio), ma a liberarsi dagli obblighi della verosimiglianza e della fedeltà storica per concentrarsi sul tema dominante del film, quello della folle sete di dominio dell'uomo e del suo vano agitarsi messo a confronto con l'imperturbabilità della natura. Sia nella prima sequenza (di grande suggestione anche grazie alla musica ipnotica dei Popol Vuh), in cui una zoomata lentissima mostra l'esercito di Gonzalo Pizarro mentre scende i fianchi di un'impervia montagna avvolta nella nebbia, sia in quelle successive dove la macchina da presa avanza a fatica, partecipe dell'azione degli uomini costretti a trasportare inutili simboli del potere coloniale attraverso la foresta, si comprende che il senso del film sta nel progressivo annullamento delle figure umane in un paesaggio che le rende ridicolmente inadeguate all'impresa. Tale contrasto diviene sempre più evidente quando allo spazio delle zattere, claustrofobico e al tempo stesso esposto al pericolo, si contrappone l'inesplorato paesaggio fluviale, irreale nella sua silenziosa vastità. Herzog rie-sce a sfruttare magistralmente, per le scelte di ripresa, proprio i limiti materiali che si è imposto: alternando piani-sequenza ravvicinati sugli occupanti delle zattere con lunghe panoramiche sulla foresta dal punto di vista dei membri dell'equipaggio, il regista sottolinea la distanza di un ambiente più indifferente che ostile, dal quale la macchina da presa può solo lasciarsi soffocare, o più semplicemente essere respinta, ma che non riuscirà mai a racchiudere o a rappresentare. Una feroce lotta per il potere, la conservazione ipocrita di un apparato simbolico nelle sue forme più esteriori (la ridicola cerimonia di investitura di Don Fernando de Guzman, il processo-farsa a Don Pedro de Ursúa), l'illusoria presa di possesso di un territorio dal quale in realtà vengono posseduti, sono le sole risibili risposte che gli uomini sanno offrire di fronte al pericolo. Aguirre (reso straordinariamente dalla recitazione straniata di Klaus Kinski, qui alla prima tappa di un turbolento quanto proficuo sodalizio artistico con Herzog), esaltato dalla grandezza del proprio tradimento e ancor più della propria sconfitta, animato da un superomismo delirante e autodistruttivo, sintetizza il senso di inutilità dell'azione umana, la concezione della Storia come spettacolo grottesco e crudele cui la natura rifiuta di farsi costringere.
Interpreti e personaggi: Klaus Kinski (Don Lope de Aguirre), Helena Rojo (Inez de Atienza), Julio E. Martínez Del Negro (Gaspar de Carvajal), Ruy Guerra (Don Pedro de Ursúa), Peter Berling (Don Fernando de Guzman), Cecilia Rivera (Flores de Aguirre), Daniel Ades (Perucho), Edward Roland (Okello), Armando Polanah (Armando), Justo González (González), Alejandro Repullés (Gonzalo Pizarro), Daniel Farfán, Alejandro Chavez, Antonio Marquez.
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