derivato
Evoluzione e classificazione dei derivati
Per quanto ben noti e utilizzati anche in passato, i derivati hanno guadagnato un’importanza sempre maggiore a partire dagli anni 1970, fino a divenire protagonisti, nei primi anni del 21° sec., di turbolente vicende economico-finanziarie. L’espansione dei derivati è contemporaneamente diffusione di nuovi prodotti, aumento di operatori e creazione di mercati. In un mondo in cui cresce l’incertezza e si moltiplicano le fonti di rischio cresce anche la domanda di copertura e protezione da questi rischi, stimolando l’offerta di prodotti sempre più sofisticati. Tale processo evolutivo si è giovato delle nuove tecnologie finanziarie generate dai progressi della finanza quantitativa nella seconda metà del 20° sec., ben riassunti dalla celebre formula di Black-Scholes (➔ Black-Scholes, formula di). Queste nuove opportunità hanno attirato anche l’attenzione degli speculatori, i quali hanno contribuito a incrementare il volume delle transazioni e lo spessore delle borse specializzate in derivati. Operare, anche in modo speculativo, sui mercati dei derivati risulta molto meno costoso, in termini di costi fiscali e di transazione, rispetto a operazioni equivalenti sui mercati dei sottostanti. L’esiguità dei costi fiscali e transazionali e la proliferazione di nuovi complicati prodotti hanno generato una sofisticata classe di arbitraggisti, pronti a trarre profitti senza rischio da minime discrepanze fra prezzi reali di mercato e parità teoriche fra derivati e sottostanti. Anche gli investitori istituzionali, infine, sono dovuti entrare in gioco per estendere la gamma della propria offerta con l’inserimento di strumenti derivati.
Una classificazione dei derivati può basarsi sul tipo di contratto alla base del derivato o sul tipo di sottostante. Con il primo criterio si può distinguere fra futures (versione moderna e standardizzata del classico contratto a termine), swap e opzioni; con il secondo fra strumenti finanziari classici (azioni, obbligazioni) e moderni (fondi comuni, indici azionari), merci e materie prime (importantissimi i derivati energetici con sottostante petrolio, gas naturale, carbone ecc.), valute, tassi di interesse. Una classe di sottostanti particolari sono i cosiddetti eventi creditizi, che sono alla base dei derivati di credito. Oltre a sottostanti con contenuto economico-finanziario, nel primo decennio del 21° sec. hanno avuto una certa fortuna anche i derivati meteorologici (weather derivatives) con sottostante eventi atmosferici.
È un contratto a termine fra due parti per comperare o vendere a un prezzo prefissato al momento della stipula, detto prezzo di consegna, una quantità data di un certo bene (il sottostante) a un’epoca futura. Alla stipula le due parti non si scambiano denaro; ciò implica che il prezzo di consegna è fissato in maniera tale da non avvantaggiare nessuno dei due contraenti (➔ anche forward).
È un contratto molto simile a un forward ma è negoziato in borsa (CBOT, Chicago Board of Trade e CME, Chicago Mercantile Exchange le principali) su basi standardizzate (➔ anche futures). La data di consegna non è precisa; può essere scelta dal contraente in posizione corta (➔ posizione) all’interno di un certo arco temporale fissato (spesso un intero mese). Il prezzo di consegna è detto prezzo future. La maggior parte dei contratti non si conclude con la consegna, ma è chiusa prima dell’inizio del periodo di consegna. La chiusura avviene con la stipula di un contratto di segno opposto rispetto all’originale. Il ruolo della borsa è molto importante: tramite una cassa di compensazione essa agisce, infatti, anche da controparte degli originali contraenti onde garantire il buon esito dei contratti. Per ottenere tale risultato, pretende da ciascuno dei contraenti il deposito in un conto, presso la borsa, di un margine iniziale. Questo conto viene automaticamente aggiornato al termine di ogni seduta di borsa con la procedura del marking to market.
È un contratto fra due contraenti (usualmente due società) per scambiarsi futuri pagamenti. L’accordo definisce le date in cui i pagamenti vengono scambiati e il modo di determinarli. I principali tipi di swap sono gli swap sui tassi di interesse e gli swap su valute. Nei primi, fissato un capitale nozionale, una parte paga all’altra, per un certo numero di anni, l’interesse sul capitale nozionale a un tasso fisso predeterminato e riceve in cambio l’interesse sullo stesso capitale calcolato a un tasso variabile agganciato a un tasso di riferimento. Il tasso di riferimento più utilizzato è il LIBOR (➔) a 6 mesi. Negli swap su valute si scambiano il capitale e gli interessi a tasso fisso di un prestito denominato in una certa valuta contro il capitale e gli interessi a tasso fisso in un’altra valuta. Vi sono anche gli equity swap, i commodity swap e i credit swap (➔ anche swap).
A differenza degli altri derivati che configurano impegni, le opzioni danno diritti che non è necessario esercitare. Nelle formule più semplici (opzioni plain vanilla) questi diritti sono diritti ad acquistare (call) o a vendere (put) un sottostante a un prezzo prefissato a, o entro, una data prefissata (➔ anche opzione, tipologia di). Diversamente dalle transazioni forward e futures, alla stipula del contratto si ha un esborso da parte del soggetto che assume la posizione (➔) lunga (che diviene titolare del diritto) a favore della controparte in posizione corta (scrivente dell’opzione). L’esborso corrisponde al valore iniziale del contratto. I contratti si stipulano sia nelle borse sia fuori borsa (➔ over the counter).
Introdotti solo nell’ultimo decennio del 20° sec., e negoziati dal 1999 in versione standardizzata alla Borsa del Chicago Mercantile Exchange, sono utilizzati per finalità di copertura da operatori del settore turistico e agricolo o da imprese di utility e di assicurazione. Essendo uno dei pochi strumenti a correlazione prossima a zero con l’andamento dell’economia, entrano nei portafogli di molti fondi comuni di investimento, poiché diminuiscono il rischio del portafoglio in cui sono inseriti.