Derivazione rafforzata e principi contabili nazionali
Il d.lgs. 18.8.2015, n. 139 ha introdotto importanti novità nella disciplina del bilancio contenuta nel codice civile, tra cui la chiara affermazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, che ha posto il legislatore dinanzi alla necessità, come a suo tempo accaduto per i soggetti International Accounting Standards adopter, di evitare ai contribuenti dell’Organismo Italiano di Contabilità di dover gestire in dichiarazione un proibitivo raccordo tra le nuove disposizioni contabili e le disposizioni fiscali del testo unico delle imposte sui redditi , anche qui risolto mediante l’applicazione del principio cd. “di derivazione rafforzata”. Si esaminano significato e portata di tale estensione, muovendo dai modelli di rapporto tra reddito fiscale e utile civilistico con i relativi corollari, oltre a talune specifiche declinazioni di particolare interesse pratico, concludendo con alcune riflessioni sui problemi di ordine sistematico che la nuova disciplina solleva.
Il presente contributo intende esaminare significato e portata dell’avvenuta estensione del principio cd. “di derivazione rafforzata”, già previsto per i soggetti cd. IAS adopter sin dal 2007, ai soggetti tenuti all’applicazione dei principi contabili nazionali, che rappresenta senz’altro la novità di maggior rilievo che nel corso del 2017 ha interessato la disciplina del reddito di impresa.
Per focalizzare il tema, prenderemo le mosse dai modelli di rapporto tra reddito fiscale e civilistico con i relativi corollari, alla cui luce esamineremo poi le modalità attraverso cui è avvenuta l’estensione del principio di derivazione rafforzata ai soggetti OIC adopter, il contenuto del rinvio in cui esso si sostanzia e, infine, talune specifiche declinazioni di particolare interesse pratico.
In linea generale, il rapporto tra reddito fiscale e reddito civilistico può ispirarsi a tre differenti modelli1. Un primo modello, cd. del “binario unico”, assume l’utile civilistico come valore direttamente rilevante ai fini fiscali. Una simile opzione presuppone una fiducia di fondo del legislatore tributario nei confronti delle scelte operate dai redattori del bilancio che, in quanto caratterizzate da un inevitabile margine valutativo, si prestano per loro natura a facili manipolazioni del risultato imponibile. Al fine di contrastare eventuali abusi, l’amministrazione finanziaria viene pertanto dotata di pregnanti poteri di sindacato sulle scelte di bilancio, con l’effetto di introdurre ampi margini di incertezza a sfavore del contribuente nella fase di accertamento del reddito, con i conseguenti risvolti civilistici in ordine alla legittimità del bilancio. Tale modello, peraltro, può difficilmente riscontrarsi in una versione “pura”, in quanto alcune variazioni si rendono comunque necessarie per rispondere ad imprescindibili esigenze di natura meramente fiscale, come nel caso della tassazione solo parziale (o nulla) dei dividendi per attenuare (o eliminare) la doppia imposizione economica. Un secondo modello prevede la netta separazione tra determinazioni civilistiche e fiscali. Esso richiede l’individuazione di regole analitiche di determinazione del reddito fiscale, tali da poter sostituire integralmente, secondo una valutazione esclusivamente fiscale, le determinazioni civilistiche, dando così luogo ad un vero e proprio “bilancio fiscale”. Un simile sistema – noto come “doppio binario” (anche se tale espressione viene talvolta utilizzata per designare pure l’ipotesi in cui vi sia una dipendenza tra risultato civilistico e fiscale, ma le variazioni ai fini fiscali non influenzino in alcun modo la rappresentazione del reddito secondo le regole civilistiche) – appare, peraltro, proprio per tale obiettivo, non agevolmente perseguibile in termini legislativi, per la difficoltà di rappresentare compiutamente in un sistema normativo autonomo un contesto così ricco ed articolato qual è quello degli accadimenti economici aziendali, e tale da richiedere, di conseguenza, almeno una norma di chiusura che rinvii alla determinazione di bilancio in tutti i casi non espressamente previsti dalla disciplina tributaria. Un “doppio binario” si potrebbe peraltro verificare anche nell’ipotesi in cui il reddito fiscale venisse determinato sulla base dei meri flussi di cassa (cd. “cash flow tax”). Un terzo ed ultimo modello postula, infine, la dipendenza (o “derivazione”) del risultato fiscale dalle determinazioni civilistiche, intese quale punto di partenza da cui muovere per procedere all’applicazione di regole fiscali che, con riferimento a specifiche voci, provvedano a dettare limiti e condizioni per la relativa rilevanza ai fini fiscali. Limiti e condizioni cui, per loro natura, viene normalmente riconnesso l’effetto di escludere ogni ingerenza dell’Amministrazione nelle valutazioni operate a livello civilistico, all’opposto di quanto accade con il cd. “binario unico”. Tale dipendenza può peraltro essere diversamente intesa nei suoi contenuti e concretizzarsi, all’estremo, sin anche in una cd. “dipendenza rovesciata”, laddove la concessione di benefici fiscali sia subordinata all’appostazione di un fondo nel passivo dell’impresa non giustificata dalla normativa civilistica, con l’effetto finale di “inquinare” il bilancio con poste cui è sottesa una motivazione esclusivamente fiscale (cd. “inquinamento del bilancio”). Ebbene, è al terzo modello che si ascrive la scelta del legislatore tributario italiano nell’art. 83, co. 1, primo periodo, del t.u.i.r., laddove prevede che il reddito d’impresa venga determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle disposizioni del t.u.i.r. Non esiste, di conseguenza, nell’ordinamento italiano, un “bilancio fiscale”, inteso come autonomo documento riepilogativo, ai fini tributari, delle componenti reddituali e patrimoniali delle società, ma solo un prospetto fiscale che accoglie le variazioni rispetto al risultato civilistico. La ratio alla base della scelta del legislatore italiano di instaurare, in generale, un nesso di dipendenza tra risultato civilistico e reddito d’impresa, viene tradizionalmente rinvenuta nella circostanza che il bilancio d’esercizio – che, giusta gli artt. 2423 e ss. c.c. deve conformarsi al principio di chiarezza nell’esposizione dei dati e rappresentare in modo veritiero e corretto sia la situazione patrimoniale che gli utili conseguiti o le perdite sofferte dall’impresa individuale o collettiva2 – costituisce il documento che più fedelmente, ancorché pur sempre in modo convenzionale, rispecchia l’incremento di ricchezza provocato dall’esercizio di un’attività imprenditoriale; incremento di ricchezza che risulta espressivo anche della capacità contributiva attribuibile al soggetto passivo. Come peraltro emerge dalla formulazione del citato art. 83, la dipendenza del reddito d’impresa dal risultato di esercizio è non già assoluta, bensì parziale, poiché il reddito d’impresa, seppur determinato assumendo quale punto di partenza l’utile o la perdita risultante dal bilancio civilistico, costituisce il risultato finale dell’applicazione delle opportune variazioni di natura fiscale in aumento oppure in diminuzione. La scelta di rendere tale nesso solo “parziale” è a sua volta riconducibile ad una molteplicità di ragioni. Una prima ragione può ricercarsi nelle finalità dei due settori del diritto qui in considerazione. Le norme dettate dal codice civile sul bilancio d’esercizio hanno una funzione essenzialmente informativa e si basano sul principio di prudenza per salvaguardare il patrimonio sociale ed evitare la distribuzione di utili non effettivamente conseguiti. In questa prospettiva, il prudente apprezzamento, con i conseguenti margini di discrezionalità, utilizzato dagli amministratori al momento di valutare i fenomeni oggetto di rappresentazione contabile, pur dovendo riflettere un dato “veritiero e corretto”, potrebbe non conciliarsi con le esigenze proprie dell’ordinamento tributario. Ciò risulta particolarmente evidente per i componenti di carattere estimativo, in relazione ai quali la normativa civilistica riconosce ai redattori del bilancio il potere di individuare il valore che meglio consente di fornire attraverso il bilancio stesso un’immagine veritiera della situazione patrimoniale e del risultato economico della gestione. La necessità di certezza e semplicità nelle determinazioni quantitative fiscalmente rilevanti ha pertanto indotto il legislatore tributario a prevedere una disciplina più analitica di tali ipotesi di valutazione, predeterminando i margini di giudizio e delimitando, quindi, il processo valutativo da parte dell’impresa.
Altra ragione che osta alla dipendenza assoluta tra bilancio civilistico e reddito d’impresa è quella sottesa al contrasto dei comportamenti elusivi ed evasivi, ciò che avviene mediante l’inserimento di norme che vietano o limitano la deducibilità di alcuni componenti negativi di reddito o la riconduzione a valore normale di alcuni componenti di reddito. Ancora, la deviazione dalla disciplina civilistica si rende necessaria per incentivare oppure per disincentivare determinati comportamenti, oppure per evitare la doppia imposizione economica nel caso di utili distribuiti tra società (ad es., prevedendo un’esenzione). La deviazione potrebbe essere infine dovuta a mere ragioni di aumento del gettito: in tal caso, tuttavia, ben potrebbero emergere profili di incostituzionalità della disciplina per violazione dell’art. 53 Cost. (ad es., in materia di indeducibilità dell’IMU e dell’IRAP dal reddito di impresa). Va rilevato, peraltro, che la derivazione, oltre che parziale, è anche “formale”, essendo previsto un principio di previa imputazione a conto economico ai fini della deducibilità dei costi.
Tanto premesso, poiché il punto di partenza per le eventuali “deviazioni” è rappresentato, come detto, dal “risultato” (utile o perdita) del bilancio, la relativa disciplina viene “presupposta” dal legislatore tributario, nel senso che il legislatore non entra nel merito delle valutazioni effettuate dal redattore del bilancio per giungere a tale dato di partenza. Ciò non significa che i “principi contabili” non possano talvolta rilevare in quanto tali, come ad esempio accade per le perdite su crediti, allorquando la cancellazione dei medesimi sia effettuata in “applicazione dei principi contabili”3. Ai fini IRAP, poi, i principi contabili assumono diretta rilevanza, atteso che l’art. 5 d.lgs. 15.12.1997, n. 446, dopo aver sancito la regola generale secondo cui la base imponibile è determinata «dalla differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lett. A) e B) dell’art. 2425 del codice civile» (con esclusione di talune voci) – è la cd. “presa diretta” dell’imponibile IRAP dai dati di bilancio – fa espresso rinvio ai «criteri di corretta qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai principi contabili adottati dall’impresa», i quali valgono «indipendentemente dalla effettiva collocazione nel conto economico» dei componenti positivi e negativi del valore della produzione. Più in generale, la circostanza che l’utile di bilancio sia assunto quale “mero fatto” ai fini della determinazione del reddito di impresa, esclude che l’Amministrazione possa sindacare le scelte compiute in sede di redazione del bilancio.
Si pensi, ad esempio, al valore presumibile di realizzazione dei crediti iscritti in bilancio; alla scelta del metodo di valutazione delle rimanenze di magazzino ex art. 92, co. 4, t.u.i.r.; alla scelta se capitalizzare o meno un onere di manutenzione ex art. 102, co. 6, t.u.i.r.4; alla determinazione della “quota imputabile a ciascun esercizio” per le spese relative a più esercizi ex art. 108, co. 3, t.u.i.r.5; alla classificazione di un elemento dell’attivo tra le voci immobilizzate oppure tra quelle circolanti6. Anche l’Amministrazione finanziaria pare essersi orientata in tal senso7, riservandosi tuttavia di valutare se le scelte di bilancio non si inquadrino in un più ampio disegno elusivo. Ciò non impedisce peraltro che sia il legislatore stesso, facendo riferimento alla “corretta” applicazione dei principi contabili – ad es., nell’art. 94, co. 4-bis, t.u.i.r. in tema di valutazione dei titoli non costituenti immobilizzazioni; nell’art. 112, co. 6, t.u.i.r., in tema di derivati con funzione di copertura; oppure, come sopra indicato, ai fini IRAP – ad ammettere implicitamente il potere dell’Amministrazione di sindacare le scelte di bilancio. Potere che potrà essere esercitato direttamente in sede di accertamento, senza necessità di procedere all’impugnativa di bilancio.
La regola generale della “derivazione parziale” appena esposta, contenuta nell’art. 83, co. 1, primo periodo – con i relativi corollari – ha subito negli ultimi anni due importanti deroghe. La prima deroga ha riguardato i soggetti che redigono il bilancio di esercizio secondo i principi contabili internazionali IAS/IFRS, vuoi in quanto obbligati, vuoi in quanto abbiano esercitato la facoltà di optare per la relativa adozione: opzione dalla quale sono esclusi (ex d.l. 24.6.2014, n. 91) i soli soggetti che possono redigere il bilancio in forma abbreviata di cui all’art. 2435 bis, c.c., nonché le cd. “microimprese di cui all’art. 2435 ter, c.c. Infatti, a seguito dell’intervento operato dall’art. 1, co. 58, l. 24.12.2007, n. 244 – che ha introdotto all’art. 83, co. 1, un terzo periodo – per tali soggetti si attua un vero e proprio rinvio, anche in deroga alle disposizioni del t.u.i.r., a «i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio» previsti dai predetti principi contabili. Si assiste, pertanto, per i soggetti IAS ad un “rafforzamento” della portata del principio di derivazione – da qui la denominazione di “principio di derivazione rafforzata” – che consente a tali soggetti di mantenere le rappresentazioni già adottate in sede di bilancio improntate all’aspetto economico-sostanziale proprio dei principi IAS/IFRS e, correlativamente, di sottrarsi alla complessità delle rettifiche imposte dal t.u.i.r. nella riclassificazione dei fenomeni secondo criteri giuridico-formali8.
Al tempo stesso, tuttavia, la circostanza che il legislatore ricorra alla tecnica del rinvio ai principi IAS/IFRS – e non alla mera presupposizione della disciplina civilistica e dei principi contabili nazionali, come per i soggetti di cui al primo periodo – fa sì che l’Amministrazione finanziaria possa accertare la corretta applicazione di tali principi9. Per puntualizzare l’estensione della deroga alle norme del t.u.i.r. per i soggetti IAS sono stati emanati due decreti – il d.m. 1.4.2009, n. 48 e il d.m. 8.6.2011 – i quali contengono numerose regole, non di rado complesse, che derogano a loro volta alla derivazione rafforzata nel prevedere la prevalenza delle norme tributarie. Inoltre, con il d.l. 29.12.2010, n. 225, il legislatore tributario, per i principi IAS approvati dopo il 31.12.2010, ne ha escluso l’immediata applicabilità, riservandosi di emanare apposite norme di coordinamento per la determinazione della base imponibile IRES e IRAP (cd. “procedura di validazione” o di “endorsement”)10. La seconda deroga ha riguardato – a distanza di dieci anni – quei soggetti che non abbiano adottato gli IAS – né per obbligo, né per opzione – e diversi dalle cd. “microimprese”, che «redigono il bilancio in conformità alle disposizioni del codice civile», da intendersi nel senso di essere destinatari dei nuovi principi contabili nazionali elaborati dall’OIC, come aggiornati ed adottati nel corso del 2016 in attuazione dell’art. 12 d.lgs. 18. 8.2015, n. 13911. Tale decreto legislativo, che recepisce in gran parte la direttiva n. 2013/34/UE, ha invero introdotto rilevanti novità nella disciplina del bilancio contenuta nel codice civile – nel complesso ispirata, come per gli IAS, ad una nuova concezione per lo più “finanziaria” dell’informativa di bilancio, basata sul cd. “fair value” e sulla “sostanza” degli atti dell’impresa – rendendo necessario l’aggiornamento dei principi contabili nazionali da parte dell’Organismo italiano di contabilità (OIC), al quale la legge assegna il compito, tra gli altri, di emanare «i principi contabili nazionali, ispirati alla migliore prassi operativa, per la redazione dei bilanci secondo le disposizioni del codice civile» (art. 9 bis d.lgs. 28.5.2005, n. 38, come introdotto dalla l. 11.8.2014, n. 116). Tra le principali novità della riforma della disciplina del bilancio vi è la chiara affermazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma – segnatamente, l’art. 2423-bis, c.c. afferma doversi tenere «conto della sostanza dell’operazione o del contratto» – la cui declinazione pratica viene affidata alla legge e ai principi contabili nazionali, con contenuti peraltro non sempre coincidenti con le regole IAS (ad es., il leasing continua ad essere contabilizzato secondo il metodo patrimoniale).
L’affermazione di tale principio – che impone di rappresentare gli effetti giuridici dei contratti nel modo più efficace possibile, evidenziando gli effetti sostanziali che gli stessi producono in termini di diritti e obbligazioni – ha posto il legislatore dinanzi alla necessità, come a suo tempo accaduto per i soggetti IAS, di evitare ai contribuenti OIC di dover gestire in dichiarazione un proibitivo “raccordo” tra le nuove disposizioni contabili e le disposizioni fiscali del t.u.i.r., anche qui risolto mediante l’estensione – in sede di conversione del d.l. 30.12.2016, n. 244 – del principio di derivazione rafforzata già previsto per i soggetti IAS. A livello normativo, ciò si è tradotto nell’aggiunta di un inciso nel terzo periodo dell’art. 83, co. 1, t.u.i.r., che statuisce l’idoneità dei criteri di «qualificazione, imputazione temporale e classificazione di bilancio» previsti dai principi contabili nazionali a derogare alle disposizioni del t.u.i.r., nonché mediante un rinvio «in quanto compatibili» al d.m. 1.4.2009, n. 48 e d.m. 8.6.2011, dei quali il legislatore ha previsto una revisione demandata a decreti di natura regolamentare, infine attuata con il d.m. 3.8.2017. Tale decreto, in linea del tutto generale, da un lato ha modificato il d.m. 8.6.2011 (art. 1), dall’altro ha individuato quali disposizioni dei due decreti IAS sono applicabili anche ai soggetti OIC (diversi dalle microimprese). Viene confermata, in sostanza, la declinazione del concetto di derivazione rafforzata prevista per i soggetti IAS, sicché, come per i soggetti IAS, la tecnica del rinvio utilizzata dal legislatore farà sì che l’Amministrazione finanziaria possa accertare la corretta applicazione dei principi contabili nazionali che ne formano oggetto. In ogni caso, come già previsto per i principi IAS con il d.l. n. 225/2010, anche per i futuri principi OIC il legislatore ha introdotto una cd. “procedura di validazione”, impedendo così un loro automatico recepimento fiscale.
Tanto premesso e passando adesso all’oggetto del rinvio – con specifico riferimento ai soggetti OIC – esso è così declinato. Quanto ai criteri di qualificazione, si tratta dell’individuazione del modello giuridico-negoziale di riferimento in cui assume rilievo il principio della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, secondo il quale gli atti dell’impresa vanno qualificati sulla base degli effetti “sostanziali” che essi producono, piuttosto che sulla scorta delle loro forme ed effetti giuridici. Questa operazione serve a chiarire se l’operazione presenti unicamente profili patrimoniali – e dunque sia priva di rilevanza ai fini impositivi – o si manifesti, in tutto o in parte, come fenomeno reddituale. In ogni caso, l’art. 2, co. 2, secondo periodo, d.m. n. 48/2009 – dichiarato applicabile anche ai soggetti OIC dall’art. 2 del d.m. 3.8.2017 – dispone che concorrono comunque alla formazione del reddito imponibile i componenti positivi e negativi, fiscalmente rilevanti ai sensi delle disposizioni del t.u.i.r., imputati direttamente a patrimonio per effetto dell’applicazione dei principi contabili nazionali. Quanto ai criteri di classificazione in bilancio, occorre individuare gli specifici effetti che il suddetto modello giuridico-negoziale di riferimento eventualmente produce sul reddito (e, contestualmente, individuare la specifica appostazione in bilancio dei relativi elementi reddituali e/o patrimoniali). Sotto il profilo reddituale, si tratta in sintesi di individuare la specifica tipologia (o “classe”) di provento o di onere di ciascuna operazione così come qualificata nella rappresentazione OIC compliant. I suddetti criteri dipendono, a loro volta, dai criteri di qualificazione. Quanto ai criteri di imputazione temporale, si tratta della corretta individuazione del periodo d’imposta in cui i componenti reddituali fiscalmente rilevanti devono concorrere a formare la base imponibile. A tal fine, si deroga all’art. 109, co. 1 e 2, t.u.i.r. (art. 2 d.m. n. 48/2009, dichiarato applicabile anche ai soggetti OIC dall’art. 2 d.l. 3.8.2017) e si rinvia alle regole di rilevazione contabile espresse dai principi contabili, a quelle regole, cioè, che sono destinate ad individuare l’esercizio nel quale gli elementi di bilancio (attività, passività, patrimonio netto, ricavi, costi) devono essere contabilizzati, e quindi esposti nello stato patrimoniale o nel conto economico. Anche qui le differenze possono essere di non poco conto, a motivo della prevalenza della maturazione “economica” su quella “giuridica”. Restano invece fuori dalla “derivazione” le valutazioni, non contemplate dalla formulazione dell’art. 83, t.u.i.r., ivi compresi i relativi limiti quantitativi (ad es., ammortamenti, oneri di utilità sociale, spese di rappresentanza, spese di manutenzione, ecc.), così come le disposizioni che prevedono la deduzione per cassa anziché per competenza (dividendi, compensi agli amministratori, ecc.), quelle che non consentono o limitano la deduzione di costi non inerenti o che prevedono la tassazione di componenti positivi frazionata nel tempo per motivi di opportunità fiscale (ad es., per le plusvalenze patrimoniali ex art. 86 t.u.i.r.), quelle che esentano o escludono, parzialmente o totalmente, determinati componenti positivi dalla formazione del reddito imponibile (ad es., Pex, dividendi, ecc.). L’art. 3 d.m. n. 48/2009 prevede, inoltre, una serie di regole tutte dichiarate applicabili dal d.m. 3.8.2017 ai soggetti OIC, e in particolare:
i) che il riconoscimento ai fini fiscali dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio, non determina, in ogni caso, in capo al medesimo soggetto passivo d’imposta, doppia deduzione ovvero nessuna deduzione di componenti negativi né doppia tassazione ovvero nessuna tassazione di componenti positivi (cd. “principio della rilevanza impositiva dei componenti almeno e non più di una volta sola”);
ii) che nel caso di operazioni tra soggetti IAS e soggetti non IAS la rilevazione e il trattamento ai fini fiscali di tali operazioni sono determinati, per ciascuno dei predetti soggetti, sulla base della corretta applicazione dei principi contabili da essi adottati. Analogo principio si applica nel caso di operazioni in cui entrambi i soggetti applicano gli IAS anche quando siano utilizzati differenti criteri di iscrizione e di cancellazione dal bilancio di attività e passività: non è dunque richiesta una coerenza di rappresentazione di bilancio tra i partecipanti ad una medesima relazione negoziale; il principio della non necessaria coerenza di rappresentazione di bilancio tra i partecipanti ad una medesima relazione negoziale, quale che sia la loro natura, è stato adesso esteso a tutti i soggetti (IAS, OIC diversi della microimprese, microimprese);
iii) che per talune fattispecie la natura giuridica prevale in ogni caso sulla sostanza (ad es., per l’imputazione di ritenute e crediti d’imposta, da riferire sempre al soggetto titolare del rapporto giuridico, anche se in applicazione degli IAS o degli OIC non rilevi il reddito su cui tali prelievi risultino applicati).
Tra le disposizioni del d.m. 8.6.2011, va ricordato l’art. 3, che prevede che i requisiti di strumentalità dei fabbricati vadano apprezzati con esclusivo riferimento all’art. 43 t.u.i.r., difettando la quale trova applicazione l’art. 90 t.u.i.r. relativo ai beni meramente patrimoniali; l’art. 5, che stabilisce che indipendentemente dalla qualificazione e dalla classificazione in bilancio si fa riferimento all’art. 44, co. 2, t.u.i.r. ai fini della qualificazione degli strumenti finanziari similari alle azioni e similari alle obbligazioni; l’art. 7, co. 2, 3 e 4, in tema di operazioni di copertura; l’art. 9, relativo agli accantonamenti, applicabile per le passività in scadenza o ammontare incerti che presentano i requisiti di cui all’OIC 31.
Al fine di dare un’idea più precisa della portata del nuovo principio di derivazione rafforzata per i soggetti OIC, è interessante svolgere alcuni esempi:
i) quanto al principio di competenza, nel caso di cessione o di acquisto di un bene o di prestazione di un servizio, l’OIC 15 e l’OIC 19 prevedono, rispettivamente per i ricavi e i costi, la rilevanza del «passaggio sostanziale e non formale del titolo di proprietà», assumendo quale parametro di riferimento, per tale passaggio sostanziale, il «trasferimento dei rischi e benefici»: siffatto trasferimento si verificherà, in linea generale, al momento della consegna o spedizione per i beni mobili, della stipulazione del contratto per i beni immobili e dell’avvenuta ultimazione per le prestazioni di servizi – momenti coincidenti, di fatto, con quelli individuati dall’art. 109, co. 2, t.u.i.r. in materia di competenza – ma ciò solo ove le condizioni degli accordi contrattuali non prevedano che il trasferimento dei rischi e benefici avvenga in un diverso momento, al quale occorrerà altrimenti fare riferimento, senza che si renda pertanto necessaria una corrispondente variazione in dichiarazione; ne risulta, ad esempio, che laddove il soggetto non assuma alcun rischio (mera intermediazione), non iscriverà in bilancio né il ricavo della vendita, né il costo di acquisto della materia prima, bensì le sole commissioni ad esso spettanti e i ricavi derivanti da eventuali servizi prestati;
ii) nel caso di lease back, la circostanza che l’OIC 12 preveda l’iscrizione della plusvalenza tra i risconti passivi e la sua imputazione graduale a conto economico in base alla durata del contratto di locazione finanziaria, sarà vincolante anche ai fini fiscali, come peraltro riconosciuto dalla stessa Amministrazione finanziaria12; viene pertanto definitivamente superata la tesi dell’Amministrazione medesima circa la necessaria imputazione della plusvalenza al solo esercizio di cessione del bene, peraltro già respinta dalla giurisprudenza con riferimento al regime di derivazione “semplice”13;
iii) nel caso di adozione del criterio del costo ammortizzato e dell’attualizzazione per i crediti e debiti commerciali, la rilevazione di un ricavo (ad es., di 1000) dilazionato oltre 12 mesi ad un valore inferiore (ad es., 950), con iscrizione degli interessi attivi corrispondenti alla differenza (50), da imputare poi contabilmente per la durata del periodo di incasso, origina l’automatico riconoscimento fiscale quali “interessi” degli interessi contabilizzati come tali a seguito della “rideterminazione” dei ricavi; il medesimo criterio trova applicazione dal lato passivo (con riferimento agli acquisti con pagamento differito oltre 12 mesi), nonché per i crediti o debiti di natura finanziaria (con l’eccezione del finanziamento soci dove i componenti reddituali rilevano secondo canoni giuridico-formali, indipendentemente dal trattamento contabile adottato);
iv) per le azioni proprie, la loro rivendita viene collocata dai nuovi principi contabili sul piano esclusivamente patrimoniale, con conseguente irrilevanza impositiva delle relative plus e minusvalenze;
v) nel caso di adozione del criterio del costo ammortizzato per i finanziamenti passivi, i costi di transazione non origineranno più quote di ammortamento, bensì interessi, con i conseguenti effetti sull’art. 96 t.u.i.r.
Dal quadro appena tracciato, un primo profilo problematico deriva dalla circostanza che il principio della derivazione “semplice” di cui al primo periodo dell’art. 83, co. 1, resta ormai applicabile alle sole cd. “microimprese” di cui all’art. 2435 ter, c.c. – poiché espressamente escluse dal principio di derivazione rafforzata – nonché, deve ritenersi, alle società di persone (con l’eccezione di quelle interamente controllate da società di capitali, che, ex art. 111 duodecies, disp. att. c.c., sono vincolate nella redazione del bilancio alle regole previste per le società di capitali) e alle imprese individuali. Per le società di persone e le imprese individuali, infatti, l’art. 2217 c.c. non prevede un vero e proprio obbligo di redazione del bilancio secondo i principi OIC, che costituisce il presupposto per l’applicazione della disciplina fiscale appena descritta. Dubbia è, invece, l’inclusione o meno degli enti non societari. Nel caso delle cd. “microimprese” si tratta, tuttavia, di una differenziazione difficilmente giustificabile, dal momento che anch’esse applicano le norme del codice civile e i principi OIC, con l’unica esclusione del criterio del “costo ammortizzato” – peraltro non applicabile neanche alle imprese che redigono il bilancio in forma abbreviata – e della valutazione dei derivati al fair value (ex art. 2435 ter, co. 3, c.c.). A ciò si aggiunge la constatazione che, con riferimento all’IRAP, la rappresentazione contabile “sostanziale” dei fatti di gestione trova invece pieno riconoscimento fiscale, attesa l’applicazione della cd. “presa diretta” dal bilancio di esercizio. In questa situazione, peraltro, potrebbero trovarsi anche soggetti di rilevanti dimensioni in termini patrimoniali – si pensi alle holding industriali – in quanto con caratteristiche tali (pochi dipendenti e componenti positivi non costituenti ricavi) da non superare i limiti di cui all’art. 2435 ter e, pertanto, soggette alla più penalizzante disciplina (in termini di variazioni e di fiscalità differita) della derivazione “semplice” (neanche ovviabile con la scelta di redigere il bilancio in forma ordinaria, stante il rinvio ai “soggetti” di cui all’art. 2435 ter). Ad esempio, la rivendita di azioni proprie in portafoglio continuerà a determinare l’emersione di plus e minusvalenze nonostante a livello contabile essa si rifletta solo sul patrimonio netto contabile. È chiaro che la rilevanza di un tale problema è direttamente proporzionale all’ampiezza che il principio della rilevanza della sostanza dell’operazione e del contratto è destinato ad assumere, posto che una sua applicazione generalizzata avrebbe l’effetto di costringere le “microimprese” ad un sistematico “doppio binario” tra sostanza contabile e forma fiscale. Al riguardo, mentre la relazione di accompagnamento sia al d.lgs. n. 139/2015, sia al d.m. 3.8.2017, ne limitava l’applicabilità alle sole fattispecie puntualmente declinate in tal senso dalla legge e dai nuovi principi contabili nazionali, il nuovo principio contabile OIC 11 (2018) ha affermato che, al di fuori delle suddette fattispecie e nell’impossibilità di fare ricorso in via analogica a principi contabili che trattano casi simili, il redattore del bilancio, quando deve stabilire una propria politica contabile su una fattispecie non oggetto di specifica disciplina, deve fare ricorso se necessario al postulato della rappresentazione sostanziale.
Viene dunque espressamente accolta la tesi secondo cui il principio della rappresentazione sostanziale non riguarda il solo standard setter, bensì anche il redattore del bilancio, che viene pertanto investito della responsabilità di una sua autonoma applicazione.
Se questa scelta appare apprezzabile sotto il profilo di un maggior “allineamento” del trattamento contabile (e dunque fiscale) tra soggetti IAS e OIC di una serie di fattispecie non puntualmente disciplinate dagli attuali principi contabili e per le quali la prevalenza della sostanza sulla forma è attualmente limitata ai soggetti IAS, dall’altro essa potrebbe invece avere proprio l’effetto di “acuire” le problematiche di quei soggetti cui viene attualmente precluso l’accesso al regime della derivazione rafforzata.
Il secondo profilo problematico che merita evidenziare attiene alla moltiplicazione dei possibili “redditi di impresa”.
Infatti, nel mentre resta ferma la sostanziale identità nel profilo “procedurale” della determinazione del reddito d’impresa14, altrettanto non accade, come visto, sotto il profilo “sostanziale”.
Sotto tale profilo, infatti, non solo permane, sia pure in termini decisamente attenuati, una “non neutralità” tra i soggetti IAS e quei soggetti non IAS adesso oggetto dell’applicazione del principio di derivazione rafforzata – attesa la non perfetta identità di contenuto tra i principi contabili internazionali e nazionali – ma ad essa si aggiunge quella tra le imprese soggette al principio di derivazione “rafforzata” e quelle soggette al principio di derivazione “semplice” e, nell’ambito di queste ultime, tra quelle tenute all’applicazione dei principi OIC e quelle che non vi sono tenute.
In altri termini, la determinazione del reddito di impresa è funzione dei principi contabili adottati, talvolta (per gli IAS) per opzione, delle dimensioni dell’impresa e della sua natura giuridica.
In prospettiva – oltre all’estensione del principio di derivazione rafforzata alle microimprese e alla previsione della generalizzata applicazione dei principi contabili OIC quale che sia la forma giuridica rivestita per l’esercizio dell’impresa (mantenendo ferma, per i soggetti meno “attrezzati”, l’esclusione delle regole più complesse, quali ad esempio il costo ammortizzato e l’attualizzazione) – due sembrano le ulteriori soluzioni su cui ragionare.
Da un lato, una più generale “riscrittura” delle norme del t.u.i.r. sul reddito di impresa e un loro “adeguamento” alla nuova realtà contabile, anche tenuto conto che la soluzione della “derivazione rafforzata” per i soggetti IAS era stata concepita quale disciplina “transitoria”, in attesa appunto di un riordino complessivo della disciplina del reddito di impresa; revisione, tuttavia, che si rende adesso ancor più complessa per effetto della nuova dimensione dei principi OIC e della più volte rilevata non identità di contenuto tra i medesimi principi IAS e i principi OIC. Dall’altro lato, una più generale riflessione sul passaggio a nuove metodologie di determinazione del reddito delle imprese, ivi compresa l’applicazione del principio cd. “di cassa” (secondo il modello della cash flow tax oppure del cd. “reddito liquido”)15 – con una conseguente netta separazione tra bilancio e reddito fiscale – tenuto anche conto che il principio di competenza ha mostrato limiti significativi a riflettere, in tempi di crisi, la reale “capacità contributiva” delle imprese.
1 Falsitta, G., Il problema dei rapporti tra bilancio civile e bilancio fiscale nel progetto di riforma della imposta sulle società (Ires), in Riv. dir. trib., 2003, 921 ss.; Gallo, F., Riforma del diritto societario e imposta sul reddito, in Giur. comm., 2004, 272 ss.; Grandinetti, M., Il principio di derivazione nell’IRES, Padova, 2016; Melis, G.Ruggiero, E., Pluralità di sistemi contabili, diritto commerciale e diritto tributario: l’esperienza italiana, in Rass. trib., 2008, 1624 ss.; Salvini, L., Diritto societario e diritto tributario: dieci anni dalle riforme, in Giur. comm., 2014, 698 ss.; Tabet, G., I lavori della Commissione Gallo con particolare riferimento al tema del disinquinamento del bilancio, in Il Fisco, 2003, 6063 ss.; Tinelli, G., Il reddito d’impresa nel diritto tributario, Milano, 1991; Venuti, M., La nuova disciplina sui bilanci e riflessi fiscali, in Libro dell’anno del diritto 2016, Roma, 2016, 479.
2 Cass., 12.3.2009, n. 5926.
3 Nella specie, l’OIC 15: Circ. Ag. entrate, 4.6.2014, n. 14/E.
4 Cass., 20.4.2016, n. 7885.
5 Cass., 11.1.2006, n. 377.
6 Cass., 30.7.2002, n. 11240; Cass., 26.5.2003, n. 8292; contra, Cass., 30.7.2018, n. 20122.
7 Circ. Ag. entrate, 27.4.1994, n. 73/E.
8 Beghin, M., Immobilizzazioni materiali, IAS 16 e determinazione del reddito d’impresa, in Corr. trib., 2007, 3571 ss.; Damiani, M., Rilevanza fiscale del criterio di “competenza” IAS dei ricavi, in Corr. trib., 2008, 1100 ss.; Lupi, R., Nuove prospettive di raccordo tra valutazioni civilistiche e reddito fiscale, in Corr. trib., 2008, 1095 ss.; Vacca, I., L’impatto degli IAS sul principio di derivazione dei redditi di impresa dalle risultanze di bilancio, in Assonime, Note e studi, n. 113, novembre 2007; Vicini Ronchetti, A., Il leasing finanziario nello IAS 17, in Corr. trib., 2007, 3606 ss.; Zizzo, G., I principi contabili internazionali, in Imposta sul reddito delle società, Tesauro, F., a cura di, Milano, 2007, 715 ss.; Id., L’Ires e i principi contabili internazionali: dalla neutralità sostanziale alla neutralità procedurale, in Rass. trib., 2008, 316 ss.
9 Circ. Ag. entrate, 28.2.2011, n. 7/E.
10 Con non indifferenti dubbi in ordine al rispetto del principio di riserva di legge: sul punto, Fransoni, G., I decreti ministeriali di coordinamento della disciplina Ires e Irap con i principi contabili internazionali: profili di legittimità, in Casi e osservazioni di diritto tributario, Pisa, 2018, 124 ss.
11 Andreani, G.Tubelli, A., L’estensione del principio di derivazione rafforzata alle imprese OIC: una riforma a metà?, in Il Fisco, 2017, 2907 ss.; Id., L’impatto fiscale della declinazione del principio di rappresentazione sostanziale, in Il Fisco, 2017, 3011 ss.; Assonime, circ., 21.6.2017, n. 14; Del Federico, L., Forma e sostanza nella tassazione del reddito d’impresa: spunti per qualche chiarimento concettuale, in Riv. dir. trib., 2017, 139 ss.
12 Ris. Ag. entrate, 23.6.2017, n. 77/E.
13 Cass. pen., 23.8.2016, n. 35294.
14 La quale si snoderà tuttora attraverso i seguenti passaggi: (i) quantificazione dell’utile o della perdita sulla base delle regole dettate dal codice civile e/o dai principi contabili; (ii) analisi di quali fatti e quali valutazioni trovano nella norma tributaria una specifica regolamentazione (fatti salvi, nel caso di derivazione rafforzata, i criteri di classificazione, imputazione temporale e qualificazione in bilancio, e nei limiti operativi che sopra si sono indicati); (iii) verifica dell’esistenza o meno di una coincidenza tra la valutazione operata ai fini civilistici e quella richiesta dalla normativa tributaria e, nel caso in cui tale coincidenza non vi sia (iv) rettifica in sede di dichiarazione dei redditi del risultato di esercizio, apportando ad esso le variazioni in aumento ed in diminuzione del reddito imponibile richieste dalla normativa tributaria.
15 Versiglioni, M., Il reddito liquido: lineamenti, argomenti ed esperimenti, in Riv. dir. trib., 2014, 741 ss.