deromanizzare
(de-romanizzare), v. tr. (scherz. iron.) Sottrarre all’influenza centralistica di Roma, delle decisioni che vi si prendono e dell’espansione dei suoi caratteri linguistici e culturali.
• «Togliamoci l’orologio: il Pd non è roba che dura lo spazio di una stagione politica. Abbiamo preso un impegno con i tre milioni e mezzo delle primarie, non dobbiamo tradirlo. Un’altra medicina è de-romanizzare il partito, oggi è troppo romano-centrico. Dobbiamo dare reale autonomia ai dirigenti e agli amministratori locali. A loro toccano le decisioni su alleanze, programmi, candidati» (Enrico Letta intervistato da Goffredo De Marchis, Repubblica, 15 gennaio 2009, p. 12, Politica) • E insomma se [Roberto Calderoli] l’ha detto, di voler de-romanizzare il Quirinale, non l’ha detto e se c’era, davanti a quel microfono o a quel taccuino che ne ha registrato le parole, forse dormiva. O delirava. (Mario Ajello, Messaggero, 28 maggio 2011, p. 7, Primo Piano) • La serata ha ancora bisogno di aggiustamenti: andrebbe un po’ «deromanizzata», bisognerebbe evitare gli interventi «creativi» di Michele Placido o le gag di Francesco Pannofino, occorrerebbe che qualcuno spingesse all’entusiasmo Valeria Golino (su, non è una cerimonia funebre!), sarebbe necessario spezzare quel circolo vizioso dei ringraziamenti (Garrone ringrazia Servillo, Servillo ringrazia Sorrentino, Sorrentino ringrazia…), si potrebbe tranquillamente fare a meno dei predicozzi finto-poetici di Roberto Saviano (spot occulto per «Gomorra 2»?), poi ci siamo. (Aldo Grasso, Corriere della sera, 20 aprile 2016, p. 51).
- Derivato dal v. tr. romanizzare con l’aggiunta del prefisso de-.
- Già attestato nella Stampa del 27 giugno 1994, p. 21, Dall’Interno e dall’Estero (Lamberto Furno).