desertificazione
Processo di persistente degrado degli ecosistemi delle zone aride. Alfine di comprendere il fenomeno della d. bisogna chiarire la nozione di ‘degrado delle terre’ e precisare il significato delle definizioni di zone ‘aride’, ‘semi-aride’, ‘subumide’. Per degrado delle terre si intende la riduzione o la scomparsa della loro produttività biologica o economica. I tipi e gli stadi di degrado possono essere vari e la d. è uno di questi.
La caratteristica precipua del degrado inteso come d., è data dalla irreversibilità del processo o dalla sua estrema difficoltà di arresto. Si definiscono zone aride, semi-aride e sub-umide quelle aree territoriali, a eccezione delle regioni polari e subpolari, il cui ‘indice di aridità’ (rapporto tra le precipitazioni annue e il potenziale di evapo-traspirazione) è compreso tra 0,05 e 0,65. L’aridità non coincide con la siccità che si ha quando le precipitazioni risultano sensibilmente inferiori ai livelli normalmente registrati. La siccità prolungata può però innescare il processo di desertificazione. Le cause di degrado sono sia naturali sia antropiche e quando portano alla desertificazione implicano la riduzione di terre destinabili all’agricoltura, all’allevamento, al manto forestale. Tra le cause naturali, vi sono i cambiamenti climatici, quali l’aumento delle temperature, la riduzione delle piogge e l’erosività delle stesse che, data la loro maggiore intensità, trasportano e disgregano lo strato produttivo di superficie. Tra le cause antropiche, vi sono il sovrasfruttamento agricolo e di pascolo, l’utilizzo non sostenibile delle risorse idriche, gli incendi che, distruggendo comunità animali e vegetali, impoveriscono le proprietà fisico-chimiche dei suoli, l’urbanizzazione e la conseguente impermeabilizzazione dei suoli. La combinazione delle cause naturali e antropiche accelera il degrado dei suoli. Il processo di d. è, globalmente, in aumento e ciò rende il sostentamento della crescente popolazione mondiale ancora più problematico. Ogni anno, secondo i dati dell’UNEP (➔), si perdono 12 milioni di ettari e 50 miliardi di euro di reddito.
Già nel 1994, a Parigi, più di 190 Paesi hanno adottato la Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la desertificazione (UNCCD, United Nations Convention to Combat Desertification). L’Italia ha ratificato la Convenzione con la l. 1704 /1997 e ha istituito, nel settembre dello stesso anno, il Comitato nazionale per la lotta alla siccità e alla desertificazione al fine di garantirne l’attuazione, ma anche in considerazione dell’estensione del processo alle zone mediterranee. L’Agenzia Europea per l’Ambiente (AEA) ha iniziato nel 2002 a mappare le zone esposte a siccità e a d. sviluppando il Sensitivity Desertification Index (SDI), a sua volta ottenuto da 3 diversi indicatori, climate sensitivity index, soil sensitivity index, vegetation sensitivity index. L’indicatore includerà in futuro altri parametri per tener conto anche della pianificazione del territorio e degli aspetti socio-economici. Le mappe del 2003 e del 2009 hanno confermato il trend espansivo del processo di desertificazione.
L’AEA, insieme ad altri istituti di ricerca, incluso l’ENEA, ha anche realizzato una carta della sensibilità alla d. per i Paesi del bacino del Mediterraneo, sulla base di un altro indicatore, l’Environmental Sensitivity Areas Index (ESAI). Esso aggiunge ai parametri per clima, suolo e vegetazione, quello per i sistemi di gestione e permette di valutare la responsabilità relativa dei diversi fattori. Il 3,7% del territorio italiano risulta molto vulnerabile, il 32,15% vulnerabile e il restante 64,11% poco vulnerabile, ma destinato a non restare tale nello scenario di cambiamento climatico (➔ ) atteso. Queste mappature sono fondamentali per poter intervenire prima che il processo diventi irreversibile. L’aumento della popolazione e della crescita economica accrescono il rischio di d. perché impattano su elementi sensibili per il processo; sono tali i maggiori prelievi di acqua pro capite, l’intensificazione dell’allevamento e il maggiore disboscamento. Infine, la d. non riguarda solo le popolazioni rurali delle zone aride, ma investe le città di destinazione delle popolazioni migranti e, globalmente, riduce i servizi che gli ecosistemi non degradati forniscono alla collettività, quali la regolazione del clima e la protezione dei suoli. L’Italia è interessata da questo processo sia per la vulnerabilità del proprio territorio sia per essere meta di destinazione di migranti dalle terre desertificate del sud del Mediterraneo.