DESERTIFICAZIONE
La d. è un processo di degradazione dei sistemi ambientali asciutti, associato agli effetti dell'azione umana, e la cui entità è variabile, sino all'instaurazione di condizioni di tipo desertico. Il decadimento della produttività biologica dell'ecosistema è associato a diversi processi: erosione del suolo ad opera del vento e dell'acqua, insabbiamento, riduzione della capacità idrica e deterioramento della struttura dei suoli.
Il valore evocativo del termine ha fatto sì che il significato iniziale, proposto dal fitogeografo A. Aubreville nel 1949, si sia progressivamente caricato di valenze diverse. In ambito scientifico, nonostante le riserve di alcuni ricercatori, con d. vengono comunemente designati anche i mutamenti qualitativi dell'ecosistema (per es. alterazione floristica in una formazione erbacea o mutamento del regime pedogenetico) per cui risulta dunque implicita, nel termine, una valutazione dell'utilizzabilità dell'ecosistema da parte dell'uomo; nel linguaggio comune, il termine viene applicato largamente alla problematica ecologica in generale, specialmente per quel che riguarda i paesi in via di sviluppo.
Due problemi in particolare risultano assai discussi e sostanzialmente ancora insoluti nella trattazione della desertificazione.
Il primo problema riguarda il ruolo svolto dai fattori naturali nell'attivare il processo di d.: affermatosi alla fine degli anni Sessanta, in un momento di crisi dell'interpretazione in termini deterministico-naturalistici della genesi dei problemi ambientali, il concetto di d. vi impose − privilegiandolo − il ruolo dell'azione umana (quale, per es., la modalità di gestione, l'intensità dello sfruttamento, le finalità della produzione, ecc.); ciò si configurò anche come parte del più generale rifiuto di ogni ipotesi di sottosviluppo originario da parte di quei paesi del Terzo Mondo che risentivano in misura drammatica della d. e la consideravano come uno degli effetti del loro sfruttamento coloniale e neocoloniale. Questa concezione si affermò al convegno dell'ONU sulla d., organizzato dall'UNEP (United Nations Environment Program, l'organismo dell'ONU, con sede a Nairobi, incaricato di coordinare gli interventi contro la d.) a Nairobi nel 1977. In realtà, anche se la d. non va assolutamente confusa con l'espansione del deserto legata alle fluttuazioni naturali − processo per cui è stato proposto il termine di desertization e che ha periodo assai più lungo − tuttavia oggi si torna a includere nell'ambito delle cause della d. anche le oscillazioni naturali (in primo luogo quelle climatiche), seppur con molta incertezza ancora per quanto riguarda ritmi e scale temporali e con una concezione di causalità non deterministica e lineare, ma indeterminata. Secondo quest'ultima concezione, infatti, gli effetti di un evento naturale dipendono non solo dallo stato e dalle leggi di trasformazione dell'ecosistema considerato, ma anche dalle retroazioni che vi si innestano e dalla sua soglia di stabilità: tali, quindi, da risultare imprevedibili; in particolare, tra i fattori che possono abbassare la soglia di stabilità, figurano modalità e intensità dello sfruttamento da parte dell'uomo.
L'altro problema riguarda il rapporto tra persistenza e resilienza degli ecosistemi, cioè tra la loro capacità di mantenere i propri caratteri morfologici di fronte alle fluttuazioni ambientali e la loro capacità di mantenere una condizione d'equilibrio pur mutando questi caratteri morfologici; gli ecosistemi asciutti sono caratterizzati, in seguito a processi di adattamento, da una debole persistenza ma da un'elevatissima resilienza, ragione per cui di fronte agli stress naturali o antropici si impoveriscono rapidamente, ma possono poi recuperare meglio di altri: ciò che nel breve termine viene considerato come un fenomeno di d., nel medio periodo può venire invece riassorbito dalla rigenerazione biologica e configurarsi dunque come una fluttuazione reversibile. Molti dubbi sussistono in questo campo, relativamente alla distinzione tra fluttuazione contingente e degradazione cronica, tra effetti di una siccità e d. vera e propria, anche se nella realtà gli effetti dei due processi si sovrappongono e si intensificano reciprocamente; inoltre, l'irreversibilità della degradazione deve essere intesa in rapporto alla scala temporale umana e alla redditività economica degli interventi eventualmente necessari per ristabilire la produttività biologica.
Come altri processi di degradazione ecologica, la d. è legata all'interazione tra le caratteristiche limitanti degli ecosistemi asciutti e le pratiche specifiche di utilizzazione da parte dell'uomo.
Tra le prime, possiamo ricordare il bilancio negativo dell'acqua del suolo (conseguentemente: ricarica debole o nulla delle falde idriche, rischio di salinizzazione superficiale dei suoli per intensa risalita capillare dell'acqua associata a elevata evaporazione); la debole e fortemente variabile produzione primaria degli ecosistemi (conseguentemente: necessità di uno sfruttamento a bassa intensità e a elevata flessibilità spazio-temporale, per evitare di intaccare la capacità di rigenerazione biologica); l'alta erodibilità dei suoli, per la loro struttura incoerente (conseguentemente: rischio di erosione a opera del vento e delle acque dilavanti).
Quanto alle pratiche di utilizzazione da parte dell'uomo, possiamo individuare le destinazioni d'uso che spingono a uno sfruttamento inadeguato, per intensità e modalità, dell'ecosistema. In primo luogo, la produzione di materie prime a basso costo per il mercato, che porta a esternalizzare i costi ambientali. Tra i processi produttivi associati a questa esigenza, possiamo ricordare la diffusione dell'agricoltura irrigua a fini produttivi senza adeguate reti drenanti, che innesta i meccanismi della salinizzazione (è un fenomeno estremamente diffuso nei progetti irrigui delle terre asciutte, soprattutto dei paesi in via di sviluppo); l'intensificazione dell'agricoltura seccagna, che attiva processi di erosione accelerata (il dust bowl statunitense, la diffusione dell'arachide in Sahel, la colonizzazione delle steppe centroasiatiche in URSS e Cina); l'eccessivo emungimento delle falde freatiche, che impoverisce la portata dei pozzi (oasi sahariane, zone pedemontane centroasiatiche, Australia orientale).
Oltre a ciò, va considerata la pressione della riproduzione sociale a livello di sussistenza, che spinge le popolazioni e i processi produttivi tradizionali verso ecosistemi sempre più marginali, in una fase peraltro di elevato incremento demografico; a questo proposito, possiamo ricordare i fronti d'avanzamento dell'agricoltura seccagna di sussistenza sull'altopiano messicano, nel Nordeste brasiliano e soprattutto ai margini della grande Diagonale Arida, dalla Mauritania all'altopiano iranico, dove essi relegano verso ambienti ancor più asciutti la pastorizia nomade. La messa a coltura di terreni sabbiosi, il sovrapascolamento e l'eccessiva raccolta di legna da ardere riducono la già limitata produttività biologica, denudano il terreno e lo espongono a diversi fenomeni erosivi.
Infine si deve ricordare che le terre asciutte, periferiche rispetto ai centri statali e spesso oggetto di confronto internazionale, sono sempre più interessate da progetti regionali tendenti alla loro integrazione nei sistemi territoriali nazionali, progetti che rispondono alle esigenze dei centri e non ai caratteri ecologici dell'aridità. Sedentarizzazione dei nomadi, irrigidimento delle maglie agricole, grandi operazioni irrigue rientrano in queste categorie d'intervento, con effetti diversi e complessi sulla intensità e modalità di sfruttamento degli ecosistemi, come si osserva in molte regioni asciutte sottosviluppate.
Molto ardua risulta ogni valutazione dell'estensione della d., per la complessità e l'eterogeneità dei processi coinvolti e delle manifestazioni del problema; a titolo indicativo la FAO al convegno di Nairobi del 1977 indicava in oltre 37,6 milioni di km2 (25% delle terre emerse) la superficie esposta, in misura diversa, al rischio di d.; una quantificazione successiva, realizzata nel 1984 dall'UNEP, fa ammontare a 20 milioni di km2 e a 280 milioni di individui la superficie e la popolazione rurale colpita.
V. anche aridità, in questa Appendice.
Bibl.: H. Mensching, F. Ibrahim, The problems of desertification in and around arid lands, in Applied science and development, 10 (1977), pp. 7-43; United Nations Conference on Desertification, Desertification: its causes and consequences, Oxford 1977; W. Meckelein, Desertification in extremely arid environments, in Stuttgart geographical studies, 95 (1980); L. Heathcote, The arid lands: their use and abuse, Londra 1983.