deserto
La vita in condizioni estreme
Il deserto è un ambiente caratterizzato da condizioni climatiche di aridità. La sua origine è associata a fattori diversi che si possono variamente combinare tra loro determinando tipologie calde e fredde. L'uomo vive nel deserto e si rapporta da tempi remotissimi con questo ambiente ostile: il deserto è ricco di storia e di suggestioni mitiche. È, inoltre, un vero banco di prova per tutti i viventi: il clima arido, la piovosità scarsa, il suolo impregnato di sale sono sfide a cui le piante e gli animali rispondono in vari modi, inventandosi una serie di straordinari adattamenti
Una carovana di dromedari che taglia l'orizzonte sullo sfondo di dune sabbiose in un caldo torrido. È questa l'immagine più frequente associata al deserto. Tuttavia, esistono anche regioni desertiche in cui nei mesi più freddi si registrano temperature medie di −30 °C. A ben vedere, in base alle condizioni termiche si possono individuare deserti caldi, dove le temperature medie annue non sono mai inferiori ai 18 °C, e deserti freddi. Non si può tuttavia fare una distinzione in senso stretto di queste aree che coprono estensioni notevoli della superficie terrestre. In effetti, il carattere comune a tutte le zone desertiche è quello di essere sottoposte agli effetti di un clima arido, in cui le precipitazioni medie annue non superano i 250 mm e si manifestano sotto forma di rari, violenti e brevi temporali. Conseguentemente, in tale situazione climatica, territori geograficamente collocati a varie latitudini e dalla morfologia molto differenziata possono avere la copertura vegetale sporadica o totalmente assente.
La condizione di aridità dei deserti è causata da fattori climatici diversi. Per comprendere meglio come questi interagiscono, consideriamo il risultato della loro azione sui vari tipi di deserto. Ciò che più contraddistingue i deserti caldi rispetto a quelli freddi è il modo in cui varia la relativa temperatura atmosferica. Nei deserti caldi, infatti, si assiste a una notevole variazione della temperatura giornaliera (escursione termica giornaliera) che di giorno può raggiungere i 60 °C mentre di notte può anche scendere sotto lo zero. Nei deserti freddi, invece, si ha una grande variazione della temperatura stagionale (escursione termica annua), con inverni molto freddi ed estati anche torride. In entrambi i casi, la latitudine delle zone interessate dal fenomeno rappresenta un fattore condizionante, in quanto l'energia termica fornita dal Sole è più costante durante l'anno nelle fasce tropicali, dove si trovano i deserti caldi, piuttosto che in aree più settentrionali ‒ o più meridionali se consideriamo l'emisfero sud ‒, dove si trovano generalmente i deserti freddi. In entrambi i casi, un altro fattore climatico rilevante può essere la presenza di una grande catena montuosa al limite della regione desertica (orografia regionale), in grado di impedire l'accesso di masse d'aria cariche di umidità di provenienza oceanica.
I climi aridi dei deserti hanno inoltre un'altra causa: per quelli caldi è determinante la stabilità meteorologica, frutto di una persistente situazione di alta pressione atmosferica regionale (anticiclone subtropicale) che impedisce l'arrivo delle perturbazioni; per quelli freddi costituisce un parametro fondamentale la notevole distanza dal mare (continentalità). A tutti questi fattori ‒ latitudine, orografia, condizioni meteorologiche dominanti e continentalità ‒ se ne deve aggiungere un altro, in alcuni casi rilevante: la presenza di correnti oceaniche fredde che può condizionare il clima di regioni desertiche costiere, come avviene per il deserto del Namib, nell'Africa sudoccidentale.
Animali di tutti i tipi. La vita nei deserti non è assente, anche se condizionata dalle ridottissime disponibilità d'acqua e dalle temperature estreme. Tanto nei deserti caldi (come, per esempio, il Sahara africano, il Gran Deserto Australiano o quelli Arabico e californiani) quanto nei deserti freddi (come il Gobi in Mongolia o quello della Patagonia meridionale) le forme viventi diventano sempre più rare procedendo verso le zone più interne. Gli adattamenti dei viventi alle condizioni di vita estreme sono particolarmente interessanti.
Gli animali dell'ambiente arido appartengono a tutti i principali gruppi zoologici. Ci sono molluschi, insetti, scorpioni e altri aracnidi, rettili, piccoli roditori, cammelli, dromedari, antilopi, felini, alcuni uccelli.
Tra i maggiori problemi di sopravvivenza da risolvere troviamo la necessità di sfuggire alla calura o al freddo intenso, di ridurre la perdita d'acqua, di trovare il cibo in un ambiente così avaro e di proteggersi dai predatori in un habitat che ha ben pochi rifugi. Così, per esempio, se c'è qualcosa che lo spaventa, il gerbillo della Mongolia, un piccolo roditore del deserto, si ripara sottoterra e avvisa i compagni battendo il suolo con le zampe posteriori e lanciando acuti squittii.
Per sfuggire al terribile caldo emanato dal suolo alcune formiche del deserto corrono 'in punta di piedi', con le zampe ad angolo retto rispetto al terreno. Lo scinco delle sabbie, una specie di lucertola, 'nuota' invece nelle sabbie del Sahara utilizzando gli arti quasi come fossero pinne.
Difendersi dal caldo. Per mantenersi lontani dalla superficie rovente, i serpenti usano nascondersi tra i rami più alti dei rari cespugli, anche se devono poi spostarsi come le lancette dell'orologio per inseguire l'ombra. Purtroppo questo continuo movimento può essere loro fatale in quanto gli avvoltoi e gli altri rapaci del deserto li avvistano più facilmente. Altro animale caratteristico è la volpe del deserto, il piccolo fennec, lungo 40 cm appena, che per favorire la dispersione del calore corporeo ha sviluppato orecchie molto grandi (arrivano a 15 cm), in cui il sangue sotto la pelle irradia una gran quantità di calore. Inoltre quasi tutti gli animali dei deserti caldi sono di pelle chiara sia perché si mimetizzano meglio, sia perché i colori chiari riflettono maggiormente il calore rispetto ai colori scuri.
Tecniche per risparmiare acque. Nel deserto, caldo o freddo, il risparmio dell'acqua è un'altra legge di sopravvivenza. A tale scopo gli insetti hanno un rivestimento di chitina, i serpenti hanno le squame, e tutti gli animali depositano escrementi e urine molto concentrati. Le feci dei dromedari sono talmente secche che si usano direttamente come combustibile per il fuoco. Il geco nella coda, il cammello e il dromedario nella gobba accumulano invece grasso che consumano lentamente: dimagriscono perciò durante le traversate del deserto, producendo acqua che passa nel sangue impedendo la disidratazione. Tutti gli animali del deserto, poi, fanno un 'pisolino' nelle ore più torride, riposandosi all'ombra o nelle loro tane e limitando così le perdite d'acqua attraverso il sudore, inevitabili se fossero in attività.
Alle condizioni estreme dei deserti, caratterizzati da elevate differenze di temperatura tra il giorno e la notte (deserti caldi) o tra l'estate e l'inverno (deserti freddi), dalla poca acqua, dal suolo intriso di sale che non viene mai dilavato dalla pioggia, da venti e tempeste di sabbia, anche le piante rispondono con diversi e interessanti adattamenti. Le foglie si riducono fino a diventare spine, come nelle Cactacee, o sono ricoperte di una fitta peluria che rallenta la traspirazione. Durante la stagione arida cadono foglie e rami. La fase vegetativa, quella in cui la pianta fiorisce e fruttifica, è breve e concentrata nel periodo delle piogge. Spesso le piante del deserto possiedono appositi tessuti di riserva in cui si conserva l'acqua assorbita durante la pioggia, per cui vengono chiamate piante succulente. Le radici, molto estese, vanno 'a caccia' d'acqua in profondità. La fotosintesi avviene con modalità differenti da quelle degli altri vegetali. Questo straordinario adattamento del processo fotosintetico è dato dalle piante Crassulacee, attraverso un processo detto CAM.
La sigla CAM viene dall'inglese Crassulacean acid metabolism, "metabolismo acido delle Crassulacee". È noto che una pianta verde, contenente cioè clorofilla, è in grado di combinare insieme due sostanze semplici: l'acqua (che arriva dal terreno tramite le radici) e il gas anidride carbonica, che dall'aria entra nella pianta attraverso gli stomi. I prodotti finali che si ottengono sono lo zucchero glucosio, che darà origine alle altre molecole necessarie alla vita dell'organismo vegetale, e l'ossigeno, che va nell'aria per essere utilizzato nella respirazione di tutti i viventi, piante comprese. Per far entrare l'anidride carbonica si devono aprire gli stomi, le minuscole 'bocche' poste sull'epidermide delle foglie, il che avviene di solito durante il giorno, quando l'energia luminosa attiva la clorofilla che dà il via, a sua volta, al processo fotosintetico appena descritto. Ma di giorno, nel deserto, fa caldo, e che caldo! Se gli stomi si aprono, anche quella poca acqua che la pianta trattiene nei suoi tessuti finisce col fuggire sotto forma di vapore, e questo la pianta non se lo può davvero permettere. Alcune piante, come le Crassulacee, hanno trovato la strada giusta. Sono piante succulente che durante il giorno tengono ben chiusi i loro stomi in modo da non far uscire l'acqua, ma, non potendo entrare così nemmeno l'anidride carbonica, di notte li spalancano assorbendo dall'esterno questo gas che subito legano a un composto chiamato acido fosfoenolpiruvico contenuto nelle loro cellule. Il giorno dopo, quando c'è luce, la pianta ricomincia a fare la fotosintesi utilizzando l'anidride carbonica legata all'acido fosfoenolpiruvico e immagazzinata la notte precedente.
Allo scopo di vincere la dura battaglia per la sopravvivenza, le piante dei deserti o delle regioni limitrofe hanno acquistato durante il loro processo evolutivo un aspetto a dir poco bizzarro. Tra queste primeggiano le Cactacee e le Agavacee, ma anche altre famiglie hanno adottato soluzioni, che meritano di essere menzionate. Il genere Lithops (famiglia delle Aizoacee) vive nei deserti pietrosi dell'Africa meridionale mimetizzandosi tra i sassi, a cui assomiglia in modo impressionante, fino al momento della fioritura quando si fa notare per i suoi fiori rossi simili a margherite.
Il baobab africano (Adansonia digitata), detto anche albero del pane delle scimmie, presenta un tronco che può arrivare ai 10 m di diametro in cui immagazzina l'acqua assorbita durante le rare piogge. Pare certo che gli elefanti usino spaccare il tronco del baobab per bere l'acqua da quello strano serbatoio.
"Pianta ubriaca", in spagnolo palo borracho, è il nome dato in Argentina a Chorisia speciosa, un albero molto alto, dai grandi fiori rosa, con un tronco alla base panciuto come un otre in cui si accumula l'acqua, utilizzata poi durante i periodi di siccità che questa pianta riesce a superare senza neanche perdere le foglie.
Il rapporto dell'uomo con il deserto presenta aspetti molteplici, che rientrano in tematiche culturali, economiche, scientifiche, ambientali. Il senso mitico dell'ambiente estremo pervade la nostra rappresentazione del deserto e delle popolazioni nomadi e rurali che ancora oggi vi vivono, tra cui i Tuareg del Sahara o i San del Kalahari. I Tuareg, per esempio, il cui nome deriva dall'arabo ("gli abbandonati"), fanno parte del vasto e numeroso gruppo etnico dei Berberi (circa 14 milioni di persone) sparso su un vasto territorio che va dal Sahara Occidentale alla Libia. Essi tuttavia preferiscono chiamarsi Imazighen, che nella loro lingua vuol dire "uomini liberi"; infatti, non a caso, sono l'unico gruppo umano di lingua berbera intenzionato a mantenersi autonomo rispetto ai paesi in cui vivono ( Libia, Algeria, Mali, Niger).
Del resto le testimonianze archeologiche ci informano che i primi insediamenti umani nelle regioni attualmente desertiche sono remotissimi, per esempio nel Sahara risalgono a circa 400.000 anni fa, e che spesso il deserto è stato il luogo privilegiato da comunità eremitiche, come la popolazione semitica vissuta nel Negev durante il 1° secolo a.C.
Alcune pregevoli pitture e incisioni rupestri si trovano nell'altopiano del Messak, nella regione del Fezzan del Sahara libico, e vi si descrivono scene dove sono protagonisti animali di grande taglia ‒ ippopotami, elefanti, giraffe ‒ ricordandoci così che il deserto è un ambiente relativamente giovane, e che dove oggi regna il clima arido un tempo non lontano proliferava la vita. Ciò può suggerire considerazioni sul problema della desertificazione dei suoli, che dipende dall'intenso sfruttamento delle risorse naturali a opera dell'uomo. Se l'evoluzione naturale del clima locale può condurre in tempi relativamente brevi una regione alla condizione di aridità, ancor più rapida può essere l'azione di impoverimento della fertilità dei suoli indotta dall'uomo attraverso l'indiscriminata gestione del territorio e delle sue risorse idriche.
La morfologia dei deserti è molto varia. Spesso è l'azione del vento a determinare i paesaggi, come accade nel Sahara dove, da zone denudate caratterizzate da forme rocciose (hamada) o ciottolose (serir), si passa a zone di accumulo sabbioso (erg) dominate dalle dune. Queste strutture, che talvolta assumono dimensioni notevoli, anche centinaia di metri in altezza, nella forma più nota (barcane) hanno un andamento a mezzaluna con le punte rivolte nella direzione del vento.
Le aree desertiche coprono il 30% circa della superficie terrestre, di cui il 14% è costituito dai deserti polari (Artide, Antartide e buona parte della Groenlandia) e il 16% dai deserti caldi e da quelli freddi. È interessante confrontare sull'atlante geografico le dimensioni dei deserti più grandi del mondo considerando come termine di riferimento la superficie dell'Italia (301.000 km2).