desiderare (disiderare; desiderrebbe, condiz. pres. III singol.)
Spesso sostituito, in poesia, da ‛ disiare ' (v.) e ‛ disirare ', esprime un moto di appetizione caratterizzato dal rapporto affettivo tra soggetto e oggetto, come in Cv III X 2 quanto la cosa desiderata più appropinqua al desiderante, tanto lo desiderio è maggiore, e l'anima, più passionata, più si unisce a la parte concupiscibile e più abbandona la ragione; tanto più intenso ed esplicito se riferito alla radice amorosa, nella sfera del divino o dell'umano, come in Pd I 77 la rota che tu sempiterni / desiderato; Cv III XII 3 e 4; Vn XXIII 9 Or vieni a me, ché molto ti desidero; e tu lo vedi, ché io porto già lo tuo colore, ove l'autenticità del desiderio si appella poeticamente, insieme con l'immagine del pallore mortale, al principio dell'unione con la cosa amata; o rapportato alla legge naturale, come in Cv I I 1 tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere; I 6, IX 2, III VI 7 (due volte), IV IV 3 e 4, XII 14, Fiore XCVII 5. Rapporto affettivo che può attenuarsi, come in If XXX 137 colui... / che sognando desidera sognare; Pd III 65, Vn XIX 21, XXXIX 4, Cv IV IV 5, XII 6 e 16 (quattro volte), ma sopravvive sempre come elemento differenziante rispetto al comune volere: Cv I VII 12, III XV 3, 8, 9 (sei volte) e 10, IV XIII 2 (due volte) e 8 (due volte). Confortato dalla fiducia nell'appagamento, il d. tende a identificarsi con la speranza: Cv III XIV 14 viene la speranza, de lo proveduto desiderare (nella '21 si legge [che è] lo proveduto d.), come quello di Adamo, in Pd XXVI 120; Vn XIV 10, Cv I III 4. Costruzione particolare con l'infinito retto da ‛ a ', in Cv III XIV 13 per le cose che ne tiene celate desiderare ad acquistare (come si legge nella '21 e nell'ediz. Simonelli; ed acquistare, in Busnelli-Vandelli), e sostantivato in IV XIII 5 e 9, oltre al già visto III XIV 14.