CHIAVES, Desiderato
Nato a Torino il 2 ott. 1825 da Carlo, ex ufficiale dell'esercito, napoleonico, e da Maria Vandiol, si era laureato in legge nel 1846, facendo poi pratica presso un noto avvocato torinese, G. B. Cornero. Fu tra i giovani animatori delle agitazioni popolari che, nel quadro del movimento per l'indipendenza d'Italia, acclamarono le prime riforme albertine; fu tra i dimostranti torinesi della sera del 1º ott. 1847 e, dopo l'intervento della polizia, tra coloro che, recatisi dal notaio Dallosta, protestarono in carta bollata. Nel 1848, tra la prima e la seconda campagna di guerra, fa mandato dal ministro D. Pinelli come regio commissario in un comune del Canavese.
Con la concessione della libertà di stampa, nel 1848, prese a scrivere poesie satiriche sul Fischietto, firmandosi con lo pseudonimo di "Fra' Galdino" dopo aver collaborato alle Letture di famiglia ed essersi occupato, nei primi anni della carriera forense, della difesa dei giornali liberali, soprattutto dell'Opinione e dell'Unione, diretti da A. Bianchi Giovini. Il suo spirito caustico molestò Napoleone III che, durante il congresso di Parigi, se ne lamentò con Cavour, e questi, per mezzo di M. Castelli e V. Bersezio, lo convinse a desistere. Nello stesso periodo faceva le prime prove di commediografo; pubblicava anche, a Torino nel 1843, un apprezzato manuale, Il giudice di fatto, una guida teorico-pratica, come spiegava il sottotitolo, per esercitare l'ufficio del giurato, e uno scritto sul Giurì in materia di reati di stampa, coevo al suo ingresso nel Consiglio comunale di Torino nel 1852, dove rimase per circa trent'anni.
Entrato in Parlamento il 1º marzo 1857 (V legislatura), prese parte alla discussione sulla proposta di modifiche al codice penale, presentata dal ministro A. De Foresta. Annullata per difetto di forma la successiva elezione a deputato per il collegio di Sanfront del 22 febbr. 1858 (VI legislatura), venne rieletto l'11 luglio dal collegio di Canale e Cornegliano. Il 25 apr. 1859 fu nominato relatore del disegno di legge che conferiva al re e per esso al governo i pieni poteri durante la guerra contro l'Austria. Rieletto nelle successive votazioni (VII legislatura) dal collegio di Canale, Sommariva e Govone, fu incaricato all'inizio della sessione di sostenere la discussione sul trattato di cessione della Savoia e di Nizza alla Francia: dichiarò il suo voto favorevole per la Savoia, ma con riserve per Nizza, di cui sosteneva l'italianità. Nella discussione dell'ottobre 1860 sulla legge d'annessione delle province meridionali, il suo discorso di deciso appoggio alla politica di Cavour fu applaudito, stampato e diffuso nelle varie province a cura del ministero. Pochi mesi dopo però, durante lo svolgimento dell'interpellanza del deputato Audinot su Roma capitale, il C. fu il solo a sollevare dubbi sull'opportunità della proposta poiché Venezia era ancora soggetta all'Austria, suscitando una vivace reazione da parte di Cavour.
Fu eletto continuativamente, fino al 1882, per i collegi di Bra e poi di Acqui. Ebbe un certo rilievo nel gruppo di deputati piemontesi che facevano capo a G. La Farina e che si tenevano distinti dalla Destra pura; quando, con la morte del La Farina, il gruppo si sciolse, il C., che era stato favorevole a Ricasoli e a Rattazzi, si dimostrò contrario al ministero Minghetti più che altro per avversione al ministro dell'Interno Peruzzi che aveva dichiarato l'impossibilità di governare Torino.
Nel 1864, nella discussione relativa, il C. si oppose alla proposta Mancini di abolizione della pena di morte. Poco dopo, in conseguenza del trasferimento della capitale a Firenze, durante i luttuosi fatti di Torino, il municipio lo incaricò di stendere la protesta votata a difesa dell'onore della città. Quando poi si dimise il Lanza, ministro dell'Interno, e l'interinato di Natoli rischiò di alienare al governo l'appoggio della Permanente, il presidente del Consiglio La Marmora con abile manovra lo chiamò ad occupare il posto vacante (14 dic. 1865-20 giugno 1866) perché piemontese, ma non troppo legato ai "permanenti" pur godendone le simpatie.
Come ministro dell'Interno nel secondo e terzo gabinetto La Marmora seguì con preoccupazione la presenza di Mazzini in Italia; quando poi questi fu eletto dal I collegio di Messina il 25 febbr. 1866, sostenne l'annullamento dell'elezione perché condannato a morte non amnistiato. Del C. si può ricordare anche il tentativo di abolire le sottoprefetture; il progetto, presentato in primo esame al Senato dove il C. pensava di trovare minore opposizione, fu approvato non senza contrasti il 3 marzo 1866, ma non giunse mai alla Camera e decadde con la chiusura della sessione.
Durante questi anni il C. si tenne nell'orbita di Q. Sella, insieme con il quale avversò l'ultimo ministero Menabrea in occasione dei contrasti cui diede luogo la regia dei tabacchi, e per designazione del quale fu invitato, nella crisi seguita alla caduta di Menabrea, a far parte del ministero che avrebbe dovuto presiedere E. Cialdini. Il C. però non ritenne le concezioni e i metodi propugnati da quello adeguati alla rigorosa politica finanziaria imposta dal bilancio, e rifiutò perciò l'offerta inducendo Sella a sciogliersi dall'impegno, facendo: così naufragare il tentativo di un ministero Cialdini. Successivamente, quando Sella ebbe l'incarico di ministro delle Finanze nel gabinetto Lanza, fu relatore della commissione che doveva esaminare il progetto di finanza presentato.
Dal dicembre 1870 al novembre 1871, nella prima sessione del Parlamento italiano a Roma, il C. fu vicepresidente della Camera. Fu tenace avversario di Depretis, e fu il solo fra i deputati della Destra che nel 1877 parlasse in appoggio alla legge per la repressione degli abusi commessi sotto il manto religioso, presentata dal ministero di Sinistra.
Quando nel 1882 entrò in vigore lo scrutinio di lista, decise di astenersi dalle elezioni, anche in avversione al trasformismo sempre più in ascesa. Tuttavia nelle successive elezioni del 1886, portato dalla città di Torino, il 23 maggio rientrò alla Camera, assenti Sella e Minghetti e declinando l'onnipotenza di Depretis, contro cui pronunciò un celebre discorso. I suoi interventi parlamentari riguardarono i disordini scoppiati a Roma nel 1888 in seguito alla crisi edilizia, ma soprattutto, a partire dal 1887, avversarono l'istituzione dell'ufficio della presidenza del Consiglio, temendo l'accentramento di Crispi, combattuto dal C. anche per avversione alla Triplice e alla politica economica in corso.
Il 27 ott. 1890 fu nominato senatore, e convalidato il 13 dicembre successivo.
Il C. morì a Torino il 29 giugno 1895.
Il C. ebbe ai suoi tempi discreta risonanza di letterato e commediografo. Furono più volte rappresentate con favore commedie come Una precauzione (un atto), Il terzo qual è (un atto in versi), In cerca d'una prima attrice (due atti), Poveri figlioli (un atto in versi), Zio Paolo (due atti). Queste produzioni furono dal C. raccolte a Torino nel 1876 coltitolo Ricreazioni di un filodrammatico. Scrisse anche due commedie a tesi, Uniformità della giurisprudinza e Crisi di un ministero. Ultimi scritti furono Il Re (Torino, 1881)saggio politico, e La battaglia della Cernaia ed Alfonso Lamarmora (ibid. 1889), discorso commemorativo.
Fonti e Bibl.: Atti Parlamentari,Camera dei deputati,Discussioni, legislature V-XVI (1857-1889), ad Indices, in partic., Sessione 1866, pp. 1531 ss.; Sessione 1887, pp. 313 ss.; Discorsi del Presidente del Consiglio,dei ministri commendatore Rattazzi e dei deputati Boggio,Chiaves,Bixio,Minghetti e Viora intorno ai fatti di Sarnico,di Napoli e di Brescia avvenuti nel mese di maggio pronunziati nelle sedute della Camera dei deputati nei giorni 3,4,5,e 6 giugno 1862, Torino 1862, pp. 67-68. Vedi ancora A. Calani, Il Parlam. del Regno d'Italia. Milano 1860, I, pp. 148 ss.; G. Torelli, Ricordi politici, a cura di C. Paoli, Milano 1873, pp. 84 s., 283 s., 326 s.; L. Carpi, Il Risorgimento ital., Milano 1888, IV, pp. 272-275; L. Brangi, I moribondi di Montecitorio, Torino 1889, pp. 410-415; A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, Salerno 1957, II, pp. 131-141; S. Cilibrizzi, Storia parlamentare,politica e diplomatica d'Italia da Novara a Vittorio Veneto, Roma 1923, I, pp. 439, 457 s., 462; II, Napoli 1939, pp. 347, 365, 368; E. Rotelli, La Presidenza del Consiglio dei ministri, Milano 1972, pp. 150 s., 153 s.; A. De Gubernatis, Piccolo diz. dei contemporanei italiani, Roma 1895, ad vocem; T.Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1898, pp. 276 ss.; A. Malatesta, Ministri,deputati e senatori d'Italia dal 1848 al 1922, Roma 1940, I, p. 248.