DESIDERIO da Firenze
Scultore e fonditore attivo a Padova e Venezia nella prima metà del sec. XVI. Non se ne conoscono la data di nascita e di morte e scarse sono le notizie certe a noi pervenute. L'origine fiorentina è indicata dall'appellativo.
Il Cicognara (1816, p. 328) lo dice giunto in Veneto al seguito di Jacopo Tatti detto il Sansovino e lo definisce, come il Selvatico (1847, p. 311), uno dei migliori allievi del maestro toscano. Qualunque sia comunque la circostanza dell'arrivo a Padova, D. fece parte della nutrita schiera di artisti toscani operosi in ambiente patavino già prima di Donatello e dopo di questo.
La ricostruzione certa della sua attività poggia su due sole opere documentate: l'Urna per votazioni in bronzo dorato, eseguita per il Consiglio comunale di Padova, attualmente conservata presso il Museo civico della stessa città (Museo Bottacin, n. 370), e il Coperchio per il fonte battesimale della cappella di S. Giovanni in S. Marco a Venezia, impresa alla quale D. partecipò con il plasticatore padovano Tiziano Minio.
L'Urna elettorale, "vaxo de bronzo sive capello par el Conselgio", risulta commissionata dal magistrato patavino a un non meglio specificato "Desiderio scultor et zetador" - unanimemente identificato dalla critica con D. - e da questo compiuta, tra il 7 marzo 1532 e l'8 febbr. 1533, per un compenso di L. 172 e soldi 12 (documento di pagamento contenuto in un Quaderno di spese per la fabbrica della loggia del Consiglio, conservato nell'archivio del Museo civico di Padova, edito per la prima volta dal Moschetti [1927, p. 148] e successivamente dal Planiscig [1930, p. 76]). L'Urna (alta cm 51), che conserva in più punti tracce dell'originaria doratura, consta di tre parti fuse separatamente, fra loro materialmente separabili: una base a tronco di piramide su zampe di leone nascenti da foglie d'acanto angolari, con lo stemma di Padova su ciascuna faccia, sorretto da due putti in piedi; una parte mediana emisferica con protomi leonine e satiresche, al di sotto, e superiormente a tronco di cono, decorato con tre delfini e tre putti alternati; infine, a coronamento, un vaso cipolliforme o cappello con tre grandi protomi di satiri dalle fluenti barbe, alternate allo stemma di Venezia entro ghirlande laureate.
Sulla base di quest'unica opera documentata e totalmente autografa, la critica novecentesca, a partire dal Bode (1906) fino al Mariacher (1971), in antitesi alle citate indicazioni sull'alunnato sansovinesco dello scultore, ha riconosciuto in D. un discepolo, il più stretto, di Andrea Briosco detto il Riccio e probabilmente un suo collaboratore nell'ultimo periodo di operosità del maestro.
A sostegno di tale presunta collaborazione il Planiscig (1930, p. 71) e il Moschetti (1938, p. 219) hanno addotto, oltre a motivazioni stilistiche, la circostanza a loro avviso altrimenti inspiegabile della committenza del prestigioso lavoro dell'urna, affidato, vivente ancora il Riccio, incontrastato maestro dell'arte fusoria a Padova, ad un artista fino ad allora sconosciuto. Sulla stessa linea si è collocato successivamente il Cessi (1965, p. 48), secondo il quale avrebbe ereditato la bottega del Briosco alla morte di questo, avvenuta l'8 luglio 1532.
Di diverso avviso risulta invece la critica più aggiornata (Radcliffe, 1983, p. 362; Carrington, 1984, pp. 105 ss.), orientata a riconoscere in D. una matrice culturale fiorentina, assimilata in data precedente al suo trasferimento in Veneto. In particolare il Carrington, cui si deve il più recente e diffuso contributo sull'artista toscano e sull'Urna elettorale patavina, liquida definitivamente come stilisticamente insostenibile la tesi della formazione riccesca di D., sostenendo invece, sulla base di puntuali riscontri di tecnica e di stile, l'effettiva provenienza toscana dello scultore e la sua prima formazione nell'ambito della cultura fiorentina tardoquattrocentesca del Verrocchio e del Pollaiolo, mediata attraverso l'operato dei discepoli G. F. Rustici e A. Leopardi. Stringenti affinità stilistiche e tecniche, oltre che di repertorio, legano le opere del Verrocchio e di D., accostabili per il vigore del rilievo, la vivacità espressiva dei soggetti umani e la particolare caratteristica del modellato, che risulta come "applicato" al piano di fondo (Carrington, 1984). Riletta in questa chiave, la produzione di D. palesa in effetti una convincente ascendenza toscana nella direzione indicata per l'alto contenuto formale e la raffinata e pregnante eleganza compositiva, piuttosto che tangenze con il vivo e particolare umanesimo riccesco.
La partecipazione di D. nell'impresa veneziana del "coperchio de bronzo sopra la pilla posta nella chiesa di S. Marco nella cappella di S. Zuanne" risulta da un documento del 18 apr. 1545, conservato nell'archivio della basilica marciana, più volte edito (Cicognara, 1816, p. 329; Pietrucci, 1858, pp. 193 s.; Planiscig, 1930, pp. 76 s.), in cui vengono riportati i termini del contratto stipulato, per l'importo di 200 ducati, tra i Procuratori di sopra e gli scultori Tiziano da Padova, detto Minio, e "Desiderio da Fiorenza" per la realizzazione dell'opera. Tuttavia il tenore del documento, che rivela una priorità del Minio nel lavoro, e lo stile delle formelle, raffiguranti Episodi della vita del Battista ed Evangelisti, che decorano il coperchio, vicino alle prime opere veneziane del Sansovino, inducono a ritenere che l'intervento di D. si sia qui limitato alla fusione del pezzo, mentre l'ideazione complessiva del bacino sia opera del più noto artista padovano, allievo certo del Tatti.
Nell'intervallo di tempo tra l'impresa padovana e i lavori per il battistero marciano, come pure dopo di questo, le fonti documentarie finora note non riportano notizie su D., lasciando tuttora aperto il problema della ricostruzione della sua attività. Risale al Planiscig, autore del primo specifico contributo storico-critico sullo scultore (1930, pp. 71 ss.), il tentativo di individuare, nel panorama vastissimo e problematico del piccolo bronzetto di età rinascimentale, i numeri di un possibile catalogo dell'artista toscano, sulla base di analogie iconografiche e stilistiche con l'Urna elettorale patavina.
I pezzi riferiti dallo studioso austriaco alla personalità di D. - una serie di campanelli, tutti decorati con putti reggistemma, nastri intrecciati, foglie d'acanto, e alcuni altri piccoli oggetti, quali un calamaio, una placchetta, un rinfrescatoio, ecc. - sono stati in gran parte espunti dalla critica successiva dal corpus dello scultore.
È il caso dei due campanelli del Museo civico di Brescia, attribuiti dal Cessi (1962, p. 230) alla bottega degli scultori trentini Grandi, del campanello della Frick Collection di New York già nella collezione Pierpont Morgan, assegnato dal Pope Hennessy (1970) a Gian Girolamo Grandi e dell'elsa di spada dell'Armeria reale di Torino, recentemente rivendicata dal Radcliffe (1982, pp. 415 s.) al Briosco.
Alla mostra londinese "Italian bronze statuettes" del 1961, curata da Pope Hennessy, riproposta nello stesso anno al Rijksmuseum di Amsterdam "Meesters van den het brons der Italiaanse Renaissance" e l'anno successivo a Firenze in palazzo Strozzi "Bronzetti italiani del Rinascimento", D. figura con cinque numeri, oltre alla nota Urna padovana, a lui riferiti dopo alterne vicende attributive; un Satiro stante del Victoria and Albert Museum di Londra; un Demone del Museo civico di Belluno; due Campanelli del Museo civico di Brescia, di cui quello con lo stemma con serpenti, già attribuitogli dal Planiscig; un Bruciaprofumi del Rijksmuseum di Amsterdam.
Nelle recensioni alla mostra fiorentina (Arte veneta, 1962, p. 230; Padova, 1962, pp. 39 ss.) e ancora nel 1965 (p. 39) ilCessi giudica ingiustificate le attribuzioni proposte in quella sede, che riuniscono sotto un solo nome opere spesso fra loro disparate e lamenta l'eccessiva generosità di giudizio dimostrata dalla critica nei confronti dell'artista toscano.
Priva di fondamento e inaccettabile viene infine giudicata dal Pope-Hennessy (1963, p. 18) e dal Cessi (1965, p. 59) la proposta attributiva del Moschetti (1927, pp. 146 ss.), che riferisce a D. le portelle del tabernacolo della Croce, già nella chiesa dei servi a Venezia e ora alla Ca' d'oro. Recentemente lo Jestaz (1983, p. 51), in un saggio sulla produzione erotica del Riccio, ha indicato in D. l'autore di un cospicuo numero di pezzi di tale soggetto, che costituirebbero un'imitazione intenzionale dei modi del Briosco, di cui riprenderebbero, volgarizzandoli, i modelli.
Fonti e Bibl.: L. Cicognara, Storia della scultura, Venezia 1816, II, pp. 328 s., n. 1; P. Selvatico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia, Venezia 1847, p. 311; F. Zanotto, Nuovissima guida di Venezia e delle isole della sua laguna, Venezia 1856, p. 82; N. Pietrucci, Biografia degli artisti padovani, Padova 1858, pp. 192 ss.; G. Milanesi, in G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori, VII, Firenze 1881, p. 515 n. 4; P. W. Bode, The Italian bronze statuettes of the Renaissance [1906], a cura di J. D. Draper, New York 1980, p. 24; L. Planiscig, Venezianische Bildhauer der Renaissance, Wien 1921, pp. 148, 305, 396, 400 ss., 551, ill. nn. 426, 427; Id., Die Bronzeplastiken (catal.), Wien 1924, p. 90, n. 157; Id., Andrea Riccio, Wien 1927, pp. 343, 350; A. Moschetti, Andrea Briosco, in Boll. del Museo civico di Padova, n. s., III (1927), pp. 148 s.; L. Planiscig, D. da F., Documente und Hypothesen, in Zeitschrift für bildende Kunst, LXIV (1930-31), pp. 71-78; Id., Piccoli bronzi ital. del Rinascimento, Milano 1930, pp. 20, 32, tav. XCVI; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, Milano 1937, X, 3, pp. 48 ss.; A. Moschetti, Il Museo civico di Padova, Padova 1938, pp. 219 s.; W. Arslan, Un'architettura di Tiziano Minio, in Proporzioni, III (1950), p. 184 n. 3; G. Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Roma 1956, p. 205; Meesters van het brons der Italiaanse Renaissance (catal.), Amsterdam 1961, nn. 71-76; Bronzetti ital. del Rinascimento (catal.), Firenze 1962, nn. 70-75; F. Cessi, Veneti alla mostra dei bronzetti ital. del Rinascimento in Firenze, in Arte veneta, XVI (1962), p. 230; Id., Mostra dei bronzetti ital. del Rinascimento, in Padova, VIII (1962), 4, p. 39; J. Pope-Hennessy, Italian bronze statuettes, in The Burlington Magazine, CV (1963), pp. 18, 21; F. Cessi, Andrea Briosco detto il Riccio Trento 1965, pp. 39, 48, 59; J. Pope-Hennessy-A. Radcliffe, The Frick Collection, New York 1970, p. 156; G. Mariacher, Bronzetti veneti del Rinascimento, Vicenza 1971, pp. 16, 34; A. Radcliffe, Ricciana, in The Burlington Magazine, CXXIV (1982), pp. 415-418; B. Jestaz, Un groupe de bronze érotique de Riccio, in Monuments et mémoires publiés par l'Académie des inscriptions et belles-lettres, XXV (1983), p. 51; A. Radcliffe, D. da F., in The genius of Venice 1500-1600 (catal.), London 1983, p. 362; J. Carrington, A new look at D. da F. and the Paduan Voting Urn, in Boll. del Museo civico di Padova, LXXIII (1984), pp. 105 ss.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, p. 31.