design strategico
design stratègico <diʃàin ...> locuz. sost. m. – Il d. s. solo da pochi anni si è definito come ambito disciplinare specifico della progettazione per l’industria e quindi del design, come attività strumentale al successo d’impresa, con un suo specifico apparato teorico e scientifico e con strutture formative dedicate. Ha inoltre definito strumenti operativi che consentono di dare un indirizzo coerente alle scelte e alle soluzioni che l’impresa intende attuare per definire la risposta ai bisogni di specifici contesti. «Sono quattro i grandi ambiti disciplinari intorno a cui ruota il d. s.: il design come sviluppo del sistema-prodotto; il management come sviluppo e gestione delle strategie; la ricerca tecnologica per utilizzare e tradurre gli input innovativi; la ricerca sociologica per comprendere le relazioni all’interno delle organizzazioni» (L. Di Lucchio). Dalla loro integrazione emergono gli strumenti per capire il contesto in cui operano le imprese, per promuovere e gestire l’innovazione del sistema-prodotto, per valorizzare le potenzialità del design nella definizione delle strategie d’impresa. L’aggettivo strategico rappresenta un rafforzativo della capacità gestionale già insita nel concetto di design, ma l’allargamento dell’applicazione della progettualità alle altre componenti immateriali del fare impresa, riconosciuto a livello scientifico, giustifica tale operazione lessicale. Il d. s. ha introdotto un approccio progettuale sistemico e non più parziale: «Il design strategico è il corpo disciplinare e operativo che ha come oggetto di progetto […] la pluralità» mediale dell’impresa (F. Zurlo), intendendo con pluralità mediale l’insieme dei media, e tra questi sono compresi il prodotto, l’edificio, il logo, il packaging, il servizio, ecc., utilizzati dall’impresa per comunicare i propri valori. La progettazione applicata alla pluralità è inoltre garanzia di difesa dal plagio: è più facile clonare un singolo prodotto, molto meno la progettazione del ‘sistema prodotto’. L’assunto di partenza è quello per cui, nell’impresa contemporanea, inserita in un mercato fortemente competitivo, a essere progettabile non è più solo il prodotto ma l’intera organizzazione che ruota intorno a esso e che crea valore e distinzione. Condizione sine qua non perché ciò avvenga è che all’interno dell’impresa ci sia una tensione collettiva orientata alla progettualità, guidata e stimolata da team di design, a forte carattere interdisciplinare. In un contesto fortemente competitivo come quello di questo inizio di secolo, connotato dalla forte crescita economica e industriale dei paesi dell’Estremo Oriente, Cina e India, alle imprese non è stato più sufficiente l’esclusivo apporto esterno di professionisti concentrati sulla progettazione del prodotto o della comunicazione, ma è risultato vincente l’apporto progettuale esteso all’intero sistema-prodotto. Il d. s. ha quindi l’obiettivo specifico di lavorare su visioni di sistema, che a loro volta hanno la possibilità di generare soluzioni inedite d’innovazione. Le capacità del designer strategico, infatti, negli ultimi anni sono state più che mai necessarie per consentire al management d’impresa di interpretare la complessità dei mercati e le esigenze sempre più sofisticate dei consumatori, consentendo di attuare ‘visioni’ più ardite e innovazioni di sistema più apprezzate. Per elaborare strategie d’innovazione il d. s. indaga tutti i principali fattori economici, tecnologici e culturali che implicano cambiamenti nella società e nell’agire dell’impresa, traendone stimoli per la produzione di idee socialmente ed economicamente sostenibili. Tra gli scenari d’azione perseguiti dal d. s., e attuati in alcune realtà imprenditoriali emblematiche, si citano: il design dell’informazione (IKEA, Benetton o Natuzzi); il design della complessità (Philips, Abet Laminati ed Elica) e il design dell’identità (Alessi, Illy Caffè e Camper).