desio (disio; desire; desiro; disire; disiro)
Esprime, come ‛ desiderio ' da cui di solito si differenzia per una certa maggiore intensità affettiva o patetica, il moto appetitivo generato dall'amore, e proviene, come ‛ desire ' e ‛ disianza ', dalla tradizione siciliana e siculo-toscana; ricorre quasi soltanto in poesia, ed è fra le parole raccomandate nel De vulg. Eloq. (II VII 5) come proprie del volgare illustre.
In quanto manifestazione dell'amore, a sua volta provocato dal piacere (Pg XVIII 19-27), d. diventa sinonimo di " amore ", ora collegandosi esplicitamente al piacere che lo desta, come in Rime XCI 40 sì tosto come il gran disio ch'io sento / fu nato per vertù del piacimento / che nel bel viso d'ogni bel s'accoglie, e LXVII 77; ora rivelandosi nel proprio effetto, cioè nell'impulso dato alla volontà perché si attui l'unimento dell'anima e della cosa amata (Cv III II 3), come in If V 113 quanti dolci pensier, quanto disio / menò costoro al doloroso passo! (il processo naturale piacere-amore-desiderio-volontà entra nella sfera del libero arbitrio e quindi della responsabilità morale per l'intervento della ragione). Parimenti d. esprime l'amore, in Pd III 126 La vista mia... / volsesi al segno di maggior disio (" una delle brevi ed intense espressioni d'amore disseminate lungo il Paradiso, una delle più indefinite ", Momigliano), XIV 132, Rime XL 5, LVIII 12, LXV 13, XC 20, CI 4, CXVI 23, Rime dubbie VIII 3, X 8, Cv III X 1 per infertade de l'anima, che di troppo disio era passionata, unica attestazione in prosa; in Rime L 4 'l disio amoroso, che mi tira / ver lo dolce paese c'ho lasciato, l'elemento affettivo si esplicita nell'attributo, e il moto appetitivo è propriamente moto di ritorno verso il bene lontano, ovvero di nostalgia, com'è evidente anche in Pg VIII 1 Era già l'ora che volge il disio / ai navicanti, dove lo stato nostalgico, per la felice indeterminatezza sintattica e per la stessa disponibilità di significazione del d., si esprime in una forma più musicale che logica (cfr. Pagliaro, Ulisse 696-697): secondo tale accezione, il Lana qui spiega " driça ai naviganti e ai viandanti il dixio a pensare delli amici, parenti e benvoglienti c'hanno lassadi ", mentre l'interpretazione del Buti (" la mattina in sul navilio desiderano d'andare oltre... ma quando viene la sera... si muta lo desiderio ") esclude ogni suggestione sentimentale. In Rime XCI 50 un gentil disio, ch'è nato / del gran disio ch'io porto, l'accezione d.-amore è collegata, con una ricercata replicazione, all'altra, del v. 49, di d.-carità o disposizione al bene (secondo lo schema stilnovistico dei benefici morali dell'amore), che si ripete al v. 58. In If V 82 Quali colombe dal disio chiamate / ... dal voler portate, e Pg XIX 66, il rapporto desiderio-volontà si esprime nell'ambito dell'istinto animale, sebbene giustamente il Parodi osservi che " le colombe di Virgilio [Aen. VI 190 e V 213 ss.] non sono che graziose colombe, e queste di Dante paiono animate da una volontà quasi umana " (ma il Gelli le ritiene scelte per la loro lussuria). Cfr. Pagliaro, Ulisse 134.
Con valore assoluto, significa il desiderare come potenza: così in Pd XXIV 132 Dio / ...che tutto il ciel move, / non moto, con amore e con disio, e Rime dubbie XXII 7. In Pd XXXIII 143 ma già volgeva il mio disio e 'l velle / ... l'amor che move il sole e l'altre stelle, l'accezione di d. è propriamente legata alle varie interpretazioni dei quattro versi finali: queste, rispetto ad essa, si possono ridurre a due gruppi, a seconda che intendano il passo come strettamente legato al rivelarsi del mistero divino, oppure come epilogo generale, significante cioè lo stato raggiunto dal pellegrino alla fine dell'esperienza ultraterrena conclusasi con la visione di Dio. Nel primo caso, la raggiunta beatitudine suggerisce un desiderare in atto, che si determina nell'oggetto: ad es. il Sapegno e il Chimenz riferiscono d. all'intelletto " che naturalmente desidera conoscere la Causa prima "; il Nardi vede nella beatitudine " la quiete del desiderio appagato " ovvero " la perfetta concordia del volere umano e del volere divino "; per il " desiderio di conoscere " sono anche il Del Lungo e il Casella. Nel secondo caso, il desiderio è inteso, come sembra più opportuno, in senso assoluto, come facoltà spirituale che insieme alla volontà - si ricordi la frattura tra ‛ voglia ' e ‛ talento ', di Pg XXI 64-66 - si ricolloca armoniosamente, per la " perfezione della virtù " raggiunta in Paradiso (Cesari), nel dominio dell'Amore che regge l'universo; a questa interpretazione aderiscono, in linea generale, i commenti di Pietrobono, Grabher, Porena, Momigliano.
Significa il desiderare in atto, in senso assoluto, in If III 126 sì che la tema si volve in disio (cfr. Aen. VI 313-314), IV 42, Pg IV 29, XIII 87, XXXIII 61, Pd IV 129, VII 54, XIX 15, XX 77 l'etterno piacere, al cui disio / ciascuna cosa qual ell'è diventa (qui l'incertezza dell'interpretazione della terzina 76-78 tocca anche d.: se cui, come i più ritengono, ha valore soggettivo, d. vale " volontà " di Dio etterno piacere; se ha valore oggettivo, d. è " desiderio-amore " per Dio o la giustizia o la felicità), XXII 26, XXVIII 130, XXXIII 46. È individuato nel rapporto con un oggetto sottinteso, come in If X 18 al disio ancor che tu mi taci, XXVI 69, Pg III 41,V 85, XI 39, XIX 87 ciò che chiedea la vista del disio (a fianco all'interpretazione più comune, " l'espressione muta del desiderio ", il Chimenz avanza l'ipotesi che la specificazione sia oggettiva, " il suo vedere il mio desiderio "), XXI 38, pd IV 17 e 117, VII 121, IX 18 e 79, XV 68, XVII 8, XXI 48 e 51, XXII 61, XXIX 48; o con l'oggetto espresso, come in If VI 83 ché gran disio mi stringe di savere, IX 107, XIV 93, Pg V 57, XI 86, Pd I 83 di lor cagion m'accesero un disio (con ellissi del verbo ‛ conoscere '), II 40, XIV 63, XXVI 90, XXX 70, Vn XX 5 11, XXXI 13 47, Rime LII 8, LX 14, XC 55, XCVI 3, Rime dubbie XXII 5; l'oggetto è espresso con il possessivo, in Pg XXXI 54 qual cosa mortale / dovea poi trarre te nel suo disio?; altre costruzioni particolari, in Pd V 113 m'era in disio d'udir lor condizioni, e in Rime dubbie I 5 questi tre più non v'hanno disio. Significa infine l'oggetto del desiderare, in Rime LXXXV 14 un che si dole, / dicendo: ov'è 'l disio de li occhi miei?, If VIII 57, Pg XXIV 111.
La forma del diminutivo ‛ desiuzzo ' è prodotta dall'obbligo della rima -uzzo o dominante nell'intero sonetto di Rime dubbie VI: onde di' che deriva il desiuzzo / il qual ti fa portare il cappucciuzzo (v. 2), risposta burlesca alla canzone di Sennuccio del Bene Amor, tu sai ch'io son col capo cano.
La forma ‛ desire ' (v. provenzale dezire), con le varianti ‛ desiro ', ‛ disiro ', è attestata solo in poesia (l'unica presenza in prosa, in Vn XXXVIII 3 questo è uno spiramento d'Amore, che ne reca li disiri d'Amore dinanzi, è in esplicito rapporto con l'amore, e deriva dalla lirica dello stesso capitolo: cfr. 10 11 uno spiritel novo d'amore, / che reca innanzi me li suoi desiri). Delle sue trentaquattro presenze in poesia ventotto sono in rima. In Pg XVIII 31 così l'animo preso entra in disire, / ch'è moto spiritale, significa il desiderio o moto appetitivo dell'animo che costituisce l'ultimo stadio naturale o necessario del processo amoroso. Esprime il desiderare come potenza, in Pg XXIV 153 l'amor del gusto / nel petto lor troppo disir non fuma, o s'identifica con l'animo che desidera, come in XXVI 137 e dissi ch'al suo nome il mio disire / apparecchiava grazïoso loco. Il desiderare in atto, con valore assoluto, si esprime con il plurale, come in Pg XV 49 Perché s'appuntano i vostri disiri / dove per compagnia parte si scema; XXV 106, Pd III 74, VI 115, Vn XXXIII 7 17 (nell'unica attestazione al singolare, in Pd XVIII 15 lo mio affetto / libero fu da ogne altro disire, la pluralità scaturisce dai due aggettivi indefiniti); plurale che s'incontra anche a significare il desiderio amoroso, come in If V 120 che conosceste i dubbiosi disiri, e Rime LXXX 27, accezione, quest'ultima, cui talvolta si aggiungono, secondo il gusto stilnovistico, elementi figurativi (Cv III Amor che ne la mente 35 che li occhi di color dov'ella luce / ne mandan messi al cor pien di desiri, / che prendon aire e diventan sospiri [ripreso in XIII 11], Pg XXXI 118, Rime dubbie II 7), o il possessivo che determina l'oggetto, come in Pg XXXI 22 Ond'ella a me: " Per entro i mie' disiri, / che ti menavano ad amar lo bene... "; il singolare significante il desiderio amoroso ricorre in Rime LVI 15 Ma per crescer disire / mia donna verrà / coronata da Amore, LXVII 52 e CVI 6.
Significa un desiderio determinato, nel rapporto con un oggetto sottinteso, in If X 6 parlami, e sodisfammi a' miei disiri; Pd IV 10, XXVII 103, XXVIII 52, XXXI 65, Fiore III 14, LXVII 7; o con un oggetto specificato, come in Vn XXXI 10 24 sì che dolce disire / lo giunse di chiamar tanta salute, Pd VIII 30, Detto 22, Rime dubbie XVI 26; in Vn XXXIX 9 5 E fatti son che paion due disiri / di lagrimare e di mostrar dolore, adempie una singolare funzione predicativa; in Pg XXII 4 e quei c'hanno a giustizia lor disiro, e Pd XVIII 133, la costruzione ‛ aver d. a ' (cfr. Pg XXIX 33) fa sì che l'oggetto costituisca la direzione verso cui procede il moto appetitivo. In Pd I 7 perché appressando sé al suo disire, / nostro intelletto si profonda, e XXIII 105, d. significa l'oggetto stesso del desiderare, che nel primo luogo è Dio, fine estremo di ogni umano desiderio, e nel secondo è Cristo, oggetto del desiderio degli angeli oltre che degli uomini. V. DESIDERIO.
Bibl. - E.G. Parodi, Il canto V del Paradiso, in Lect. Genovese 173-218 (poi in Poesia e storia nella D.C., Napoli 1920); G.B. Gelli, Commento edito e inedito sopra la D.C., Firenze 1887, I 346; S.A. Chimenz, Il canto XXXIII del Paradiso, Roma 1951, 25-26 e 32; B. Nardi, Nel mondo di D., ibid. 1944, 349; M. Casella, Il canto XXXIII del Paradiso, Firenze 1925, 29 (rist. in Lett. dant. 2029); A. Cesari, Bellezze della D.C., Napoli 1866, 583.