DETERGENTI
(App. II, I, p. 774; III, I, p. 477; IV, I, p. 587)
Per la protezione delle acque superficiali e sotterranee dagli effetti dei d. sono state emanate diverse leggi che hanno imposto l'uso di tensioattivi con biodegradabilità, in un primo tempo almeno dell'80% (l. n. 125 del 26 aprile 1971), poi del 90% per ciascuna delle categorie di tensioattivi impiegati: anionici, cationici, non ionici, anfolitici (l. n. 136 del 26 aprile 1983). In seguito, ritenendo che i composti del fosforo presenti nei d. in commercio fossero, almeno in parte, responsabili dei fenomeni di eutrofizzazione delle acque, sono state emanate altre leggi (n. 667 del 25 novembre 1985; n. 7 del 24 gennaio 1986; n. 202 del 9 giugno 1988) che hanno ridotto il contenuto di fosfati al valore (espresso come fosforo) del 4,5%, poi al 2%, quindi all'1%, fino a che, più recentemente (D.M. 413 del 13 settembre 1988) ne è stato impedito completamente l'uso dal 1° gennaio 1989 (cfr. anche d.P.R. del 5 aprile 1989 e circolare ministero della Sanità n. 34 del 12 dicembre 1989, riguardante regolamento di esecuzione e istruzioni tecniche per l'applicazione della l. n. 136 del 26 aprile 1983).
Inoltre va ricordato che, a seguito dell'aumentato costo dei prodotti petroliferi, le industrie produttrici di d. sono state indotte a cercare una riduzione dei consumi energetici (sia nella fase di preparazione dei prodotti che in quella del loro impiego nelle lavatrici), e così pure che altre innovazioni si sono rese necessarie per effetto della variazione intervenuta, specie negli ultimi anni, nella natura delle fibre impiegate nella preparazione dei tessuti, nei quali la percentuale di fibre sintetiche è andata crescendo notevolmente rispetto a quelle cellulosiche (v. fibre tessili, in questa Appendice): per i tessuti in fibre sintetiche, infatti, risultano più adatti i tensioattivi non ionici anziché gli anionici, i più usati specie in passato. L'impiego dei d. non ionici è stato altresì favorito dalle suddette disposizioni di legge che hanno vietato l'uso di fosfati il cui compito era, fra l'altro, quello di ridurre drasticamente la durezza delle acque usate per il lavaggio, durezza che impedisce ai tensioattivi anionici di esplicare la propria azione, e che viceversa non altera l'azione di quelli non ionici.
Quest'insieme di fattori ha inciso notevolmente sulla composizione dei d. in commercio, sulla tecnologia di preparazione, sulla forma commerciale e sulle modalità del loro impiego. Per poter rispondere alle diverse esigenze, richieste dalla legislazione, dal mercato e dai consumatori, i d. in commercio risultano quindi costituiti da più componenti (tensioattivi, additivi, ecc.), chiamati a risolvere i vari problemi.
Tensioattivi. − Rappresentano i componenti più importanti dal punto di vista delle proprietà detergenti dei vari formulati.
Tensioattivi anionici. − I tensioattivi anionici sono ancora oggi quelli più usati nella maggior parte dei prodotti in commercio. In passato il composto prevalentemente impiegato era il dodecilbenzene solfonato, nel quale la catena dodecilica unita all'anello benzenico ha struttura ramificata, ciò che conferiva al prodotto una scarsa biodegradabilità. A seguito delle limitazioni imposte dalle norme, i produttori hanno sostituito la catena ramificata con altra a struttura lineare, ottenendo un prodotto a più rapida biodegradabilità. Nel frattempo l'emanazione di ulteriori norme ha portato alla necessità di sostituire i tensioattivi anionici, almeno in parte, con altri di diverso tipo, ma sempre rapidamente biodegradabili. Ne sono stati studiati diversi tipi allo scopo di utilizzare materie prime meno costose, di più facile reperibilità e approvvigionamento, realizzando caratteristiche meglio rispondenti alle esigenze dell'impiego.
Gli alchilbenzensolfonati lineari rimangono i più usati; gli altri, di solito di maggiore costo, trovano impiego specie per integrarne o modificarne le caratteristiche. Poiché la varietà di composizione dei tessuti da lavare e la diversità delle condizioni di lavaggio richiedono nei prodotti la presenza di diverse caratteristiche e di un largo spettro d'azione, difficili da raggiungere con un solo prodotto, si è soliti ricorrere a miscele di più componenti che si integrino vicendevolmente. Occorre anche tenere conto della tendenza alla riduzione delle temperature di lavaggio che agisce sfavorevolmente sulle proprietà detergenti dei tensioattivi.
Alchilbenzeni solfonati lineari (LAS) R− C6H4−SO3Na: danno origine a elevate quantità di schiuma, esplicano una marcata azione detergente, entrano nella maggior parte dei d. in commercio (in polvere e liquidi) per lavaggio a temperature diverse, vengono spesso addizionati ad alcoli etossilati solfatati che, seppure di maggior costo, presentano alcune caratteristiche vantaggiose (tolleranza alle acque dure, minore formazione di schiuma, elevato potere detergente, ecc.).
α−olefine solfonate (AOS): solo le olefine che possiedono il gruppo idrofilo all'estremità della catena, cioè quelle alfa R−CH2 CH=CH (CH2) SO3Na, sono dotate di buone caratteristiche detergenti, sono poco sensibili alle acque dure, formano schiuma abbondante (tanto da richiedere, nelle lavatrici a tamburo, l'aggiunta di antischiuma), presentano buona solubilità (vantaggiosa nella preparazione di prodotti liquidi).
Paraffine secondarie solfonate: di formula generale , si ottengono solfonando catene paraffiniche lineari con 14÷18 atomi di carbonio; hanno proprietà abbastanza simili a quelle dei LAS e delle AOS, scarsa tendenza all'idrolisi, buona solubilità, sono di difficile impiego nei prodotti in polvere per la loro igroscopicità, che favorisce l'agglomerazione e l'indurimento dei prodotti.
Solfati di alcoli lineari (R−CH2−O−SO3Na): si preparano per solfatazione degli alcoli con acido clorosolfonico o con anidride solforica; formano schiume abbondanti, sono molto sensibili alle acque dure (vanno quindi bene se impiegati in presenza di fosfati); si usa specialmente il derivato dell'alcool laurilico, per prodotti particolari (shampoo, cosmetici, ecc.).
Fra i tensioattivi anionici sono ancora da ricordare i solfati degli etossialcolici (cioè degli alcoli etossilati) aventi il gruppo funzionale (alcolico) eterificato con 3÷4 moli di ossido di etilene: sono composti a struttura lineare, di formula generale C14H29O(CH2CH2O)3÷4SO3Na. Sono biodegradabili, meno sensibili alle acque dure, formano una schiuma abbondante, sono dotati di buone caratteristiche detergenti e si possono usare da soli o in miscela con clorobenzensolfonati lineari, specie in prodotti per lavastoviglie, ma anche per lavatrici. È stato introdotto anche il derivato solfonato dell'idrossietano etossilato con ossido di etilene.
Recentemente in molti d. per lavatrici viene introdotto, come tensioattivo anionico, il normale sapone sotto forma di scaglie; in alcuni prodotti, in Europa, questa aggiunta raggiunge anche il 10÷15% con il vantaggio di usare un prodotto biodegradabile, impiegando una materia prima vegetale anziché derivata dal petrolio.
Oltre ai tensioattivi anionici sopra ricordati ne vanno citati altri, ancora non diffusi, ma che possono acquistare importanza perché derivati da prodotti vegetali; essi rivestono importanza per la crescente disponibilità di oli vegetali; allo stato attuale il loro costo è più alto di quello dei tensioattivi di origine petrolifera, ma la situazione può cambiare in un prossimo futuro. Fra questi, particolarmente importanti sono i metilesteri solfonati, di formula generale , ottenuti partendo da oli di cocco e di palma, quindi con R uguale a C14−C16 (l'aumento della lunghezza della catena R favorisce le proprietà detergenti del prodotto, ma ne fa diminuire la solubilità in acqua, specie fredda). I composti di questo gruppo presentano bassa sensibilità alle acque dure, disperdono facilmente i precipitati di saponi di calcio, non hanno caratteristiche irritanti. Si preparano solfonando gli esteri metilici degli acidi grassi con SO3 a 79÷90 °C; poiché il prodotto risulta di solito colorato, richiede un trattamento decolorante con ipocloriti ed eventualmente con acqua ossigenata. I metilesteri degli oli vegetali sono già prodotti industrialmente per ottenere saponi dagli oli vegetali, evitandone la idrolisi alcalina, ciò che consente di ottenere prodotti più puri, meno colorati, e di facilitare il recupero della glicerina. I metilesteri dell'acido laurico si usano anche per preparare (per condensazione con alcanolammine) alcanolammidi, tensioattivi usati nelle formulazioni di shampoo e di d. liquidi.
Tensioattivi non ionici. - Si tratta di tensioattivi che in acqua non si dissociano dando anioni e cationi (come fanno gli anionici o i cationici); sono caratterizzati da alcune importanti proprietà: solubilità elevata, possibilità di regolare a piacere il rapporto fra parte idrofoba e idrofila (accrescendo per quest'ultima il numero di molecole di ossido d'etilene, ciò che porta a un aumento della solubilità in acqua). I tensioattivi non ionici più usati sono costituiti da alcoli etossilati, cioè da alcoli lineari a 16÷18 atomi di carbonio contenenti 7÷10 moli di ossido d'etilene R-CH2−O−(CH2CH2O)n−H; sono dotati di buona detergenza, tollerano bene le acque dure (si possono usare in formulazioni a basso contenuto di fosfati o che ne sono addirittura prive), presentano basse proprietà schiumogene (e sono quindi adatti per formulati a schiuma controllata o frenata). Per la loro elevata solubilità si prestano per formulati liquidi, sia per la casa che per l'industria. Stanno soppiantando gli alchilfenoli etossilati.
Quando la catena dell'ossido di etilene (o di propilene) polimero viene innestata anziché su un alcool su un alchilfenolo, si hanno gli alchilfenoli etossilati che sono caratterizzati da un elevato potere detergente specie nei riguardi di oli e grassi, risultando quindi utili per detergenti industriali. Usati largamente alcuni anni fa, oggi, come già detto, tendono a essere soppiantati dagli alcoli etossilati dati i pareri controversi intorno alle loro proprietà di biodegradabilità e di tossicità.
Un tensioattivo non ionico caratterizzato da un'elevata biodegradabilità e da assenza di tossicità è costituito da alchilpoliglicoside, di formula generale H−(C6H10O5)nOCH2−R, ottenuto dalla condensazione di alcoli e di glucosio; entrambi questi componenti sono derivabili da vegetali (oli e amido). Prodotti di questo tipo erano già stati preparati in passato, ma sono stati nuovamente presi in considerazione in questi ultimi anni; negli USA è previsto un primo impianto commerciale a breve scadenza. Questi tensioattivi sono compatibili con quelli anionici e con gli altri non ionici.
Tensioattivi cationici. − Si usano quando si vogliono conferire ai d. proprietà particolari (ammorbidenti, antistatiche, germicide, ecc.). Sono costituiti da ammine, da ammidi, da sali di ammonio quaternario la cui formula generale è:-
Produzione e consumo. − La produzione mondiale di tensioattivi è di circa 7 milioni di t/anno, dei quali il 70% è rappresentato dagli anionici, il 25% dai non ionici e il 5% dai cationici; l'industria dei d. ne consuma circa il 55%, mentre il rimanente è destinato ad altre applicazioni (industriali, ecc.), compreso il 6% circa destinato all'industria dei cosmetici. I paesi economicamente più sviluppati ne consumano da soli circa il 60% (28% l'Europa occidentale, il 27% gli USA, il 7% il Giappone).
Dei tensioattivi anionici il 43% è rappresentato dal dodecilbenzene solfonato lineare (quello ramificato rappresenta il 9% circa ed è consumato nei paesi nei quali ancora non vige il divieto); i rimanenti anionici sono costituiti dai solfati degli alcoli etossilati (circa 12%), dai solfati degli alcoli (circa il 3%).
Fra i tensioattivi non ionici quelli maggiormente impiegati sono gli alcoli etossilati (circa 45% del totale) e gli alchilfenoli etossilati (circa 35%); questi ultimi sono stati largamente usati in passato per le loro buone caratteristiche di detergenza e per il basso costo; le caratteristiche di scarsa biodegradabilità e di tossicità li rendono tuttavia scarsamente accettabili salvo che in misura limitata; trovano ancora impiego in paesi ove la legislazione lo consente e per alcune applicazioni industriali.
I tensioattivi cationici più usati sono i derivati dell'ammonio quaternario ai quali si sono aggiunti più recentemente i derivati delle imidazoline.
Additivi. − Dopo i tensioattivi, il componente più importante dei d. è rappresentato da un ''additivo'', di solito aggiunto in percentuale elevata (dal 25 al 50% circa), indicato dagli anglosassoni col termine builder (promotore della detergenza); per diverso tempo questo componente è stato ovunque costituito dal tripolifosfato sodico (TPF), oggi non più consentito in molti paesi.
Il composto esplica diverse funzioni: riduce la durezza delle acque impiegate (agendo da sequestrante degli ioni calcio e magnesio, evitando la formazione di precipitati capaci di depositarsi sui tessuti); fa aumentare il valore del pH, porta cioè l'alcalinità delle acque a valori favorevoli per il lavaggio e agisce da tampone, cioè attenua le brusche variazioni del pH; favorisce la dispersione delle particelle di sporco asportate dai tessuti e ne evita la rideposizione; contribuendo all'asportazione dello sporco dai tessuti riduce la quantità di tensioattivo necessario per il lavaggio.
La sostituzione del TPF imposta dalle recenti leggi presenta difficoltà: finora non è stato trovato nessun composto capace di esplicare le stesse funzioni in maniera soddisfacente e con un costo contenuto. I vari composti studiati sono in grado di corrispondere singolarmente solo ad alcuni dei requisiti richiesti. Ne diamo qui di seguito un elenco.
Carbonato sodico: di costo minore dei fosfati, è un buon precipitante degli ioni calcio e magnesio, ma dà luogo a precipitati di carbonati che, anziché rimanere in sospensione, tendono a depositarsi sui tessuti conferendo loro colore grigiastro e ruvidezza al tasto.
Silicato sodico: è in grado di ridurre le corrosioni nelle lavatrici, agisce favorevolmente nella fase di preparazione dei d. (formazione dei granuli e loro essiccazione), ma non è un buon precipitante degli ioni calcio e magnesio e neppure favorisce la dispersione dei precipitati; migliori risultati si possono ottenere usando miscele dei due composti (carbonato e silicato sodico).
Citrato sodico: esplica azione sequestrante meno efficace del TPF (l'azione diminuisce al crescere della temperatura), costa circa il doppio del TPF; si tende a usarlo nei prodotti liquidi per la sua facile solubilità in acqua.
NTA (acido nitrilacetico): ha proprietà complessanti anche migliori del TPF; non altrettanto può dirsi quanto all'azione tampone sul pH, alla capacità di disperdere i precipitati o di coadiuvare la detergenza, ma soprattutto esistono timori per la sua tossicità (anche se i pareri sono discordi).
La Germania Federale, per prima in Europa, ha posto un limite all'impiego fissando un tetto massimo annuo di 25.000 t (corrispondente all'incirca a un'aggiunta, media, dell'ordine del 3,5% nei formulati) e ciò al fine di assicurare che nelle acque di scarico il tenore del composto non superi la concentrazione di 0,2 mg/litro.
In Italia il D.M. del 15 febbraio 1986 ha ammesso l'uso del sale di sodio dell'acido nitrilacetico nella quantità massima di 2000 t/anno (equivalente all'incirca a una percentuale in peso massima del 3% per ciascun formulato); questa concessione è stata poi abrogata a partire dal 1° gennaio 1989 (D.M. 413 del 13 settembre 1988).
Zeoliti (v. in questa Appendice): si tratta non di sequestranti di ioni ma di scambiatori di ioni, capaci di asportare non solo quelli di calcio e magnesio, ma anche quelli metallici (ferro, ecc.) che, se presenti, creano problemi nel lavaggio; la capacità di scambio delle zeoliti è legata a diversi fattori in quanto dipende dalla struttura e diminuisce col crescere della temperatura; hanno lo svantaggio di essere solidi insolubili in acqua, ciò che ne impedisce l'utilizzazione nei prodotti liquidi. Le zeoliti costituiscono l'additivo più usato da quando è stato impedito l'uso del TPF. Ne vengono preparati diversi tipi che differiscono nella struttura e nelle caratteristiche.
Sbiancanti, ammorbidenti e altri additivi. − I d. in commercio contengono altri additivi, per lo più in piccola percentuale, con funzioni particolari, che saranno qui di seguito esaminate.
Sbiancanti: si tratta di prodotti contenenti cloro (soluzioni di ipocloriti) il cui impiego, però, richiede un trattamento separato da quello di lavaggio, a temperature relativamente basse; hanno un odore sgradevole che può rimanere in maniera sensibile nei tessuti dopo il lavaggio. L'aggiunta di ipocloriti solidi è stata scartata per l'elevato costo.
Negli USA, in cui per lungo tempo, e ancora oggi in parte, si usano sbiancanti, la tendenza è verso prodotti che possono essere direttamente inglobati nel d. evitando così il ricorso a un trattamento separato. In Europa, dove le lavatrici operano a temperatura più alta che negli USA, il composto più usato è il perborato sodico, che in acqua si idrolizza liberando acqua ossigenata, che è il vero agente ossidante e decolorante. L'efficacia del composto diminuisce con l'abbassarsi della temperatura: a 95 °C il perborato esplica rapidamente il 90% circa della propria attività, ma a 55 °C tale percentuale si riduce del 60%. Si può rimediare aggiungendo degli attivatori, i più usati dei quali sono pentacetilglucosio, tetracetilendiammina e tetracetilglicolurile; questi composti reagiscono con lo ione idroperossido liberato dal perborato fornendo ioni dell'acido peracetico attivi anche a bassa temperatura. Recentemente si è studiata la possibilità di usare percarbonato di sodio (2Na2CO3· H2O2) che presenta una buona solubilità anche a temperature basse; in alcuni formulati cominciano a essere impiegati perossidi organici che esplicano una buona azione sbiancante, anche a temperatura ambiente. Fra questi i più interessanti appaiono il sale di magnesio dell'acido monoperossiftalico e il sale di sodio dell'acido diperossidodecandioico.
Agli sbiancanti di questo tipo (che agiscono liberando ossigeno nascente, attivo) si aggiungono nei formulati i cosiddetti sbiancanti ottici (v. App. III, i, p. 478), sostanze capaci di assorbire le radiazioni UV dando fluorescenza blu che maschera la colorazione giallastra ancora presente nei tessuti e conferisce loro un aspetto perfettamente bianco. I composti più usati sono quelli costituiti da amminostilbeni solfonati; per formulati particolari sono stati studiati prodotti ad azione specifica, così nel caso di sbiancanti contenenti cloro sono stati introdotti prodotti feniltriazolici per tessuti sintetici (nailon, poliestere, ecc.), composti derivati dalle pirazoline, dal chinolone, ecc.
Enzimi: usati, specie in Europa, per diversi anni, il loro consumo è poi diminuito sia per l'elevato costo, sia per alcuni inconvenienti connessi alle irritazioni causate agli addetti alla produzione dalle polveri sviluppate, specie durante le operazioni di miscelazione, o ai consumatori dal diretto contatto coi formulati. L'impiego è stato limitato anche per l'incompatibilità con altri componenti dei formulati (per es. sbiancanti contenenti cloro). Inizialmente sono stati usati enzimi amilolitici e proteolitici; recentemente, l'introduzione di enzimi è ripresa a seguito dell'adozione di sistemi di più facile incorporazione nelle polveri e anche della possibilità di disporre di enzimi in grado di agire a temperature e pH diversi, più compatibili con le varie formulazioni e di costo contenuto; è ora in commercio un enzima ad azione lipolitica, capace di agire sulle macchie di grasso, anche a 60 °C.
Agenti antideposito: si aggiungono ai d. per evitare che le particelle di sporco asportate dai tessuti, o i vari precipitati che si formano, tendano a depositarsi sulle fibre dei tessuti. Consistono in aggiunte di carbossimetilcellulosa (adatta specie per tessuti di cotone) o di vari eteri non ionici della cellulosa (adatti per fibre sintetiche), o anche di polimeri dell'acido acrilico.
Ammorbidenti: dopo il lavaggio i tessuti possono presentare al tatto una certa ruvidezza dovuta a precipitati depositatisi fra le fibre dei tessuti, o allo stress meccanico provocato dal movimento delle lavatrici, specie in quelle ''a tamburo''. Per ridurre l'inconveniente e conferire effetto di morbido ai tessuti, si aggiungono nella fase finale del lavaggio prodotti a base di tensioattivi cationici del tipo dei sali d'ammonio quaternari (cloruro di dialchildimetilammonio), composti imidazolinici, polimeri cationici, ecc. La maggior parte degli ammorbidenti in uso effettua anche l'eliminazione dell'elettricità statica dai tessuti lavati.
Anziché effettuare un'operazione di ammorbidimento nella fase finale del lavaggio si può anche incorporare l'ammorbidente nei formulati. L'uso di ammorbidenti, poco praticato in USA o in Giappone, è assai esteso in Europa; ciò dipende da diverse cause (uso di acque più dure, lavatrici a tamburo munite di dispenser separato da quello del detergente, ecc.). In Germania Federale il consumo di ammorbidenti è dell'ordine dei 6÷7 kg/pro capite.
Per ridurre il consumo di energia i produttori hanno adottato diversi provvedimenti, fra i quali la messa in commercio di d. definiti concentrati o superconcentrati, caratterizzati dall'avere una percentuale più alta dei componenti attivi, ottenuta in gran parte eliminando i componenti che influiscono meno sulle proprietà detergenti (per es. solfato, carbonato, silicato di sodio, ecc.). L'eliminazione di questi componenti facilita e rende più economica la produzione delle polveri, specie la miscelazione di alcuni componenti che richiedono il ricorso a una miscelazione a umido alla quale deve far seguito un'essiccazione.
Il minor peso e volume di questi prodotti comporta da parte di produttori un risparmio del 30-40% del peso negli imballaggi (cartone, carta, ecc.) e da parte dei consumatori l'eliminazione di minori quantitativi di acque di scarico.
Sempre indirizzata alla riduzione dei costi di produzione e dei consumi energetici è l'adozione di d. liquidi (soluzioni) che facilitano la preparazione dei formulati (eliminando la macinazione, granulazione, essiccazione dei componenti). Le resistenze iniziali dei consumatori sono state superate attraverso massicce azioni di propaganda, tanto che negli USA il consumo di d. liquidi per uso domestico per lavaggio heavy duty è passato dal 15 al 40% dal 1978 al 1988. In Europa il mercato dei prodotti liquidi è in aumento, ma la sua crescita raggiunge valori che sono appena la metà di quelli registrati negli Stati Uniti.
I prodotti liquidi hanno il vantaggio di richiedere operazioni di minor costo energetico, ma comportano modifiche nelle formulazioni: occorre scegliere componenti che presentino una buona solubilità in acqua per consentire concentrazioni abbastanza elevate e occorre che tale solubilità non venga abbassata dalla presenza di uno qualsiasi dei componenti; è necessario inoltre adottare tensioattivi capaci di prestazioni elevate, ma la cui preparazione richieda materie prime di facile reperimento e di costo non eccessivamente elevato. Alcuni fabbricanti ritengono opportuno non usare builders e aumentare l'impiego dei tensioattivi aggiungendo agenti idrotropici, che hanno il compito di incrementare la solubilità (per es. sale sodico dello xilene solfonato, alcoli, glicoli, ecc.); ciò dipende anche dalla difficoltà di trovare builders solubili in acqua (il più usato è il citrato di sodio). Per i tensioattivi la maggiore attenzione è rivolta a prodotti non ionici (alcoli etossilati), che non sono influenzati dalla durezza dell'acqua e che hanno quindi il vantaggio di non richiedere l'uso di builders o di chelanti; questi tensioattivi sono anche efficaci nell'eliminare le macchie di unto.
I prodotti liquidi, se da un lato sono facili da preparare, non producono polveri irritanti, e non tendono ad agglomerare durante lo stoccaggio, presentano tuttavia per i fabbricanti alcuni problemi: la necessità di adottare concentrazioni le più alte possibili per evitare un trasporto eccessivo di acqua; la ricerca di contenitori che comportino il minore ingombro possibile per facilitare sia il trasporto che l'immagazzinamento; che i prodotti non comportino difficoltà d'impiego nelle normali lavatrici. Per quest'ultimo caso sono state studiate alcune soluzioni: immettere il liquido in appositi contenitori da introdurre fra i tessuti da lavare, oppure modificare la viscosità del liquido in modo da poterlo introdurre nelle normali vaschette delle lavatrici senza che scorra via troppo rapidamente; a tale scopo si aggiungono composti tixotropici (per es. xilensolfonato sodico), che conferiscono al liquido in riposo un aspetto gelatinoso, che ritorna fluido per semplice agitazione. Nella tab.1 sono riportati i valori medi limite entro i quali variano i vari componenti nei d. in polvere e liquidi usati negli USA, in Europa e Giappone. Si notano differenze anche notevoli in parte dovute alle diverse abitudini delle rispettive nazioni (diversi tipi di lavatrici usate, tipi di tessuti prevalentemente impiegati, diverse legislazioni in materia di protezione ambientale, ecc.).
Nella tab. 2 sono riportati i consumi di d. per uso domestico; non sono considerati i d. per superfici dure (pavimenti, ecc.), che assommano a circa 150.000 t; i d. per comunità, che superano le 200.000 t; gli ammorbidenti, per 120÷130.000 t. Il valore per la produzione italiana si calcola dell'ordine dei 3000 miliardi.
Macchine lavatrici. − Una larga parte dei d. viene utilizzata oggi in macchine lavabiancheria e lavastoviglie, la cui diffusione è ormai ampia; statistiche recenti indicano che in Giappone quasi ogni famiglia dispone di una lavatrice, negli USA circa il 75%; in Europa, dove l'introduzione delle lavatrici è avvenuta più tardi che negli USA, la diffusione ha raggiunto ugualmente livelli elevati: oltre il 90% nella Germania Federale, circa 90% in Gran Bretagna, Belgio, Italia, Olanda.
Le macchine lavabiancheria usate nei vari paesi, nate per rispondere a esigenze e condizioni diverse, non sono di uguale concezione; ciò comporta anche l'impiego di d. di differente formulazione. Le lavatrici in uso si possono distinguere in base al sistema adottato per l'agitazione della biancheria e dei liquidi: essa può essere provocata o dalla rotazione di un tamburo perforato (in Europa) o da uno o più agitatori meccanici (negli USA) o da dispositivi pulsanti (in Giappone).
Differenze ulteriori si hanno nelle condizioni di lavaggio, specie per quanto riguarda temperatura massima, quantità di acqua impiegata, numero delle operazioni che compongono il ciclo di lavaggio, durata di questo, impiego di prelavaggio, quantità di detersivo usato, ecc. Mentre in Europa le temperature massime di lavaggio arrivano a 90÷95 °C, negli USA non superano i 55° C e in Giappone neppure i 40 °C. Queste differenze dipendono da abitudini e concezioni diverse del lavaggio e comportano differenze nei componenti usati nei formulati, nei consumi energetici, nei materiali di costruzione delle lavatrici. Le temperature più elevate usate per es. in Europa dipendono, per effetto incrociato, dal presupposto che solo a caldo si ottiene un buon lavaggio dei tessuti e dal particolare tipo di sbiancante usato, che agisce solo a temperatura elevata (mentre negli USA e in Giappone si usano sbiancanti a base di cloro che richiedono basse temperature). La diversità delle macchine e delle loro temperature di esercizio richiede a sua volta l'adozione di cicli di lavaggio di diversa durata, con un conseguente riflesso sul consumo di energia, di acqua e di detergenti.
Nella tab. 3 sono riportate le condizioni d'esercizio delle diverse lavatrici in Nordamerica, Giappone ed Europa occidentale.
I cicli di lavaggio previsti variano a seconda dei tessuti da lavare, del grado di lavaggio da realizzare e della temperatura prescelta che porta a consumi energetici diversi (tab. 4).
L'economia nel consumo energetico realizzabile con la riduzione della temperatura massima di esercizio è piuttosto forte: del 35÷50%, passando da 95 a 60 °C; se la riduzione della temperatura viene compensata da un prolungamento della fase di lavaggio, a 60 °C, il risparmio sarà leggermente minore (30÷45%). La soppressione della fase di prelavaggio riduce il consumo energetico del 10÷15% e quello dell'acqua del 30%. La riduzione della temperatura comporta variazioni nella composizione dei formulati poiché occorre trovare componenti ugualmente attivi alle più basse temperature; per es. gli sbiancanti a base di perborato presentano un'attività ridotta, più lenta, alle temperature più basse, e per poter essere ugualmente usati richiedono l'aggiunta di particolari attivatori; analogamente i tensioattivi, poco solubili, non sono adatti alle più basse temperature.
La biancheria lavata, anche se centrifugata, conserva sempre una certa quantità di acqua che occorre eliminare esponendo i panni all'aria; per abolire questa fase successiva le fabbriche di lavatrici ricorrono alla incorporazione nei programmi anche di una fase di ''essiccamento'', operato o per ventilazione con aria calda o con sistemi a condensazione. Nel primo caso l'aria, riscaldata, viene messa a contatto con la biancheria lavata, si carica di umidità e una volta umida esce dalla lavatrice; nel secondo caso l'aria in uscita viene parzialmente raffreddata (per far condensare parte dell'umidità asportata) e, successivamente riscaldata, rientra nella lavatrice e viene scaricata all'esterno solo alla fine del ciclo, quando ha asportato pressoché tutta l'umidità presente. Negli USA e in Canada alla fine del 1984 circa il 60% delle lavatrici avevano incorporata la fase d'essiccazione; in Giappone tale percentuale è molto più ridotta; in Europa si va dall'11% circa della Germania Federale all'1% della Francia e dell'Italia.
Bibl.: B.W. Werdelmann, Tenside in unser Welt-Heute und Morgen, in Chemische Industrie, giugno 1984, p. 321; H.D. Winkhaus, The detergent and cleanser market in Europe, in Chimica oggi, ottobre 1987, p. 41; AA.VV., Detergents, in Ullman's encyclopedia of industrial chemistry, vol. A8, Weinheim 1987; S.C. Stinson, Consumer's preferences spur innovation in detergents, in Chemical engineering news, 4 (1987), p. 21; B.F. Greek, P.L. Layman, Higher costs spur new detergent formulations, ibid., 4 (1989), p. 29; L. Cavalli, Detergent sector surfactant trends, in Chimica oggi, novembre 1989, p. 33; B.F. Greek, Detergent industry powders products for new decade, in Chemical engineering news, 5 (1990), p. 37.