DETERMINANTI
matematica. - Termine con cui si designano certe speciali espressioni che si presentano spontaneamente nella risoluzione dei sistemi di equazioni di 1° grado o, come si suol dire, lineari. Per riferirci al caso elementare, consideriamo un sistema di due equazioni lineari in due incognite x, y
dove a, b, c e a′, b′, c′ denotano sei numeri dati. Risolvere questo sistema vuol dire trovare le coppie di valori che, sostituiti nelle (1) al posto di x e y, le rendono soddisfatte entrambe. A tal fine si può procedere nel modo seguente. Si risolve la prima equazione rispetto a una delle incognite, p. es. rispetto alla y, come se la x fosse conosciuta, e l'espressione così ottenuta si sostituisce alla y nella seconda equazioue, la quale così diventa un'equazione (ancora di 1° grado) nella sola x e, se ab′ − a′b risulta diverso da zero, fornisce un ben determinato valore per questa incognita. Il valore così trovato si sostituisce alla x nella prima equazione, che riducendosi, alla sua volta, a un'equazione (sempre di 1° grado) nella sola y, conduce a un valore ben determinato anche per questa incognita. Si conclude in tal modo che, sotto l'ipotesi essenziale ab′ − a′b ≷ 0, il sistema (1) ammette una soluzione e una sola, che è in ogni caso data da
È questa la cosiddetta "regola del Cramer" (per i sistemi di due equazioni lineari in due incognite). Ciascuno dei binomî ab′ − a′b, cb′ − c′b, ac′ − a′c si chiama il determinante (del 2° ordine) dei quattro numeri che vi compaiono.
Daremo qui un breve cenno della teoria dei determinanti d'ordine qualsiasi e di talune fra le loro più importanti applicazioni. Non v'è capitolo dell'analisi o della geometria analitica in cui non torni utile l'uso dei determinanti, quanto meno come mezzo di enunciazione rapida ed espressiva di risultati.
1. Indicato con n un qualsiasi numero intero (positivo), si consideri uno specchio di n2 numeri, disposti in quadrato, cioè su n righe (orizzontali) e n colonne (verticali), e si denotino tutti questi numeri con una stessa lettera, p. es. a, contrassegnata con due indici, di cui il primo indichi la riga, il secondo la colonna cui appartiene ogni singolo numero. Un simile specchio
è detto matrice quadrata, e gli n2 numeri se ne chiamano gli elementi. Essa serve alla formazione del determinante (di ordine n), che s'indica con
e che si costruisce mediante la seguente regola: Si formi il prodotto a11 a22... ann degli elementi aventi i due indici uguali (termine o diagonale principale); indi si formino tutti i prodotti che da quel termine si deducono tenendo fermi i primi indici e permutando in tutti i modi i secondi, avendo cura di dare a ciascun termine il segno + o −, secondo che la rispettiva permutazione dei secondi indici presenta complessivamente un numero pari o dispari d'inversioni, dicendosi che due di codesti indici, contigui o no, dànno luogo a una inversione se si susseguono, da sinistra a destra, in ordine contrario a quello naturale. Si ottengono così tanti prodotti quante sono le permutazioni degl'indici 1, 2,... n, cioè (v. combinatoria, analisi) n! = n (n − 1)... 3.2.1. La somma algebrica di questi n! prodotti (temini) è il determinante. Esso si designa di nomia con la notazione (2), ma per brevità lo si indica con Σ ± a11a22...ann o anche con ∣ars∣. Come esempio, per n = 2 (determinante di 2° ordine) si ha D = a11 a22 − a12 a21; per n = 3, D = a11 a23 a33 − a11 a23 a32 + a12 a23 a31 − a12 a21 a33 + a13 a21 a32 − a33 a22 a31; per n = 10, D avrebbe 3.628.800 termini.
Il calcolo dei detemminanti è fondato sulle seguenti proprietà:
I. Se si scambiano le righe con le colonne, D non cambia.
II. Se si scambiano due righe o colonne, D cambia segno.
III. Se D ha due righe o colonne con elementi rispettivamente uguali o proporzionali, D ha il valore zero.
IV. Complemento algebrico dell'elemento ars è il determinante Ars di ordine n − 1, che si ottiene sopprimendo in D la riga rma e la colonna sma, moltiplicando poi per (− 1)r+s. Ora, se tutti gli elementi della riga rma di D sono nulli meno ars, si ha D = ars Ars.
V. Si ha che ar1 As1 + ar2 As2 + ... arn Asn è uguale a D se è r = s, e a zero se r è differente da s. Questa proprietà fondamentale permette di ricondurre il calcolo di un determinante d'ordine n a quello di determinanti d'ordine inferiore.
VI. Se gli elementi di una riga o colonna sono polinomî di p termini, D si decompone nella somma di p determinanti a elementi monomî.
VII. Non si altera il valore di D quando a una sua linea (colonna) si aggiungono ordinatamente gli elementi di un'altra linea (colonna) moltiplicati per un fattore comune.
VIII. Un determinante ottenuto da D sopprimendo, in D, m righe e m colonne si dice minore o sotto-determinante di ordine m di D; complementare di questo si dice il minore di ordine n-m, costituito dagli elementi comuni alle righe e colonne soppresse, preso con segno tale che il prodotto dei termini principali nei due minori sia un termine effettivo di D. Il determinante D è la somma dei prodotti dei minori di ordine m presi dalle stesse m righe per i proprî complementari: regola di decomposizione, detta di Laplace, che generalizza la proposizione V.
2. Varî tipi di determinanti speciali si sono presentati in molteplici questioni. Fra i più notevoli sono da ricordare: 1. i determinanti simmetrici, in cui è ars = asr, onde segue Ars = Asr; 2. i determinanti emisimmetrici, in cui è ars = − asr e arr = 0: quelli di ordine dispari sono nulli, quelli di ordine pari sono i quadrati di espressioni razionali (pfaffiani) formate con le ars; 3. i determinanti ortogonali, in cui la somma dei quadrati degli elementi di ogni riga è uguale a 1, mentre la somma dei prodotti degli elementi di ogni riga per i corrispondenti di un'altra qualsiasi è nulla; cioè
onde poi risulta che le stesse condizioni valgono per le colonne. Questi determinanti sono uguali a ± 1; e sono di questo tipo, in coordinate cartesiane ortogonali, i determinanti dei nove coseni direttori delle terne trirettangole di rette (v. cinematica; coordinate); 4. i determinanti di Vandermonde-Cauchy
Un tale determinante è uguale al prodotto delle differenze dei numeri a1, a2, ..., an, presi a due a due in tutti i modi possibili.
3. Oltre alle matrici quadrate, vanno considerate quelle rettangolari, in cui il numero m delle righe è diverso dal numero n delle colonne. Da una tale matrice
si possono estrarre matrici quadrate, e quindi formare determinanti degli ordini successivi 1, 2, 3,..., fino al minore dei due numeri m, n. Se tutti i determinanti d'ordine p estratti dalla matrice sono nulli, lo sono anche quelli d'ordine p + 1. Caratteristica o rango della matrice è l'ordine massimo che può avere un determinante non nullo estratto dalla matrice.
Date due matrici di elementi ars, brs rispettivamente con ugual numero m di linee e n di colonne, le somme Crs = ar1 bs1 + ar1 bs1 + ... arn bsn, essendo in numero di m2, dànno luogo a una matrice quadrata e quindi a un determinante C. Se è m > n, C è nullo; se è m = n, le due matrici, in tal caso quadrate, dànno luogo a due determinanti A, B, ed è C = AB; se è m 〈 n, C è uguale alla somma dei prodotti che si hanno moltiplicando fra loro i determinanti d'ordine m che si ottengono sopprimendo, in entrambe le matrici, n − m colonne di ugual posto.
Il caso m = n dà la moltiplicazione dei determinanti. Il quadrato di un determinante è un determinante simmetrico. Il determinante i cui elementi sono gli Ars è uguale a Dn-1.
4. La prima e più importante applicazione della teoria dei determinanti si ha, come fu accennato da principio, nella risoluzione e discussione dei sistemi di equazioni lineari:
omogenee se tutte gli hr (termini noti) sono nulli, non omogenee se uno almeno degli hr è diverso da zero. 1. Se è m = n, e D = ∣ars∣ è diverso da zero, il sistema non omogeneo ammette l'unica soluzione xi = Di : D (i = 1, 2,..., n), essendo Di il determinante ottenuto da D sostituendo in esso gli h,. agli elementi ari (regola di Cramer). 2. Quando D = 0, il sistema è impossibile, se almeno uno dei Di è diverso da zero, indeterminato se tutti i Di sono nulli. 3. Per un sistema omogeneo con m = n, il sistema è possibile con valori non tutti nulli delle xi, se e soltanto se è D = 0. Per m e n quali si vogliono, il sistema è possibile, con grado d'indeterminazione (numero delle x, cui si possono dare valori arbitrarî) uguale a n − p se p è la caratteristica (v. n. 3) della matrice dei coefficienti: certe m − p delle. equazioni sono conseguenze delle altre p. 4. Un sistema non omogeneo, con m diverso da n, è possihile e col grado di indeterminazione n-p sempreché la caratteristica p della matrice dei coefficienti sia uguale a quella della matrice dei coefficienti e dei termini noti (teorema di Rouché-Capelli).
5. Poiché quasi in ogni teoria analitica o geometrica si è condotti a considerare sistemi di equazioni lineari, altrettanti sono i casi in cui trovano applicazione i determinanti.
In particolare i determinanti forniscono uno dei metodi più comodi (metodo dialitico del Sylvester) per il calcolo e lo studio del risultante di due equazioni algebriche e del discriminante di un'equazione (v. algebra, nn. 14,15). E nella geometria analitica in innumerevoli formule, intervengono con ufficio essenziale i determinanti (v. coordinate).
Qui, come essenzialmente legata all'uso dei determinanti, conviene ricordare, per il suo interesse analitico e geometrico, la teoria delle trasformozioni lineari. Si designa con questo nome ogni trasformazione di una npla di variabili x1, x2,..., xn in un'altra y1, y2,..., yn, espressa da un sistema di equazioni della forma
dove gli ars denotano n2 costanti date, il cui determinante D = ∣ars∣ si dice modulo della trasformazione. Questa è invertibile, e quindi biunivoca, sempre e solo quando sia D ≷ 0. Se D = 0, si dice degenere.
Ove le x e le y s'interpretino come coordinate non omogenee (cartesiane o anche proiettive) dei punti di uno spazio a n dimensioni, la (T) definisce in questo spazio un'affinità (proiettività fra i punti dello spazio, che trasforma in sé l'iperpiano improprio); se invece le x e y s'interpretano come coordinate omogenee dei punti di uno spazio a n − 1 dimensioni, la (T) definisce in codesto spazio un'omografia generale. Si ha una correlazione generale, se delle due nple x e y, una si considera costituita da coordinate di punti, l'altra da coordinate d'iperpiani.
Data una seconda trasformazione lineare (T1), e fatto il prodotto - in senso operativo - delle due trasformazioni, si ottiene una nuova trasformazione lineare (le trasformazioni lineari formano dunque un gruppo), e il modulo del prodotto è uguale al prodotto dei moduli. Fra le trasformazioni lineari sono da segnalare le ortogonali, generalizzazione delle trasformazioni di coordinate cartesiane ortogonali nel piano o nello spazio (v. coordinate). Il relativo determinante D è ortogonale (n. 2), ed è perciò uguale a ± 1.
Se si cercano gli elementi uniti di una trasformazione lineare operata su due spazî sovrapposti, si giunge all'equazione in k:
equazione (detta fondamentale) che si presenta in varie altre questioni di geometria e di meccanica; la riduzione di (T) alla sua forma più semplice dipende dallo studio dei minori del determinante a primo membro della (4). Nel caso simmetrico (ars = asr) essa ha tutte le radici reali, se sono reali gli elementi ars, e l'equazione è detta secolare perché presentatasi nello studio delle perturbazioni secolari dei pianeti.
6. Mentre si sono considerati finora determinanti a elementi numerici (costanti), non si deve omettere di ricordare quelli i cui elementi sono funzioni di una o più variabili. Se gli elementi sono funzioni continue, derivabili, tale è anche il determinante. La derivata di D rispetto a una variabile contenuta nelle ars è la somma di n determinanti, in cui ordinatamente glì elementi della prima, seconda, ... colonna di D sono sostituiti dalle rispettive derivate.
Determinante funzionale o Jacobiano di un sistema di n funzioni di altrettante variabili, ui (x1, x2, ... xn), è il determinante
che si denota anche con ∂ (u1, u2, ..., un)/∂ (x1, x2, .., xn); esso è in un certo senso la generalizzazione dell'ordinaria derivata, cui si riduce per n = 1. L'annullarsi identico di J esprime che le ui sono legate fra loro da una relazione (cioè non sono indipendenti); le equazioni ui (x1, x2, ... xn) = yi determinano univocamente le xs in funzione delle yi, in un certo campo, se in quel campo J non si annulla mai; infine, J ha importanza nella trasformazione degl'integrali multipli, in cui l'elemento differenziale dy1dy2 ... dyn va sostituito con ∣J∣dx1 dx2 ... dxn.
Anche in geometria ricorre la considerazione del Jacobiano: ad esempio, essendo λ1 u1 (x1, x2, x3) + λ2u2 (x1, x2, x3) + λ3u3 (x1, x2, x3) = 0 l'equazione di una rete di curve algebriche dello stesso ordine, l'equazione ∂ (u1, u2, u3)/∂ (x1, x2, x3) = 0 dà il luogo dei punti doppî delle curve della rete. Il Jacobiano delle n derivate prime di una funzione di n variabili è detto Hessiano della funzione; esso ha pure applicazioni in geometria; interviene inoltre nella discussione di problemi di massimi e minimi.
La condizione necessaria è sufficiente perché n funzioni u1(x), u2(x), ..., un(x) di una variabile siano linearmente dipendenti, cioè perché esistano n costanti c., non tutte nulle, tali che sia c1 u1 (x) + c2 u2 (x) + ... + cn un (x) = 0, è data dall'annullarsi identico del determinante
detto determinante Wronskiano. Perché le funzioni siano dipendenti linearmente nel senso del calcolo delle differenze (le cr. funzioni periodiche di periodo 1), è necessario e sufficiente che si annulli il determinante ∣ur (x + s)∣ (s = 0, 1, 2, ... n − 1) detto determinante del Casorati.
7. Se gli elementi ars (r, s = 1, 2, 3 ... n) di una matrice quadrata sono tali da conservare significato anche se n percorre tutta la serie dei numeri naturali 1, 2, 3, ..., si può costruire una successione di determinanti D1, D2, ..., Dn, ..., che, sotto condizioni opportune, può tendere a un limite determinato Δ quando n tende all'infinito: Δ viene detto allora determinante infinito, e a tali determinanti è lecito, sotto le accennate condizioni, di estendere le proprietà dei determinanti ordinarî; in particolare, lo sviluppo a mezzo degli elementi reciproci. Sono da notare i determinanti infiniti normali, in cui arr = 1 + λr, e la serie Σλr + Σars (r diverso da s) è assolutamente convergente: essi sono convergenti e ammettono l'estensione della teoria ordinaria. I determinanti infiniti trovano applicazione nella risoluzione di sistemi d'infinite equazioni lineari a infinite incognite. Sono stati usati, nella teoria delle equazioni differenziali lineari, determinanti infiniti in cui n percorre la serie dei numeri interi da − ∞ a + ∞. Nella teoria delle equazioni integrali ha parte fondamentale una trascendente intera (determinante del Fredholm) che è un determinante d'ordine infinito.
8. I determinanti sono pure stati generalizzati in un altro senso, considerando matrici non più quadrate, ma cubiche, e anche a un numero qualsiasi di dimensioni. Il determinante cubico ∣arst∣(r, s, t = 1, 2, ..., n), consta di n3 elementi; esso è dato dalla somma algebrica dei prodotti che si deducono dal termine principale a222 a222 a333 ... annn, permutando in tutti i modi i secondi e i terzi indici e dando a ogni termine il segno + o − a seconda che è pari o dispari il numero complessivo delle inversioni contenute nelle due permutazioni. Il determinante cubico d'ordine n consta dunque di (n!)2 termini. Analoga definizione per i determinanti a quattro o più dimensioni. Di questa generalizzazione dei determinanti si sono occupati varî autori, ma non sembra per ora che la loro utilità sia tale da compensarne la complicazione.
9. Cenno storico. - Il concetto di determinante, insieme con la legge di formazione, compare per la prima volta in una lettera di Leibniz a L'Hôpital (1693); vi si trova già l'opportuno espediente d'indicare gli elementi mediante due indici. E. Bezout (1750) studia sistemi di equazioni lineari; G. Cramer ritrova (1750) la costruzione dei determinanti e ne dà l'applicazione alla risoluzione delle equazioni lineari mediante la regola che ne porta il nome. P. Laplace (1772) scopre lo sviluppo del determinante mediante la somma dei prodotti dei suoi minori. A. Cauchy mette in uso il nome di determinante (già usato da Gauss in un caso particolare, a indicare cioè il discriminante b2 − ac della forma quadratica ax2 + 2bx + c) e dà (1815) della teoria una prima trattazione organica. La teoria e le applicazioni si vanno poi sviluppando per opera di Jacobi, Cayley, Sylvester, Brioschi, Trudi, Frobenius, Kronecker, ecc. Al Brioschi si deve (1854) il primo trattato sui determinanti, al quale segue (1857) quello del Baltzer. Il concetto di caratteristica è di Frobenius (1887): il teorema fondamentale relativo (v. n. 4) è stato trovato indipendentemente (1885-89) da questo autore, da Rouché e da Capelli. Alla teoria dei determinanti infiniti hanno contribuito Hill (1886), Poincaré (1886), H. von Koch (1891) e T. Cazzaniga (1897); a quella dei determinanti cubici o a più dimensioni De Gasparis (1861), Gegenbauer (1885), Lecat (1910).
Bibl.: F. Brioschi, La teoria dei determinanti, Pavia 1854; R. Baltzer, Theorie und Anwendung der Determinanten, Lipsia 1857; N. Trudi, Teoria dei determinanti e loro applicazioni, Napoli 1862; S. Günther, Lehrbuch der Determinantentheorie, Erlangen 1877; P. Mansion, Éléments de la théorie des déterminants, Parigi 1883; E. Pascal, I determinanti, Milano 1897; G. Kowalewski, Einführung in die Determinantentheorie, Lipsia 1909; M. Lecat, Leçons sur la théorie des déterminants à n dimensions, Gand 1910. - Per la completa bibliografia fino al 1918: Th. Muir, The theorie of Determinants in the historical order of development, voll. 3, Londra 1906-1920.