GISEPRANDO, detto anche Gezone
L'ipotesi del Mor che G., cappellano e cancelliere dei re d'Italia Ugo e Lotario, e poi vescovo di Tortona e abate di Bobbio, fosse originario d'Oltralpe, come tutti i personaggi che facevano carriera nella Cancelleria dei "re nazionali", non ha trovato nessuna conferma negli studi prosopografici di E. Hlawitschka. Resta il dato di fatto che gli fu possibile intraprendere la carriera cancelleresca. G. compare infatti come riconoscitore in quasi tutti i documenti regi datati tra il 937 e il 945: in quattro diplomi del 937 in veste di capellanus (I diplomi di Ugo e Lotario, nn. 44 s.) e notarius (ibid., nn. 46 s.); dal principio del 938 al 945 promosso a cancellarius (ibid., nn. 48-53, 56-59, 63-69, 71-74, 76, 78); a partire dal 29 marzo 945 (ibid., n. 79) - e per l'ultima volta il 13 agosto sempre del 945 (ibid., n. 81) - con l'aggiunta del titolo di episcopus.
Poiché nei testi di molti diplomi compare la stessa mano, lo Schiaparelli ne congetturò l'autografia. Due sottoscrizioni certamente autografe sono nella chartula ordinationis del 946 e nel placito del 27 sett. 962, ma lo stesso studioso riconobbe che il confronto non era da considerarsi probante, data la grande differenza tra i tipi di scrittura usati: la minuscola carolina libraria per i due atti del 946 e del 962 e la cancelleresca per i testi e le recognitiones degli altri diplomi. Inoltre nei due documenti emessi negli anni d'episcopato di G. e di cui egli è ancora riconoscitore (nn. 79 e 81) non si ritrova la scrittura che si suppone possa essere sua. Questo fatto costituisce un indizio di veridicità dell'ipotesi proposta, perché attesta che G., una volta vescovo, benché abbia mantenuto per qualche tempo la carica di cancelliere, non fu più preposto all'ingrossatura dei documenti.
G. venne ordinato vescovo di Tortona tra il 25 marzo e la fine di aprile del 945. La nomina episcopale di un esponente così in vista della Cancelleria regia era segno della centralità della sede tortonese, tanto più evidente se connesso al fatto che, nell'anno precedente, era stato designato conte di Tortona Elisardo, genero di re Ugo.
Degli atti compiuti da G. nei primi anni di episcopato restano poche testimonianze relative ai suoi sforzi di favorire il clero tortonese e di dotare le dipendenze della diocesi. Nel 945 G. donò ai canonici della sua Chiesa le decime della città e del suburbio, le pievi di S. Pietro e di S. Martino sul fiume Scrivia e quelle di Urba, Bosco, Frugarolo e Lagoscuro. Nella primavera del 946 si preoccupò della sorte dell'abbazia di Vendersi, allora pressoché in stato d'abbandono, forse a causa delle incursioni dei Saraceni: con una chartula ordinationis il vescovo volle installarvi permanentemente alcuni sacerdoti e chierici che la officiassero e ne ripristinassero l'antico prestigio.
La più significativa azione di G., anche per i riflessi che avrebbe avuto sullo sviluppo della cultura in tutta la zona, fu certamente la decisione di fondare un nuovo monastero in città, dedicato a s. Pietro e al primo vescovo, s. Marziano. Una testimonianza precisa al riguardo è contenuta in un diploma di Ottone IV del 1210, in cui si confermano alcune donazioni, fatte da Ugo e da Lotario, al monastero "quod venerabilis Giselprandus quondam Terdonensis episcopus ex propriis redditibus construxerat ad sumptum et usum monacorum ibidem Deo famulantium" (Gabotto - Legé, p. 296). La fondazione di S. Marziano è quindi da porsi tra il 945, primo anno di episcopato di G., e il 947, data della morte di Ugo, nell'ambito di una generale rinascita di fondazioni monastiche, dopo un periodo tormentato dovuto alle invasioni ungare e mentre cominciavano a diradarsi le scorrerie dei Saraceni. Il primo abate del monastero fu un monaco, Gezone, di cui ci è pervenuta l'opera De corpore et sanguine Christi, scritta dopo la morte di G., a imitazione del De corpore et sanguine Domini di Pascasio Radberto. Nella lettera dedicatoria ai confratelli, Gezone racconta che, volendo per farsi monaco abbandonare Tortona, ne fu impedito da G., che aveva intenzione invece di chiamarlo a dirigere il costruendo monastero.
Oltre a questo cenobio di nuova creazione, un altro centro fu gestito - questa volta direttamente - da G., che ne divenne l'abate: si tratta di Bobbio, la famosa abbazia regia fondata da s. Colombano, in quegli anni però piuttosto in declino. L'unico documento che attesta l'abbaziato bobbiese di G., chiamando il vescovo espressamente "aba monasterii sancti Columbani sita Bobio", è una permuta di beni tra lo stesso G. e un tal diacono Pietro, datata 12 luglio 961 (Codice diplomatico del monastero di S. Colombano di Bobbio, n. XCII). È tuttavia da supporre che il presule abbia occupato la carica almeno una decina d'anni prima. Così fanno ritenere i Miracula sancti Columbani, verosimilmente databili al 950 circa, ove l'anonimo autore si scaglia polemicamente contro il suo abate (che resta senza nome, ma si dice che è anche vescovo), attribuendogli una conduzione totalmente fallimentare: non si può pensare ch'egli parli d'altri che di G., il quale è accusato di aver proceduto a una sistematica spoliazione di libri e suppellettili. Si è congetturato che forse l'abate abbia inteso dotare in questo modo la chiesa di Tortona e il nuovo S. Marziano. Su G., dunque, graverebbe la responsabilità di un'ulteriore dispersione del già intaccato patrimonio del monastero. A riprova, poi, del comportamento scorretto di G., in un diploma dell'imperatore Ottone III del 998, a distanza di più di trent'anni dalla sua morte, tutti i suoi atti vennero cassati con la motivazione che si sarebbe arrogato il titolo d'abate in modo illecito (ibid., n. CIII).
Tra gli anni '50 e '60 del secolo, in una mezza dozzina di documenti G. è ricordato in alcuni atti privati o in veste di significativo partecipante ad avvenimenti di notevole rilievo per l'assetto politico contemporaneo e dei decenni a venire. A Pavia, il 17 genn. 951, egli appoggiò, presso i re d'Italia Berengario II e Adalberto, le richieste della badessa di S. Sisto in Piacenza, cui in questa circostanza furono confermate le corti di Guastalla, Campo Miliaco, Cortenova, Sesto, Luzzara, Palidano, Villola e Pegognaga, con il monastero di Cotrebbia. Il 7 ag. 952 G. partecipò alla Dieta di Augusta, mentre il 13 febbr. 962 fu tra i sottoscrittori italiani, insieme con Uberto di Parma e Guido di Modena, del PrivilegiumOthonis. Poco più di un mese dopo, il 27 sett. 962, G., con i vescovi Ingone di Vercelli, Guido di Modena, Antonio di Brescia, Sigulfo di Piacenza e Uberto di Parma, presenziò in Asti a un placito in cui il presule astigiano Bruningo rispondeva alle pressanti richieste del Fisco regio con l'ostensione di un documento, emesso "interventu Gezonis episcopi" dalla Cancelleria di Ottone I due giorni innanzi. Con quell'atto, infatti, l'imperatore confermava alla Chiesa di Asti i privilegi conferitile dai predecessori e da lui stesso, compreso il districtus, il mercato e "omnis publica functio suae […] civitatis et circumcirca infra duo miliaria coniacentia" e pertanto nessuna pretesa fiscale poteva essere vantata sul territorio controllato direttamente dal vescovo. È invece un falso il diploma di Ottone I del 24 dic. 962, con cui sarebbe stata confermata la donazione del conte Fazio al monastero di S. Maria Maggiore a Milano, e tra i cui testes figura "Gezo Dertonensis".
Quando il 6 nov. 963 Ottone I, per deporre il papa Giovanni XII, riunì in S. Pietro a Roma un sinodo cui parteciparono i metropoliti, moltissimi vescovi, quasi tutto il clero romano e i rappresentanti della nobiltà e della plebe, alla riunione intervenne anche Giseprando. Una descrizione dell'avvenimento è fornita dal libello polemico di Liutprando di Cremona noto come Historia Ottonis. Su G. si appunta l'attenzione del cronista, che lo include tra i consiglieri di prestigio dell'imperatore, insieme con Enrico di Treviri, Guido di Modena e Sigulfo di Piacenza. È questo l'ultimo atto che vede G. in vita. Il suo immediato successore, Giovanni, intervenne al concilio di Ravenna dell'aprile 967, da considerarsi quindi terminus ante quem per la morte di Giseprando.
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