DEUCHINO (Dehuchino)
Dinastia di tipografi attivi a Venezia e a Treviso dal 1570 fino almeno al 1629.
Pietro, il capostipite, ribadì nelle primissime stampe la sua nazionalità di "Gallus" o "franzese", ma ben presto vi rinunciò ed italianizzò il proprio nome, come già avevano fatto i suoi colleghi e connazionali Vincenzo Valgrisi e Antonio Gardano. La sua produzione, compresa tra il 1570 e gli inizi dell'81, si adegua all'incipiente crisi ed alle angustie dell'editoria veneziana postconciliare: con una media - sembra - di quattro titoli all'anno, essa è costituita soprattutto da opere teologiche, devozionali e bibliche di piena osservanza controriformistica, da trattatistica universitaria, da classici antichi e volgari e da poca letteratura d'occasione e di moda. La modestia del catalogo e il conformismo delle scelte erano però controbilanciati dalla dignità delle edizioni, eseguite su buona carta con disponibilità di caratteri romani e corsivi di varie serie ed anche di caratteri greci, con ornamentazione silografica raffinata, con impiego di illustrazioni silografiche e, dal 1578 in poi, anche calcografiche.
L'esordio di Pietro nell'arte veneziana è legato ad un'edizione alquanto curiosa e fortunata: le Imagines et elogiavirorum illustriumex antiquis lapidibus di Fulvio Orsini (1570).
Questa collezione di monumenti iconografici di ogni tipo, che valse all'autore il titolo di "padre dell'iconografia antica", è infatti illustrata in parte con calcografie con testo inciso, in parte con silografie con testo impresso. Le prime furono eseguite a Roma da Alexander Mair per Antonio Lafrery, un borgognone divenuto celebre come editore romano di raccolte calcografiche; le seconde furono invece affidate dallo stesso Lafrery al suo connazionale Pietro, che risulta così documentato a Venezia almeno dal 1569: il 22 dicembre di quell'anno l'Orsini annuncia infatti ad Aldo Manuzio il Giovane l'imminente spedizione del materiale e lo prega di vegliare sulla fase veneziana della stampa, da completarsi con una prefazione in versi del bresciano Lorenzo Gambara.
Nello stesso anno 1570 Pietro stampò però da solo altri due più consistenti volumi: il volgarizzamento ad opera del poligrafo Agostino Ferentilli dei Triginta gradusscalae coelestis di s. Giovanni Climaco e un EnarrationumEvangelicarum thesaurus; neglianni successivi, fino al '73, si limitò invece ad eseguire lavori commissionatigli da tipografi editori più affermati, come Giorgio Ferrari, Giordano Ziletti, Bolognino Zaltieri, e dall'editore libraio napoletano Giovanni Aniello De Maria, per cui stampò una riedizione dell'Arssphygmica di Joseph Struthius (1573). La realizzazione nel 1574 di un ConciliumTridentinum in-16º e di un Orlando furioso in-12' con silografie segnò l'avvio di una più intensa attività di tipografo editore in proprio. Pur senza disdegnare ulteriori stampe di testi giuridici per il De Maria e per il suo socio napoletano Giovanni Antonio Serra e di trattatistica e classici per i Giunti, gli eredi Valgrisi, Francesco De Franceschi e Francesco Ziletti, Pietro realizzò da solo trattati teologici ed ascetici come il Compendium theologicae veritatis di Giovanni Combi (1575), la celebre Summa sacramentorum Ecclesiae di Francisco de Vitoria in traduzione italiana (1575) e le opere di s.Giovanni da Capestrano curate dall'abruzzese Antonio Amici (1578), trattatelli filosofici come le Academicae contemplationes di Stefano Tiepolo (1576), volgarizzamenti delle Metamorfosi (1579) e del Primaleon (1579). Nel 1580 affrontò due prime edizioni: il De peste del medico fermano Antonio Porto e le Tabulae gregorianae del matematico messinese Giuseppe Moleto; ad esse affiancò la prima edizione veneziana dell'Expositio in primamsecundae d. Thomae Aquinatis di Bartolomeo de Medina, pubblicata a Salamanca nel '77, ed un prezioso Petrarca in-24º. Morì l'anno seguente dopo aver stampato le Pandette giustinianee (1581), ma gli subentrarono immediatamente gli eredi, purtroppo oggi sconosciuti, che stamparono fino al 1588 sotto la ragione "Heredi di Pietro Deuchino", proseguendo fedelmente sia i suoi indirizzi editoriali sia la sua salvaguardia della buona qualità della produzione. Alle Summae teologiche ed ascetiche di s. Antonino (1587), Silvestro Mazzolini (1587), Bartolomeo Carranza (1587) e di Francisco de Vitoria, in una nuova edizione accresciuta (1587), seguirono importanti trattati giuridici non solo di Bartolomeo Cipolla (1586) ma anche di Sebastian Brant (1584), Nicasius de Voerda (1584), Tobia Nonio (1586), raffinati in-24º di Ovidio (1588), Sannazaro (1588), ristampe dei fortunati Petrarca (1586) e Furioso (1587) di Pietro. Dopo il 1588 l'attività degli eredi D. cessò improvvisamente.
Evangelista, probabilmente uno degli eredi, tornò a dedicarsi all'arte della stampa dal 1593, non più a Venezia bensì a Treviso. In quell'anno è infatti editore, per i tipi del trevigiano Domenico Amici, della Relazione d'Aristea sul Pentateuco volgarizzata dal canonico veneziano Leonardo Cernoti. Nel 1596 impiantò a Treviso una propria officina, valendosi probabilmente anche di materiali tipografici e silografici già appartenuti all'officina veneziana, e fino al 1605 pubblicò quasi esclusivamente modeste operette di letterati trevigiani e veneti (Girolamo Casoni da Oderzo, Antonio Piccioli da Ceneda, Bartolomeo Burchelati, Giulio Cornelio Graziano, Andrea Menichini, Giovanni Della Torre, Venceslao Brescia, Albrighetto Rinaldi, Gismondo Florio, Giovanni Paolo Trapolin, Mario Gibelli, Bartolomeo Amigio). Sebbene la qualità delle sue stampe andasse gradatamente abbassandosi, pure egli ricevette da Venezia due importanti commissioni: nel 1606 il tipografo editore Roberto Meietti gli affidò la terza edizione della Praxis universae artis medicae di Andrea Cesalpino, e l'anno seguente il libraio Giovanni Battista Pulciani si rivolse a lui per la stampa della seconda edizione accresciuta della Practica medica di Alessandro Massaria.
Con il Pulciani Evangelista strinse nel 1608 una società temporanea che gli permise di rilanciare la sua attività e di ritornare a Venezia, dove lavorò fino almeno al 1629. I due soci realizzarono tra il 1608 e il '10 edizioni di rilievo quali una Bibbia sistina in-folio (1608), le Rime del Tasso in sei volumi (1608) e il trattato De alimentis di Bernardino Gagia (1608); poi la società si sciolse. Alternando anni di intensa attività ad anni di crisi, ma risollevando la qualità della sua produzione, Evangelista stampò altre edizioni tassiane (l'Aminta e le Prose nel '12, le Rime in due volumi nel '20-'22, il Rinaldo nel '21), promosse l'abbondante produzione agiografica e storica di Fortunato Olmo, benedettino di S. Giorgio Maggiore di Venezia, pubblicò testi medici quali le Exercitationes de subtilitate del romano Emilio Parisano (1611), i De genitura (1622) e Ad disputationem de genitura additamentum apologeticum (1625) del suo avversario vicentino Mondino Mondini, si cimentò nella calcografia dapprima in alcuni frontespizi, poi in una edizione de Le imaginidegli dei di Vincenzo Cartari illustrata da novantatré rami (1624). Il suo lavoro più importante è però il corpus di opere del matematico ferrarese Guidobaldo Del Monte stampato nel 1615 a cura del figlio di questo: esso comprende la prima edizione postuma del De cochlea, illustrata con silografie e rami, la Perspectiva e i Mecanica, pure illustrati. L'ultima edizione nota di Evangelista è l'Historia della venuta a Venetia occultamente nel 1177 di papa Alessandro III di Fortunato Olmo del 1629.
I Deuchino usarono due marche. Pietro adottò dal 1575 l'emblema di due ancore legate da un cartiglio con il motto "Plus ultra" ma più spesso "His sufulta", riferimento, più che all'ancora aldina, alle Colonne d'Ercole di Carlo V, e sormontate da tre gigli con il motto "Sic inclita virtus". La marca dei suoi eredi rappresenta invece un cinghiale sotto un melo i cui frutti gli cadono addosso, con il motto "Procellis ditior", invito a saper trarre vantaggio dalle avversità. Evangelista, ripristinò invece dal 1598 la marca di Pietro, privata però dei gigli e sempre con il motto "His sufulta".
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