DEUSDEDIT
Diacono della Chiesa ambrosiana, alla morte del vescovo Costanzo, nell'autunno del 600, venne eletto vescovo di Milano dal clero di quella città esule a Genova a causa della migrazione e dello stanziamento dei Longobardi nella attuale Lombardia. Anteriormente a tale data non ci è possibile ricostruire, per il silenzio delle fonti note, la biografia di D., la quale, d'altro canto, è per noi estremamente povera di notizie anche per gli anni in cui ricoprì la carica vescovile.
Gregorio Magno, in una lettera del settembre del 600 (Reg. Epist., XI, 6), indirizzata "presbyteris, diaconibus et clero Mediolanensi", dopo aver ricordato con estremo rimpianto il vescovo Costanzo e i suoi grandi meriti, prende atto della elezione del suo successore D. ed invita il clero milanese a provvedere alla consacrazione del nuovo presule. Da questa lettera si può ricavare che D. deve essere stato eletto intorno al 16 settembre, perché, da un'altra lettera di Gregorio, sappiamo che Costanzo era ancora vivo nel maggio del 600 e secondo il catalogo dei vescovi di Milano sarebbe morto il 3 settembre, mentre questo stesso catalogo pone la morte di D. al 30 di ottobre, dopo anni 28, mesi 1, giorni 14 di governo episcopale.
Non è possibile convenire con l'Ewald e con lo Hartmann, i quali ritengono che il 16 sett. 600 sia il giorno in cui D. è stato consacrato: non solo perché il 16 settembre non era domenica, giorno tradizionalmente destinato alle consacrazioni, ma anche perché da due lettere di Gregorio Magno (Reg. Epist., XI, 11 e 14) D. risulta ancora "vescovo eletto" nell'ottobre successivo. Priva di qualsiasi fondamento è quindi l'affermazione del Sassi e dell'Oltrocchi che la Chiesa milanese, alla morte di Costanzo, sarebbe rimasta priva del suo vescovo per un anno e tredici giorni.
La scomparsa di Costanzo aveva offerto al re dei Longobardi Agilulfo la possibilità di compiere un tentativo per riportare a Milano i vescovi di quella Chiesa. Infatti nella citata lettera del settembre del 600 Gregorio Magno, facendo riferimento a passi compiuti dal sovrano per far eleggere un suo candidato, afferma che mai avrebbe tollerato sul soglio episcopale milanese un uomo, "qui non a catholicis, sed maxime a Langobardis eligitur..., quia vicarius Ambrosii sancti indignus evidenter ostenditur, si electus a talibus ordinatur". Il papa termina la sua lettera avvisando il clero milanese esule a Genova di aver incaricato il notaio Pantaleone di provvedere alla solenne consacrazione di Deusdedit. In una successiva epistola dell'ottobre di quello stesso anno 600, indirizzata a Pantaleone (Reg. Epist., XI, 14), Gregorio Magno tornava sull'argomento, raccomandando al notaio di affrettarsi a raggiungere Genova per sovraintendere alla consacrazione di Deusdedit.
Secondo il Mor il fatto che il papa si sia indirizzato al solo clero milanese senza accennare anche all'ordo e alla plebs di quella Chiesa può far ritenere che ad eleggere D. sia stato solo il clero residente a Genova, ortodosso e legato a Roma e all'Impero, mentre il possibile candidato di Agilulfo poteva essere un cattolico ma aderente allo scisma dei Tre Capitoli, scelto tra gli ecclesiastici presenti a Milano ed eletto solo dall'ordo e dalla plebs residente in città. Agilulfo, nel tentativo di imporsi al clero ambrosiano residente a Genova, doveva aver anche minacciato di sequestrare tutti i proventi dei beni della Chiesa milanese compresi nel territorio longobardo, se Gregorio I ricorda ai destinatari della sua lettera del settembre che non vi è alcun pericolo che essi rimangano privi di mezzi in quanto le proprietà della Chiesa milanese erano in Sicilia o, comunque, in territori di dominio bizantino, come la stessa Genova. Il ricordo dell'intervento di Agilulfo contro l'elezione di D. si conservava ancora nel sec. XI, quando Landolfo Seniore riportava nella sua Historia, sia pure in modo parzialmente travisato, la notizia di questo avvenimento corredandola, però, con la citazione testuale della lettera di Gregorio I, che è anche l'unica fonte che possediamo sull'intera vicenda. La mancanza di altre notizie impedisce di valutare appieno quale sia stata l'evoluzione successiva dei rapporti tra Agilulfo, D. e la Chiesa milanese esule a Genova.
Tra la sua elezione e il maggio del 602 D. dovette compiere un viaggio a Roma ed incontrarsi con Gregorio I. Infatti in una lettera inviatagli in quel mese e in quell'anno e nella quale tratta di alcuni beni lasciati dal predecessore di D., Costanzo, alla nipote Luminosa, "ancilla Dei", il papa ricorda che di questo problema aveva già discusso con lui "tempore quo ad nos fuit". In quella occasione il vescovo aveva dichiarato che i beni immobili lasciati a Luminosa erano stati acquisiti da Costanzo quando era già vescovo: dovevano quindi rimanere alla Chiesa milanese, e questo era stato anche il parere del pontefice. Ma, ora, il papa dichiara di aver ricevuto informazioni secondo cui alcuni dei beni in questione sarebbero stati già proprietà di Costanzo quando era ancora diacono: in questo caso essi dovevano essere restituiti a Luminosa. Gregorio pregava dunque D. di mandargli le prove di quanto gli aveva detto a Roma a proposito dei beni ricordati nel testamento di Costanzo, ma gli raccomandava anche vivamente che Luminosa fosse protetta in modo di non subire molestia o danno.
L'ultima lettera a noi pervenuta che il papa abbia inviato a D. è del maggio 603. In questa occasione il pontefice lo avverte che il vescovo Teodoro si era lamentato per le ingiustizie che avrebbe subito da Deusdedit. Il papa, pur dichiarando di non credere a quanto Teodoro affermava, comunica a D. di esser stato costretto ad affidare ad un vescovo Venanzio l'indagine relativa e lo pregava di facilitare, per quanto gli era possibile, l'incontro tra Teodoro, il defensor della sua Chiesa e Venanzio. Le perplessità di Gregorio sulla veridicità delle accuse di Teodoro si spiegano ricordando che già nel luglio del 599 il papa aveva dovuto sollecitare il vescovo Siagrio di Autun affinché facesse tornare nella sua diocesi Teodoro che si era rifugiato presso di lui, abbandonando la sua sede vescovile perché non sopportava la disciplina impostagli da Costanzo. Teodoro doveva essere ritornato in Italia solo dopo la morte di Costanzo, ma dopo un breve periodo erano sorti motivi di contrasto anche con il suo nuovo metropolita. L'Ewald e lo Hartmann identificano il Venanzio qui ricordato dal papa nell'omonimo vescovo di Luni e non con l'omonimo vescovo di Perugia, anche se l'ultima lettera di Gregorio al vescovo di Luni è del maggio 599.
A queste notizie, desunte da lettere direttamente indirizzate dal pontefice a D., ne vanno forse aggiunte altre, tratte da una lettera del dicembre 603 inviata da Gregorio a Teodelinda. In essa il pontefice si congratula con la regina sia per la nascita, avvenuta l'anno precedente, del figlio Adaloaldo, sia perché questi era stato battezzato nella Pasqua del 603 a Monza secondo il rito cattolico. Il papa scrive di averlo saputo grazie a "scripta quae ad nos dudum a Genuensibus partibus transmisisti". In questa frase si può forse vedere la fine delle ostilità tra il vescovo di Milano e il re longobardo. In quanto Teodelinda si sarebbe messa in contatto con D., che risiedeva a Genova, e probabilmente Gregorio con queste parole vuole alludere al fatto che le lettere della regina erano state accompagnate da "scripta" del vescovo di Milano.
Se le indicazioni del catalogo dei vescovi della Chiesa milanese sono esatte, durante il governo di D. nel Regno longobardo si aprì una grave crisi dinastica che profondamente preoccupava il papa Onorio I. Nel dicembre del 625, a pochi mesi di distanza dalla sua elezione il pontefice scriveva all'esarca Isacio pregandolo di mandare a Roma, affinché potessero essere puniti, quei vescovi "Transpadani" che, dopo la rivolta del duca di Torino Arioaldo da cui era stato detronizzato il re Adaloaldo, avevano consigliato ad un alto dignitario di corte, Pietro figlio di Paolo, di venire meno al giuramento di fedeltà prestato al sovrano Agilulfo per passare dalla parte di Arioaldo. Secondo l'Oltrocchi proprio D. avrebbe forse "delatus" al pontefice l'azione di questi vescovi. Ma se non vi è alcuna prova in questo senso, non si può neanche, in assenza della testimonianza di altre fonti, essere sicuri che i vescovi "Transpadani" di cui si parla fossero soltanto in parte suffraganei del metropolita milanese e non appartenessero invece al clero scismatico della provincia "Venetiae" che, seguendo i Tre Capitoli, non doveva essere in buoni rapporti con Adaloaldo, battezzato con rito cattolico e che aveva dato segni di squilibrio mentale.
D. morì il 30 ott. 628. Stando alle notizie del catalogo dei vescovi di Milano, fu seppellito nella chiesa di S. Siro a Genova. È molto probabile, come fa osservare il Savio, che al momento della morte non avesse novant'anni, come affermano diversi manoscritti del catalogo, e "che la cifra XC, se non interamente inventata, sia stata corretta dai copisti e forse si debba leggere LX".
Fonti e Bibl.: Anonymi Mediolanensis Libellus de situ civitatis Mediolani, in Rer. Ital. Script., 2 ed., I, 2, a cura di A. e G. Colombo, p. 99; Gregorii I papae Registrum epist., in Mon. Germ. Hist., Epistolae, II, a cura di P. Ewald-L. M. Hartmann, Berolini 1893-1899, pp. 265 s., 274, 361, 396, 430 ss.; Landulfi, Historia Mediolanensis, Ibid., Scriptores, VIII, a cura di L. C. Bethmann-W. Wattenbach, Hannoverae 1848, pp. 48 s.; J. D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, X, Florentiae 1764, coll. 577 B-D, 586 C-E; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, IV, Venetiis 1719, col. 64 C-D; J. A. Saxii Archiepiscoporum Mediolanensium series historico-chronol., I, Mediolani 1755, pp. 221-225; B. Oltrocchi, Ecclesiae Mediolanensis hist. Ligustica, Mediolani 1795, pp. 433-438, 478, 480, 501-504, 508 s.; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300, La Lombardia, Firenze 1913, pp. 266-271; F. Lanzoni, Le diocesi d'Italia dalle origini al principio del secolo VII (an. 604), in Studi e testi, XXXV, 2, Faenza 1927, pp. 1030 s.; C. G. Mor, Contributo alla storia dei rapportifra Stato e Chiesa al tempo dei Longobardi (La politica ecclesiastica di Autari e di Agilulfo), in Riv. di storia del diritto ital., III (1930), ora in Id., Scritti di storia giuridica altomedievale, s.l. né a. [ma Pisa 1977], pp. 550, 583-587, 591; E. Cazzani, Vescovi e arcivescovi di Milano, Milano s. a. [ma 1955], pp. 56 ss.; E. Cattaneo, Missionari orientali a Milano nell'età longobarda, in Arch. stor. lomb., XC (1963), pp. 224 ss., 229.