Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
È possibile la “riconquista di una cultura armoniosa” in un mondo in cui deflagra il conflitto tra Kultur e Zivilisation? La risposta formulata dal Deutscher Werkbund passa per il tentativo non di recuperare l’armonia infranta, ma di stabilirne una su basi nuove. Nel caso della Germania di inizio Novecento, ogni possibile “cultura armoniosa” passa necessariamente per una sistematica trasformazione dell’universo delle merci: e pertanto solo la produzione industriale, causa prima della perdita dell’armonia del passato, può consentire di riconquistarla.
L’armonia sotto il segno dell’industria
Nell’ottobre 1907, un centinaio di partecipanti presenzia a Monaco a una riunione indetta da 12 industriali e 12 artisti. Si tratta della prima riunione del futuro Deutscher Werkbund.
La specificità del Werkbund (che si può rendere come “confederazione delle arti e dei mestieri”) risiede sin dal primo momento nella sua composizione. Non si tratta di un’accolita di artisti né di un’assemblea di industriali o di politici. Si tratta di queste cose insieme, ossia di qualcos’altro. L’obiettivo che il Werkbund si prefigge – riformare la produzione industriale tedesca integrando artisti e produttori – presuppone del resto il superamento di una concezione dell’arte e dell’industria come mondi non comunicanti.
La figura centrale del primo Werkbund, per quanto assente alla riunione inaugurale, è Hermann Muthesius. Nel 1907 Muthesius, che ha vissuto a Londra come inviato per il governo prussiano con l’incarico di recepire i migliori risultati del design inglese, invoca da anni una produzione di qualità che, nel segno della semplicità, sia capace di riconquistare i mercati esteri. Ritorno economico per gli industriali e rafforzamento del Reich si implicano a vicenda; ed è difficile dire se, per lui come per altri membri del Werkbund, sia il design a essere funzionale alla causa della Germania o quest’ultima un elemento di propaganda per la riforma del primo. Comunque, il ruolo di Muthesius nella definizione del progetto del Werkbund è fondamentale. Lo stile del futuro, a suo parere, non può essere la creazione di un genio isolato, ma il frutto dell’incontro tra necessità economiche, formali e tecniche, grazie a cui, a onta dell’imperante kulturpessimismus, sarà possibile salvare la cultura tedesca senza rigurgiti nostalgici, ossia nel segno della macchina.
Alla prima riunione è presente un politico di rilievo come Friedrich Naumann, convinto anch’egli che obiettivo della neonata associazione sia quello di difendere il principio della qualità nella produzione industriale, nobilitare il lavoro, ridurre la conflittualità sociale e, così, potenziare la competitività dell’industria tedesca sui mercati esteri. L’idea è quella di una società armonica, da perseguire attraverso una riforma che passi attraverso una nuova concezione del lavoro e della produzione industriale. La terza figura di spicco del primo Werkbund è Henri van de Velde, impegnato da tempo a elaborare un “nuovo stile” consono all’era della macchina. Un ruolo poi del tutto privilegiato è assegnato a Peter Behrens, che con la sua attività di consulente artistico per il colosso tedesco dell’elettricità, la AEG (Allgemeine Elektrizitäts-Gemeinschaft), costituisce il modello della figura auspicata dal Werkbund.
Arti e mestieri
Il Werkbund non emerge dal nulla. Più ancora che con il movimento Arts and Crafts, intrattiene forti rapporti con coevi movimenti tedeschi, come quello dell’Handwerk e il Dürerbund di Avenarius, il Bund Heimatschutz e il Movimento per l’educazione artistica di Alfred Lichtwark. Con questi, il Werkbund condivide l’interesse per l’artigianato, per le arti applicate e per l’educazione artistica. Il Werkbund proclama però la necessità di agire sulla produzione industriale. Pressoché bandite le discussioni sull’arte, su cui ampio è il disaccordo, a risultare centrale è, invece, la definizione di strategie operative. E se anche il Werkbund anela alla definizione di uno stile unitario, frutto di una “cultura armoniosa”, la nostalgia della coeva cultura tedesca per la perduta unità estetica e morale muta rapidamente di segno, nel momento in cui si riconosce che essa è recuperabile solo attraverso un incontro con il presente.
Nel giro di pochi anni il Werkbund si diffonde capillarmente sul territorio, imponendosi come un’associazione di grande rilevanza, dai saldi contatti ministeriali e dalla solida situazione finanziaria; a partire dal 1910, poi, in tutta Europa prendono a sorgere associazioni sul modello del Werkbund tedesco. Sin da subito, quest’ultimo propone opuscoli, riviste, pubblicazioni di ampia diffusione e collabora all’allestimento di mostre e alla creazione di musei. Tali attività, compiute per educare i gusti tanto dei commercianti quanto dei consumatori, tentando di destare negli industriali la convinzione di essere gli artefici di una crociata estetica e morale e di creare al contempo un mercato per i prodotti “di qualità”, risultano complementari agli sforzi di riformare il design mutando la figura del designer. Anche sul patriottismo tenta di agire il Werkbund. L’esportazione dei prodotti di qualità consentirebbe alla Germania di effettuare colossali guadagni, di affrancarsi dai gusti stranieri e, pure, di imporre i propri; tutto questo, a patto di una grande armonia sociale, una concordia d’intenti in nome del bene della patria, anche da parte degli operai, finalmente orgogliosi dei frutti dei propri sforzi.
Serialità e creatività: un connubio non facile
Nel 1914, in concomitanza con l’Esposizione di Colonia, con la quale acquista visibilità internazionale, il Werkbund vive la propria prima grande crisi. È una crisi tutta interna, tra la direzione – incarnata da Muthesius – e un’opposizione composta da van de Velde e da alcuni dei giovani emergenti, tra cui Walter Gropius e Bruno Taut. All’insistenza di Muthesius sulla necessità di insistere in direzione della Typisierung e della standardizzazione dei prodotti, si oppone uno strenuo moto di ribellione nei confronti della riduzione dell’artista e dell’intellettuale al ruolo di mero tecnico. In tal modo, a venir posto in discussione è il progetto stesso del Werkbund. La figura del designer, quale tecnico capace di rivestire un ruolo nella catena di produzione in maniera tale da influenzarla dall’interno, viene vista dagli oppositori come una pericolosa rinuncia all’autonomia intellettuale: non come un passaggio di consegne, ma come il definitivo abbandono di uno status. Dopo una tregua momentanea, tra queste due istanze incompatibili s’impone un compromesso. Lo sfondo della crisi è un’esposizione che accoglie una produzione fortemente eterogenea, di qualità disomogenea, ma che riscuote un enorme successo e offre l’opportunità a Gropius, Taut e van de Velde di realizzare opere di grande impatto che, insieme alle stazioni e agli stabilimenti industriali realizzati dai membri del Werkbund negli anni precedenti, sono tra gli apici della coeva architettura tedesca.
Lo scoppio della guerra impone al Werkbund di accantonare il dibattito interno. Per sopravvivere, negli anni di guerra, il Werkbund si schiaccia su una posizione di sostegno incondizionato alla causa patria. In tal modo, trova modo di pubblicare il Deutsches Warenbuch, un elenco di prodotti di qualità reperibili in negozi selezionati, e di collaborare a una commissione per la definizione degli standard produttivi, il Normenauschuss der deutschen Industrie. Nel clima rivoluzionario del dopoguerra, la dirigenza del Werkbund si trova accusata soprattutto dai giovani di essersi appiattita su posizioni nazionalistiche e di essersi lasciata coinvolgere in operazioni assai dubbie, come il concorso per la Casa dell’Amicizia di Costantinopoli. A essere chiamata in causa è poi nuovamente l’alleanza con l’industria, individuata ora come colpevole, o perlomeno alleata, del conflitto. Nel 1919 Gropius, che insieme a Taut dirige l’Arbeitsrat für Kunst, dichiara: “Io considero il Werkbund morto e sepolto”.
Le divergenze politiche si fanno manifeste. I dubbi sul futuro e sul ruolo dell’industria nella civiltà, posti dai giovani infiammati dalla rivoluzione, producono ampie fratture nel fronte del Werkbund. La crisi economica fa il resto. Pur attraversato da fortissime tensioni, il Werkbund però non si spacca. In parte riesce addirittura a esercitare una certa influenza sugli indirizzi governativi: su sua iniziativa, si crea un ufficio responsabile di ogni aspetto della politica artistica, il Reichskunstwart, per la cui dirigenza viene eletto un membro del Werkbund, Edwin Redslob. Nel frattempo Arbeitsrat e Novembergruppe perdono di vigore, l’entusiasmo politico scema, e gli oppositori rientrano. I giovani e il Werkbund hanno bisogno reciproco. A uscirne è ancora una volta un compromesso.
Una istituzione
Quando si assesta l’inflazione, il Werkbund riprende un ruolo di primo piano nella vita culturale tedesca. A partire dal 1923, si ritrova compatto nel riaffermare l’ineludibilità di un’“alleanza” tra arte e industria, e può iniziare la propria scalata, che coincide con un cambio di dirigenza e con la definizione di una netta linea di azione. Nel comitato esecutivo entrano i giovani architetti, passati in parte per la fase rivoluzionaria: Ludwig Mies van der Rohe, Hans Scharoun, Hugo Häring, Adolph Rading, Ludwig Hilberseimer e ancora Gropius. Nel 1926 Mies viene nominato vicepresidente dell’associazione, e l’architettura dichiarata la base del suo programma. Al contempo, si rafforzano i rapporti con il governo socialdemocratico. La rivista ufficiale, “Die Form”, s’impone come una delle più influenti. Vengono organizzate grandi mostre, come Form ohne Ornament, nel 1924, Die Wohnung, nel 1927, in occasione della quale viene realizzato il quartiere sperimentale del Weißenhof, cui partecipano molti dei più noti architetti del Werkbund e di tutta Europa, e Wohnung und Werkraum, nel 1929.
A minare il successo, vi sono le critiche rivolte alle iniziative del Werkbund, accusate da destra di internazionalismo e di culto della macchina, e da sinistra di formalismo. Anche i frutti più maturi del Werkbund sono tuttavia più ambigui di quanto le critiche colgano; sotto la patina omogenea continuano ad annidarsi istanze irriducibili. Ciò nonostante, il Werkbund viene sempre più identificato con il Neues Bauen. E quando, dopo la crisi economica del 1929, il clima politico si polarizza e sposta verso destra, tale identificazione si rivela letale: il Werkbund si trova esposto alle critiche di “bolscevismo culturale”.
Il Werkbund tenta di sventare le minacce con una politica conciliante. Ma ormai tutto è vano: troppo ampio è il fronte opposto che, nel caso migliore, riconosce nel Werkbund un organo al servizio dell’odiato governo socialdemocratico. La grande mostra, programmata da anni, sulla Neue Zeit, che avrebbe dovuto esprimere la fiducia in un futuro pacificato sotto l’egida della macchina, salta. La situazione, già critica, precipita nel 1933, con la vittoria elettorale dei nazionalsocialisti. A questo punto, la resistenza del Werkbund è risibile. Il Werkbund – che, del resto, è un’associazione che costitutivamente non può stare dalla parte dell’opposizione: deve agire dall’interno – tenta di stabilire ancora una volta un contatto privilegiato con il governo, nella vana speranza di sopravvivere nella mutata situazione politica; l’unica alternativa sembra l’immediato scioglimento. Nei confronti dei nazisti, il Werkbund si permette così di sperare: concede, negli auspici, per ottenere. Non più di una settimana dopo le elezioni, Jäckh si reca a colloquio con il führer. Poco dopo, il Werkbund vota quasi all’unanimità la propria Gleichschaltung. Direttori del Werkbund vengono nominati due nazisti di provata fiducia, Lörcher e Wendland, che procedono in tempi rapidissimi a epurarlo e a trasformarlo in un’appendice governativa sempre più marginale. Il Werkbund si è consegnato nelle mani dei nazionalsocialisti.
Se come associazione il Werkbund presto scompare, molti dei suoi membri acquisiscono ruoli di primo piano nel terzo Reich. Paul Troost, Wilhelm Kreis, Paul Bonatz e Peter Behrens rimangono nell’Olimpo dell’architettura tedesca; e, dei loro colleghi, quelli che restano nell’ombra o espatriano lo fanno nella quasi totalità dei casi per l’impossibilità di trovar lavoro.