DHARMA
. È uno dei vocaboli di più vasto significato nella cultura dell'India. Il senso fondamentale si suole indicare così: "ciò che sta fermo, che è fisso e stabilito"; meglio forse sarebbe: "ciò che regge o sostiene". Esso designa la legge religiosa e morale e i relativi precetti; e poiché la concezione giuridica si accompagna nell'India, come dovunque altrove in questo o quel momento storico, con la concezione etica e religiosa, il termine viene a significare l'insieme delle norme che reggono la vita di un dato gruppo e ne costituiscono il codice. Siffatte raccolte sono perciò di carattere in pari tempo religioso e civile. Si sogliono distinguere in due categorie: i dharmasūtra e i dharmaśāstra (v.): i primi, più antichi e redatti in forma prevalentemente aforistica, passano per essere i manuali proprî di determinate scuole sacerdotali; i secondi invece, stesi in versi, sono posteriori e forse derivati da quelli, e sono destinati a tutti i membri delle prime tre caste della società indo-aria. La materia appare nei due gruppi alquanto diversa, perché le norme di diritto vero e proprio, che nei sūtra sono in misura minore, prendono nei śāstra uno sviluppo più notevole. Secondo il Mānava-dharmaśāstra (Codice di Manu) la materia giuridica comprende diciotto titoli; ma solo una quarta parte circa del testo vi è dedicata, mentre il rimanente contiene norme riguardanti i doveri religiosi, sociali, ecc., i diversi riti che devono essere compiuti da ogni membro delle caste superiori, gli obblighi del paterfamilias, il matrimonio, le cerimonie religiose quotidiane, precetti per lo studio dei Veda, prescrizioni sui cibi ammessi o vietati, la vita degli eremiti e degli asceti, i doveri del re, compresa l'arte di governo e la politica in genere. Considerato nel suo insieme, il dharma, e quindi il contenuto dei dharmaśāstra, si può dividere in tre sezioni, secondo la partizione sistematica di Yajñavalkya: 1. riti e doveri religiosi (ācāra); 2. giurisprudenza (vyavahāra); 3. peccati e modo di purificarsene (prāyaścitta).
Secondo i trattatisti indiani, le fonti del dharma sono di tre specie: la rivelazione, ossia il Veda (śruti), la tradizione (smṛti), l'insegnamento e l'esempio degli uomini di buona condotta. Per quanto riguarda le disposizioni più propriamente giuridiche, si trovano spesso ricordate norme particolari di date regioni o di determinati gruppi, onde si può ritenere che il diritto consuetudinario fosse riconosciuto e tenuto presente. Fra i dharmasūtra si possono ricordare i seguenti: Āpastambīya-dharmasūtra (forse del V o IV sec. a. C.), Bauddhāyana-dharmasūtra, Gautamīya-dharmasūtra, Vaikhānasa-dharmasūtra, ecc. I dharmaśāstra, chiamati anche smṛti, finirono col diventare i codici correnti, e sono oggi ancora studiati e in certa misura seguiti: va in primo luogo ricordato il Mānava-dharmasāśtra, noto in Occidente come il "Codice di Manu", la trattazione più popolare e più diffusa del dharma (sec. II a. C.-sec. II d. C.); la Yajñavalkya-smṛti (non posteriore al sec. III o IV d. C.), notevole per la trattazione sistematica della materia; la Nārada-smṛti (forse non anteriore al sec. IV d. C.), singolare perché tratta esclusivamente di materia giuridica. Come figura mitologica, Dharma è il Dio della giustizia. Nel linguaggio etico-religioso, dharma indica la virtù, il merito religioso e morale: il suo contrario è adharma, e tutti e due insieme finiscono col determinare, con un processo sottilmente analizzato nei testi filosofici, le varie nascite successive dell'individuo. Per il valore del termine nella letteratura buddhistica, v. dhamma.
Bibl.: J. Jolly, Recht und Sitte (Grundriss der indo-ar. Phil. und Altert., II, 8), Strasburgo 1896. I principali testi di dharma furono tradotti, con pregevolissime introduzioni, da G. Bühler e J. Jolly nei Sacred Books of the East, editi da F. M. Müller: II e XIV, The sacred Laws of the Aryas, trad. G. Bühler (parte I, Āpastamba and Gautama; parte II, Vasiṣṭha and audhāyana); VII, The institutes of Vishṇu, trad. J. Jolly; XXV: Manu, trad. G. Bühler; XXXIII, The minor Law Bookes, trad. J. Jolly.