DI BIANCHI (de Bianchi, Bianchi), Giovanni Battista
Nacque da Ambrogio nel 1520 (?) a Saltrio (Varese). Non si conosce nulla sulla sua giovinezza e sulla sua formazione. Come risulta dal testamento e dall'iscrizione sepolcrale, il D. si sposò con una Camilla ed ebbe due figlie, Livia e Tuzia.
Si trasferì a Roma verosimilmente prima del 1560. Nell'agosto di quell'anno egli compare come testimone ed esperto in antichità nella causa intentata dall'orafo e antiquario Vincenzo Mantovano contro il suo socio Giuseppe Della Porta (Bertolotti, 1881, I, pp. 163 s.): è indicato come "mediolanensis sculptor in urbe ad S. Valentianum", dove possedeva anche una casa.
Il D. lavorò come scultore di casa al servizio del cardinale Alessandro Farnese; di lui non si ricordano altre attività, con la sola eccezione di qualche piccolo incarico come esperto d'arte: è documentato al servizio del Farnese dal 1564. I libri dei conti del cardinale, conservati nell'Archivio di Stato di Napoli, ricordano "Giovanni Battista scultore" o "Battista scultore" come destinatario di uno stipendio regolare di 8 scudi al mese. La scarsa documentazione di questo periodo si spiega con il fatto che il D. era membro della bottega di Guglielmo Della Porta e non aveva ancora una posizione di responsabilità.
Un Ermafrodito, acquistato con altri pezzi antichi nel 1574 da Marcantonio Palosi, è citato nel 1576 come "bella statua et benissimo restaurata" (Riebesell, 1989, p. 62). Che il restauratore fosse il D. si evince indirettamente da una sua lettera del 5 apr. 1590 (Partridge, 1971, p. 486), nella quale egli, in qualità di "statuario della Illuss.ma Casa Farnese", fornisce testimomanza sulla compravendita di statue per la quale la figlia del Palosi, Licinia, cercava di riscuotere la somma che ancora le spettava. Si tratta di una lettera autografa da lui firmata con il nome per esteso che, insieme con altre due, consente di attribuire al D. con certezza altre lettere firmate soltanto "Giovanni Battista scultore" e attesta che si tratta del D. scultore di casa Farnese e non del suo contemporaneo Giovanni Battista Della Porta, con il quale egli è stato spesso confuso dalla storiografia.
Oltre che come restauratore di sculture antiche, il D. fu attivo anche per la decorazione della villa Farnese a Caprarola. Dalle notizie in nostro possesso sappiamo che i lavori venivano eseguiti nell'officina romana e di lì trasportati a Caprarola.
Sono state attribuite al D. le sculture in marmo e le integrazioni di pezzi antichi per la fontana della sala d'Ercole terminata nel novembre del 1573 (Partridge, 1971). Tra le sculture è considerato antico il frammentario Fanciullo con l'oca, mentre il Cupido dormiente è ritenuto una copia tratta da un famoso prototipo antico della collezione di Isabella d'Este. I Putti che reggono urne sono considerati copie cinquecentesche dal modello della collezione Cesi, ma l'infelice montaggio del tubo di piombo indica un reimpiego di queste sculture, che probabilmente erano appartenute al più antico nucleo della collezione del cardinale nella Cancelleria.
Delle quattro statue femminili in peperino, che erano collocate alla fine dei due ponti che uniscono rispettivamente la stanza dei Lanefici e la stanza dei Giudizi ai giardini inferiori, sono attribuibili al D. perlomeno le teste. Come si desume dalle descrizioni contemporanee della villa (in particolare da quella di Fabio Arditio, 1578), su di esse erano installate delle meridiane. Secondo la notizia di Alessandro Rufino del 25 sett. 1576, le teste furono trasportate a Caprarola sotto la sorveglianza di "Giovanni Battista scultore" (Partridge, 1971, p. 482). Dovevano seguire altre "teste". Con queste ultime sono da intendersi verosimilmente i busti dei dodici Imperatori, che furono collocati nelle nicchie sotto il loggiato del cortile al piano nobile, tra il dicembre del 1575 e il giugno del 1581. Nel 1741 si trovavano ancora in situ ed è probabile che più tardi siano state riportate nel palazzo Farnese a Roma (Balducci, 1910, p. 69), dove tuttavia non sono più state rintracciate.
Nel 1578 il D. fece il mascherone marmoreo per il centro del cortile circolare, le cui aperture erano utilizzate per la raccolta delle acque piovane. In una lettera del 23 luglio 1578 il D. comunicava al cardinale che il trasporto a Caprarola era imminente (Partridge, 1971, p. 485).
Il D. era impegnato principalmente nell'officina di restauro dei Farnese, dove sembra aver preso il posto di Guglielmo Della Porta, morto nel 1577. Al pari di questo, ebbe casa in via Giulia, nei pressi di ponte Sisto.
Nell'agosto del 1579 completò per Caprarola un'antica statua, oggi perduta, di Leda, del tipo della Leda di Timoteo, che venne utilizzata come statua di fontana. Fulvio Orsini progettò la disposizione nel "laghetto della fontana rustica" di questa statua insieme con un'altra, che le faceva da pendant, proveniente dall'antica collezione del cardinal Borromeo (Robertson, The artistic patronage...). Tale restauro è documentato con certezza da due lettere autografe del Di Bianchi.
Ma il suo incarico più importante fu il restauro del Toro Farnese, terminato nel 1579 (Ruesch, 1911, n. 260), che seguiva ad un precedente restauro verosimilmente eseguito da Guglielmo Della Porta.
Il gruppo del Toro era venuto alla luce nel 1545 negli scavi delle terme di Caracalla, ma esso era in condizioni tali da risultare del tutto irriconoscibile, tanto che in un primo momento si pensò addirittura che si trattasse di un Ercole con il toro. Le integrazioni del D. sono documentate da un'incisione di Roberto di Borgo San Sepolcro, dalla quale risulta anche, per la prima volta, la giusta interpretazione del gruppo come la punizione di Dirce da parte di Anfione e Zeto, in concordanza con il passo di Plinio. L'avvenuto riconoscimento del soggetto spiega perché siano stati fatti due restauri uno dopo l'altro in un così breve spazio di tempo. Le più importanti integrazioni alle figure attribuite al D., in gran parte ancora oggi conservate, sono la testa di Zeto, derivata da un ritratto di Caracalla, le sue braccia e le sue gambe, l'intera parte superiore del corpo di Dirce, testa braccia e gambe di Anfione, ed inoltre la testa di Antiope, il suo braccio destro, la parte inferiore del braccio sinistro con la lancia, la parte inferiore del braccio destro del Genio seduto in basso e il cane.
La composizione originale può essere ricostruita con l'aiuto di alcuni cammei e monete. La maggior parte di queste rappresentazioni mostra Zeto intento ad afferrare per i capelli Dirce, che giace a terra già avvolta da una fune, per legarla alle corna del toro; Anfione tenta di tenere fermo l'animale infuriato prendendolo dal muso e dalle corna. Il momento dell'azione rappresentato è l'ultimo istante prima che si consumi definitivamente il dramma.
Il D. non conosceva o, comunque, non tenne presenti queste fonti iconografiche: nella sua integrazione, infatti, Zeto è anche impegnato a frenare il toro, mentre Dirce non è ancora legata ed ha perciò ancora la possibilità di fuggire. Nonostante la posizione del busto e delle braccia di Dirce indichi che questa tenta di proteggersi dai calci del toro, il suo volto non è quasi affatto spaventato. È anche arbitraria la lancia nella mano di Antiope, che non aveva parte attiva nella punizione.
Il cardinale Alessandro "lasciò numero infinito di fragmenti di varie statue per le quali teneva un scultore stipendiato di scudi 20 il mese, con spesa per essa et un servitore, il quale ha ristaurato numero grande di statue, delle quale molte apaiano nello sopranominato Palazzo Farnese, oltre la superbissima mole del toro" (Riebesell, 1989, p. 59). Da questa notizia fornita dal maggiordomo Tiburtio Burtio si deduce che il restauratore del Toro si trovava al servizio dei Farnese con uno stipendio fisso e aveva restaurato numerose statue della loro collezione. A lui e alla sua bottega possono essere attribuiti perciò i restauri eseguiti in quel tempo.
Per il 1581 sono documentati i restauri di due famose statue di proprietà Farnese: l'Adone e l'Antinoo. Questi due esemplari, restaurati nello stesso periodo, mostrano che nell'officina dei Farnese, sotto la direzione del D., venivano eseguite sia ricostruzioni fedeli all'originale, sia libere integrazioni.
Il torso dell'Adone (Ruesch, 1911, n. 677) è un originale rodio di rosso antico, di cui si trova già notizia nel 1505 in una lettera di fra' Sabba da Castiglione ad Isabella d'Este (Beschi, 1976). Il cardinale Farnese aveva acquistato la statua dalla collezione veneziana Vendramin e il D. completò il torso come "Meleagro", allora erroneamente interpretato come Adone.
L'Antinoo Farnese (Ruesch, 1911, n. 983) è tra i pezzi più ammirati della collezione e, dopo il 1600, fece parte dell'arredo della galleria Carracci. Il suo restauro è documentato in un'incisione di Pietro Aquila del 1674. È particolarmente vistoso il completamento del braccio destro che non corrisponde all'antica composizione, con l'articolazione piegata della mano, che con probabilità teneva un recipiente. Il restauro, tuttavia, fece scalpore per il fatto che poté essere adattata alla statua una testa antica, molto probabilmente l'originale, che, sebbene fosse già conosciuta intorno al 1520 a Roma in ambiente raffaellesco, fu acquistata dal cardinale Farnese dall'eredità padovana del Bembo (Riebesell, 1989, pp. 62 ss.).
Da una lettera autografa dell'11 ag. 1583 risulta che il D. era responsabile del deposito di antichità di casa Farnese, da cui il papa Gregorio XIII richiedeva due colonne (ibid.).
Nel 1585 egli valutò, per incarico del cardinale, una collezione di antichità (di un "signor Iacomo") e cercò di procurare una certa statua per Caprarola (Benedetti, 1969). Lavorò come esperto anche per Sisto V: il 27 luglio 1589 Domenico Fontana, per incarico del papa, gli affidò il compito di valutare il rilievo della Storia di Giosuè di Flaminio Vacca e Pier Paolo Olivieri per la fontana dell'acqua Felice (Bertolotti, 1881, I, p. 224); insieme con Silla Longhi il D. stimò, inoltre, il rilievo di Aronne eseguito da Giovanni Battista Della Porta per la stessa fontana (ibid., I, pp. 221, 224).
Il 10 febbr. 1587 furono inventariate le antichità di proprietà dei Medici, che il cardinale Alessandro aveva ereditato dalla cognata Margherita d'Austria. Le 20 statue non ancora completate furono consegnate a "messer Giovanni Battista scultore di casa" e portate nell'officina di restauro dei Farnese dietro il palazzo (Riebesell, 1989, p. 41), dove furono restaurate negli anni successivi.
Tra queste si trovavano, in particolare, i due tirannicidi Armodio e Aristogitone (Ruesch, 1911, nn. 103, 104) e due altre statue di guerrieri (ibid., nn. 107, 112), che insieme con una quinta e una sesta statua dovevano essere raggruppate come "pugna antica delli Horatij et Curatij". L'unione di queste statue, che in origine non costituivano un gruppo, derivò, secondo la notizia di Tiburtio Burtio, dalla necessità di creare un pendant al ToroFarnese da ricomporre come fontana. Le due fontane dovevano essere collocate al centro di ciascuna delle due metà del giardino di palazzo Farnese, rispettivamente a destra e a sinistra della linea mediana in modo da consentire la vista sull'asse che si protendeva dall'andito, attraverso il palazzo, sul ponte progettato da Michelangelo, fino ai giardini Farnese in Trastevere (Riebesell, 1989, pp. 60 ss.).
Ma questo progetto non venne più realizzato per la morte del cardinale Alessandro. Il D. realizzò, comunque, il gruppo della battaglia, che di fatto al tempo del cardinale Odoardo si trovava nel salone del palazzo.
Dopo la morte del cardinale Alessandro nel 1589 il D. continuò a rimanere al servizio dei Farnese e lavorò per il cardinale Odoardo, come risulta da una lettera con cui Fulvio Orsini, il 22 sett. 1593, comunicava al cardinale le conclusioni della discussione avuta con "Giovanni Battista mastro" sul restauro da farsi delle statue acquistate dalla collezione Cesarini (Riebesell, 1988, pp. 381 s.). Il D. può perciò essere considerato come uno dei primi esempi di restauratore professionista, in quanto per tutta la vita esercitò quasi esclusivamente questa attività.
Il 27 nov. 1597 il D. fece testamento, nel quale sono ricordate le due figlie, Livia e Tuzia (Bertolotti, 1881, I, pp. 224 s.). Quest'ultima, erede universale, ereditava la casa nelle vicinanze della chiesa di S. Valentino, mentre la casa a ponte Sisto andò alla nipote Lucrezia. Fece di nuovo testamento sei giorni prima della morte l'8 dic. 1600 (ibid., II, pp. 102 s.).
Morì il 14 dic. 1600 a Roma. Fu sepolto, come aveva disposto nel testamento, nella chiesa di S. Maria dell'Orazione e Morte in via Giulia vicino alla moglie morta precedentemente (Bertolotti, 1883).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Contabilità del cardinale Alessandro Farnese 1564-1570, 2093, f. 97; 2094, f. 69; 2096, f. 55; 2097, f. 93; U. Aldrovandi, Delle statue antiche, Venezia 1562, pp. 158 s.; G. Vasari, Le vite... [1568], a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1881, pp. 224 s.; F. Arditio, Viaggio di Gregorio XIII alla Madonna della Quercia [1578], in J. A. F. Orbaan, Documenti sul barocco in Roma, Roma 1920, p. 379;Ch. G. Heyne, Irrthümer in Erktärung alter Kunstwerke aus einer fehlerhaften Ergänzung, in Antiquarische Aufsätze, II (1779), pp. 182-224; J. J. Winckelmann, Werke, a cura di C. C. Fernow-H. Meyer-J. Schulze, VII, Leipzig 1817, pp. 190-93; G. Kinkel, Wer hat den farnesischen Stier ergänzt, in Mosaik zur Kunsigeschichte, Berlin 1876, pp. 39-45e passim; A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma..., Milano 1881, I-II, ad Indicem; Id., Giunte agli artisti lombardi, in Arch. stor. lomb., X (1883), pp. 109 s.; G. Sobotka, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, III, Leipzig 1909, p. 58 (sub voce Bianchi, Giovanni Battista); G. Balducci, Il palazzo Farnese in Caprarola..., Roma 1910, p. 69;A. Ruesch, Guida ill. del Museo naz. di Napoli, Napoli 1911, nn. 103, 104, 107, 112, 260, 677, 983; S. Benedetti, Sul giardino grande di Caprarola, in Quaderni dell'Istituto di storia dell'architettura, XVI (1969), p. 40;L. Partridge, The sala d'Ercole at Caprarola, in The Art Bulletin, LIII (1971), pp. 480-486; L. Beschi, Collezioni d'antichità a Venezia ai tempi di Tiziano, in Aquileia nostra, XLVII (1976), pp. 10 s.; Ch. Riebesell, Die Antikensammlung Farnese zur Carracci-Zeit, in Les Carrache et les décors profanes. Actes du Colloque... Ecole française de Rome, 2-4 oct. 1986, Roma 1988, pp. 381 s.; Id., Die Sammlung des Kardinal Alessandro Farnese. Ein "studio" für Künstler und Gelehrte, Weinheim 1989, pp. 41, 59-64; C. Robertson, The artistic patronage of cardinal Alessandro Farnese, in corso di stampa.