DI CAPUA, Giulio Cesare
Nacque dopo il 1355, cadetto di famiglia nobile e potente, da Bartolomeo, secondo conte di Altavilla (attuale Irpinia) e da Andreina Acciaiuoli.
Il padre, che all'attività politica univa quella letteraria (fu egli stesso lirico petrarchesco), aveva sposato (1353) in seconde nozze Andreina - anche lei vedova - sorella di Niccolò Acciaiuoli gran siniscalco del Regno, alla quale il Boccaccio aveva dedicato la seconda stesura del De mulieribus claris.
Oscure sono le vicende della biografia giovanile del D.: certo è che, avviato alla carriera delle armi, si distinse quale condottiero valoroso e autorevole in varie occasioni. Politicamente, in un primo tempo sostenne le pretese degli Angioini della seconda dinastia sul trono di Napoli, seguito in questo atteggiamento dal fratello minore Fabrizio: e del resto anche il padre era stato a lungo, e a varie riprese, ostile al re Carlo III di Durazzo sino ad essere privato dello stato feudale nel 1382 e 1384. Ma dopo il 1386 - nell'ambito delle lotte di successione dinastica sul trono di Napoli inserite nel più vasto grande scisma d'Occidente - il fratello primogenito Luigi, terzo conte di Altavilla e fedele ai Durazzeschi, tentò con successo il recupero alla Corona del frazionato schieramento familiare facendo riavvicinare al nuovo re Ladislao i fratelli, ai quali donò il feudo di Morrone. Nel 1392 il D. e Luigi parteciparono al consiglio regio convocato a Gaeta dalla reggente Margherita, la quale fece annunziare la maggiore età di Ladislao.
La carriera militare del D. si svolse interamente sotto le bandiere di Ladislao, cui rimase pienamente fedele e dal quale fu nominato senescalco, marescalco del Regno ed impiegato in varie operazioni militari e incarichi di rilievo.
Nel 1396 Ladislao, nel corso di alcune rivolte, sottomise il conte di Cerreto e i baroni della Leonessa, tranne il signore di Montesarchio; la terra di quest'ultimo fu conquistata dal D., il quale la ricevette dal re con "privilegio". Tra il 1403 e il 1404 il D. e Pietro Macidono furono nominati tutori di Nicola figlio di Dionisio Pillerio; accusarono poi Nicola di San Flaimondo, conte di Cerreto, di aver derubato la vedova Cobella d'Aquino di beni per un valore complessivo di circa 30.000 fiorini d'oro. L'accusa, rivelatasi infondata dopo l'inquisizione reale, va inquadrata nelle frequenti querele che vedevano spesso i nobili accusarsi a vicenda per motivi di gelosia o livore o vendetta. Nel giugno 1405 il D. ricevette, con Francesco e Berteraimo Boccapianola, in dono dal re il feudo di Pianisi.
Nell'ambito della corte il D. cresceva sempre più di prestigio e di influenza e numerose volte figurò tra i familiari e gli uomini di fiducia del re quale teste in atti ufficiali di grande importanza.
Nel 1404 fu presente agli atti di concessione del principato di Acaia e di vendita del castello di Pizzuto; nel 1405-06 intervenne agli atti di vendita di Mignano, Sesto Campano e altre terre; nel dicembre 1406 all'atto di conferma di Marigliano; nel 1407 anche a quelli di vendita di Ginosa, Roseto e Belcastro e, nel novembre, di concessione del casale di Buonabitacolo.
Nel 1406 ricevette dal re alcuni beni siti in Mesoraca, città che conquistò dopo la ribellione di Nicola Ruffo marchese di Crotone. Furono quelli gli anni che registrarono le maggiori imprese militari del D., nel periodo in cui Ladislao riprese la grande politica di espansione, specie in Italia centrale. Nel 1408 partecipò alla seconda spedizione contro Roma, occupando la città. Nel luglio, su ordine del re, rientrò a Napoli con Perretto De Andreis, conte di Troia, e tutti i propri soldati. Ritornato a Roma, il 29 ottobre accompagnò Paolo Correr, nipote di Gregorio XII, sino a Viterbo. Nel 1409 si spostò in Toscana al seguito di Ladislao, il quale tentava di attaccare Firenze e Siena dopo aver occupato il territorio della Chiesa, le Marche e l'Umbria. Nel maggio l'esercito napoletano fu impegnato ad assediare, inutilmente, la città di Arezzo; il 3 giugno il D. e Perretto De Andreis entrarono alla testa delle truppe in Cortona conquistata con il tradimento. Subito dopo, all'annunzio della ricomparsa in Italia del pretendente Luigi d'Angiò, si spostò verso Montepulciano presso il cui campo assistette il 14 di quel mese alla concessione del titolo di conte di Anglona ad Antonio de Sangro. Mentre i capitani di Ladislao devastavano città e campagne della Toscana, le posizioni durazzesche si rafforzavano anche in Umbria, dove Perugia si consegnò spontaneamente al re, il quale pose il D. a capo di 2.000 cavalieri perugini contro Braccio da Montone.
Ma sotto l'incalzare trionfale dell'esercito di Luigi II che occupava Roma, la conquista napoletana si rivelò effimera. Il D., dopo aver puntato sulla città, si recò in S. Pietro il 12 ottobre, allontanandosene subito dopo a causa della vicinanza di Castel Sant'Angelo, occupato dagli avversari. L'esercito napoletano fu costretto ad abbandonare l'impresa ritirandosi, a scaglioni, verso Napoli; il 22 ottobre rientrò anche il Di Capua.
Nel 1413 fu di nuovo con Ladislao alla terza occupazione di Roma. Il re, dopo aver riorganizzato la città e il territorio conquistati, procedette al conferimento di vari incarichi, nominandolo governatore in Vaticano con il compito specifico di mantenere l'assedio a Castel Sant'Angelo. Nel frattempo, il 22 luglio, occupò, insieme con Giacomo Orsini, Marino, la cui rocca nuova gli si arrese il 12 agosto. Proseguito l'assedio a Castel Sant'Angelo, lo conquistò il 15 novembre decidendo di rinforzarlo con nuove fortificazioni. Dopo anni di guerre, il 22 giugno 1414 in territorio di Assisi veniva firmata tra le parti in lotta, presente anche il D., una nuova pace che non fu pienamente rispettata, anche a causa dell'improvvisa morte di Ladislao il 6 agosto.
L'esercito napoletano rimase in genere fedele alla nuova regina Giovanna II, ma una parte, di fazione angioina, stanca delle lunghe guerre e senza paga, si strinse intorno al D. e ad altri capitani autorevoli (in questi anni il D., con il fratello Fabrizio, comandava 300 lance e 100 soldati per le cui paghe riceveva dal maestro camerario once 924, tari 10, grana 4). Inoltre, un forte malcontento serpeggiava tra i baroni napoletani vistisi relegati in secondo piano, soprattutto dopo l'ascesa del nuovo favorito della regina Pandolfello Piscopo detto Alopo. Anche il D. si schierò contro la regina che non gli aveva dato segno di favore. Si allontanò prima da Napoli battendone la campagna, poi, aderendo al partito del duca d'Angiò, occupò Capua mentre in altre parti del Regno la ribellione divampava e l'autorità regia scemava; all'estero si perdevano le conquiste fatte da Ladislao. Il condottiero Muzio Attendolo Sforza, incaricato dalla regina di domare le rivolte, riconquistò le citta ribelli e sconfisse nel 1415 il D., il quale ritornò di malanimo alla fedeltà regia.
Nell'agosto il D. ed altri baroni accolsero in Puglia il secondo marito della regina, il francese Giacomo II di Borbone conte della Marche, e, mossi da desiderio di rivincita, lo informarono subito della situazione creatasi a corte con lo strapotere di Alopo e dello Sforza. Il D. prima provocò e fece arrestare lo Sforza, poi influenzò il conte nella decisione di mandare a morte Alopo il 1º ottobre. Fu dunque uno dei principali baroni che favorirono l'ascesa del Borbone, il quale, contro i capitoli di nozze che gli avevano assegnato il solo titolo di vicario del Regno e duca di Calabria, esercitava di fatto tutto il potere, dopo aver relegato la regina nelle sue stanze. Per di più il D. si era posto al suo servizio, assediando inutilmente Tricarico, terra infeudata agli sforzeschi.
Quando si vide, insieme con altri dignitari, scavalcato dai Francesi nella concessione degli uffici e delle cariche più importanti del Regno, ferito nell'orgoglio il D. si pose a capo di una congiura. Impulsivamente, e commettendo un grave errore, rivelò alla regina il proposito di uccidere il re e di restituirle l'autorità regia. Ella, sospettosa del D. e temendo eventuali insidie dell'infido marito, sfruttò l'occasione per vendicarsi di colui che riteneva causa delle disgrazie sue e di Alopo, e, per ingraziarsi l'animo del re, gli rivelò tutto facendogli ascoltare, nascosto in camera sua, i particolari della congiura che il D. svelò quando ritornò da lei per la seconda volta. Arrestato, fu giustiziato, a Napoli, insieme al suo segretario, che aveva avviato i primi contatti con la regina, ai primi di gennaio del 1416 (i cronisti fanno oscillare questa data tra il 16 ottobre precedente e il 9 gennaio).
Il D. aveva sposato, in anno imprecisato, Peppa d'Aquino, da cui non ebbe prole; ebbe però un figlio naturale, Gurono, il quale, dopo la sua morte, fu allevato dal fratello Fabrizio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Ricostr. Ang., Armm. 1. c. 8, f. 120; 1. c. 12, f. 477; 1. c. 13, f. 117; 1. c. 22, ff. 94, 203, 597 s., 601; 7.e. LXX, ff. 13r, 15r-17v, 18v, 19v, 22rv, 23v-24r; 7.e.LXXVIII-LXXIX, non num.; Ibid., Mss. Serra di Gerace, V, f. 1659; Napoli, Bibl. naz., mss. IX. C. 14, f. 597; IX. C. 15, ff. 95, 103, 144, 651; IX. C. 16, ff. 249, 252, 390, 400; IX. C. 17, ff. 592 s.; Ibid., Bibl. d. Soc. napolet. di st. patria, mss. XXI. D. 6, f. 126v; XXV. A. 15, ff. 62r, 124, 391v, 428v; B. Cirillo, Annali della città dell'Aquila con l'historie del suo tempo, Roma 1570, pp. 55v, 56v-57r; L. Cribelli, De vita rebusque gestis Sfortiae, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XIX, Mediolani 1731, coll. 663, 665-68, 672 s.; A. de Redusiis de Quero, Chronicon Tarvisinum, ibid., col. 822; J. A. Campano, Braccii Perusini vita et gesta in Rer. Ital. Script., 2 ed., XIX, 4 a cura di R. Valentini, pp. 42 s.; Antonio di Pietro dello Schiavo, Il diario romano, ibid., XXIV, 5, a cura di F. Isoldi, ad Indicem; I Diurnali del duca di Monteleone, ibid., XXI, 5, a cura di M. Manfredi, ad Indicem; G. Passero, Storie in forma di giornali, a cura di V. M. Altobelli-M. M. Vecchioni, Napoli 1785, p. 11; Notar Giacomo, Cronica di Napoli, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845, p. 69; A. De Tummulillis, Notabilia temporum, a cura di C. Corvisieri, Livorno 1890, pp. 15, 18 s.; L. Botta, Una ined. cronachetta degli Sforza [a cura di G. de Blasiis] in Arch. st. delle prov. napolet., XIX (1894), p. 726;Bindino da Travale, La cronaca (1315-1416), a cura di V. Lusini, Firenze 1903, p. 329;B. Corio, Storia di Milano, a cura di A. Morisi Guerra, II, Torino 1978, pp. 1042-45, 1048;Blondi Flavii Historiarum ab inclinatione Romanorum libri XXXI, Basileae 1559, pp. 406 s.; S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, I, Fiorenza 1580, pp. 57, 63 ss., 150; Id., Vita di Giovanna seconda reina di Napoli, in Gli opuscoli, Fiorenza 1583, pp. 157-61; C. De Lellis, Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli, I, Napoli 1654, p. 362;B. Aldimari, Memorie histor. di diverse famiglie nobili..., Napoli 1691, p. 266; J. W. Imhof, Corpus historiae genealogicae Italiae et Hispaniae..., Norimbergae 1702, pp. 238, 243 s.; G. A. Summonte, Historia della città e Regno di Napoli, III, Napoli 1748, pp. 521, 528, 531 s., 534 ss.; A. Di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, in Raccolta di tutti i più rinomati scrittori, a cura di G. Gravier, III, Napoli 1769, pp. 325, 355 s., 361-68; A. Minuti, Vita di Muzio Attendolo Sforza, a cura di G. Porro Lambertenghi, in Miscellanea di storia it., VII (1869), pp. 180, 184-87, 191 s.; B. Candida Gonzaga, Memorie delle fam. nob., VI, Napoli 1883, p. 73; D. De Lello, Istoria del Regno di Napoli dal MXL fino al MCCCCLVIII, a cura di G. de Blasiis, in Arch. st. per le prov. napolet., XVI (1891), pp. 613 s.; G. Mancini, Cortona nel Medio Evo, Firenze 1897, p. 269; N. F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, pp. 22, 31, 36, 39, 43, 49-53, 60-64, 80, 422 s.; P. Collenuccio, Compendio de le istorie del Regno di Napoli, a cura di A. Saviotti, Bari 1929, pp. 228 ss.; É.-G. Léonard, Histoire de Jeanne Ire, Monaco-Paris 1932-37, I, p. 592; III, pp. 54, 506, 558 s.; P. Paschini, Roma nel Rinascimento, Roma 1940, pp. 78, 89 ss.; É-G. Léonard, Gli Angioini di Napoli, Milano 1967, pp. 612 s.; A. Cutolo, Giovanna II…, Novara 1968, ad Indicem; Id., Re Ladislao d'Angiò Durazzo, Napoli 1969, ad Indicem; G. Peyronnet, IDurazzo e Renato d'Angiò, in Storia di Napoli, III, Cava dei Tirreni 1969, pp. 389-92; P. Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli, a cura di A. Marongiu, VI, Milano 1971, pp. 53, 56-59; F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel Medioevo, III, Torino 1973, p. 1778; F. Sabatini, La cultura a Napoli nell'età angioina, in Storia di Napoli, IV, 2, Cava dei Tirreni 1974, pp. 86, 127, 264 n. 279; P. Litta, Le fam. celebri d'Italia, sub voce Acciaioli, tav. III; sub voce D'Aquino di Capua, tav. XVI.