Di donne io vidi una gentile schiera
Questo sonetto, compreso dai più recenti editori fra le rime del tempo della Vita Nuova (ediz. Barbi-Maggini, Rime 263-264, n. LXIX), è conservato nel solo codice Ambrosiano O. 63 Sup. (c. 27b) con l'attribuzione a " Dantes Alegerius ". Da quel manoscritto " assai buono ed autorevole ", come lo riteneva il D'Ancona (cfr. lettera del 17 febbraio 1886 al Lamma, in " Il Propugnatore " cit. in bibl.), fu tratto la prima volta dal Muratori, che lo dette in luce con talune alterazioni del testo, determinate, a suo giudizio, dalla necessità di migliorare in qualche modo le storpiature del senso causate " dall'ignoranza del vecchio copista ".
La lezione muratoriana, seguita dagli editori successivi (edizione veneta del 1731, Fraticelli, Giuliani, ecc.), fu rigettata dal Barbi che, saldo al principio di riprodurre, per quanto possibile, il testo del manoscritto, apportò ad esso solo qualche lieve emendamento, indicando chiaramente i limiti del suo intervento (op. cit., p. 265). Così che fra il testo da lui approntato e quello ormai tradizionale si poterono notare, fra l'altro, alcune varianti, di cui le più notevoli sono le seguenti (precedono, in corsivo, fuori della parentesi, quelle del Barbi): v. 3 imprimiera (primiera); v. 4 veggendosi l'Amor (seco menando Amor); v. 8 guarda', [e vidi] (guardando vidi); v. 9 donava salute (poi dava salute); v. 10 co gli atti suoi (con gli occhi suoi); v. 11 e 'mpiva 'l core (empiendo il core); v. 12 de lo ciel fosse soprana (in ciel nascesse esta soprana); v. 14 là 'nd'è beata (dunque beata).
L'autenticità del componimento, dagli studiosi attribuito senz'altro a D. sul fondamento della didascalia del codice (Witte, Fraticelli, Giuliani, D'Ancona, Zingarelli, ecc.), fu però messa in dubbio - e alla fine negata - dal Lamma (Studi sul Canzoniere di Dante, cit.). Egli, infatti, ascrisse il sonetto fra le rime di assai incerta testimonianza sia per il motivo che esso compare solo in un codice in cui talune poesie assegnate all'Alighieri non sono sue, sia per il fatto che certi suoi versi presentano grandi rassomiglianze con altre liriche del dolce stil novo (coi sonetti, ad esempio, Gentil donzella, di pregio nomata e Io voglio del ver la mia donna laudare del Guinizzelli; e con la ballata Dolc'è il pensier di Lapo Gianni). Il Barbi ritenne prive di " serio fondamento " queste illazioni, e contro l'opinione del Carducci (nota al cap. V 4 della Vita Nuova, ediz. D'Ancona, Pisa 1884, 44) e dello Scherillo (Il nome della Beatrice, cit. in bibl.), che credevano questo sonetto appartenere alle cosette per rima (Vn V 4) scritte per la donna dello schermo, affermò, con precise e convincenti osservazioni, che esso, invece, era stato fatto da D. per esaltare Beatrice, e soprattutto per render manifeste le sue benefiche azioni sul mondo, come appare chiaramente dai versi Credo che de lo ciel fosse soprana, / e venne in terra per nostra salute (vv. 12-13).
Il componimento, invero, fu composto con ogni probabilità in lode di Beatrice, già angelicata, come sembrano attestare, fra l'altro, talune immagini in cui, allo stesso modo che nei sonetti Tanto gentile e Vede perpetuamente (Rime XXII e XXIII), si descrivono, benché in maniera meno elegante e disinvolta, i mirabili effetti determinati dall'apparizione di lei, che, accompagnata da Amore, e simile a uno spirito celeste, dai cui occhi emana una luce divina, consola col saluto chi è degno della sua grazia. La donna che, nella gentile schiera vista dall'Alighieri nella festa dell'Ognissanti, venia quasi imprimiera, cioè avanti alle altre e preminente per dignità e leggiadria, è di certo Beatrice e non Vanna, come pur sostennero taluni sulla base del cap. XXIV della Vita Nuova (Fraticelli, Serafini, Casini, D'Ancona, Zingarelli): altrimenti si devono considerare rivolte all'amata del Cavalcanti le lodi contenute nel sonetto e ammettere che Beatrice, anziché beatificare gli altri con i suoi atti - come si afferma in tante rime dantesche - è, al contrario, beatificata per virtù della compagna a cui è prossimana, cioè vicina. La qual cosa non pare consona allo spirito del componimento, che, come notava rettamente il Barbi, è tutto teso alla " celebrazione delle virtù della donna del poeta " (Rime, cit., p. 267). Il sonetto, quindi, come hanno riconosciuto anche il Contini e il Sapegno, è da riconnettere senza dubbio alle rime di D. in lode della ‛ gloriosa donna de la sua mente '.
Bibl. - L. A. Muratori, Della perfetta poesia italiana, Modena 1706, libro I, 13; E. Lamma, Studi sul Canzoniere di D., in " Il Propugnatore " XIX (1886) 133-141 (con le Giunte e correzioni, ibid. 199); M. Scherillo, Il nome della Beatrice amata da D., Milano 1901 (recens. di M. Barbi, in " Bull. " IX (1901-02) 43-44.