DI FALCO, Paolo Antonio Onofrio
Figlio di Nicola e di Lucrezia Vuovolo, nacque nel 1674 a Napoli e venne battezzato presso la parrocchia di S. Arcangelo degli armieri il 14 maggio dello stesso anno. Dalla documentazione già presente presso l'Archivio storico della curia vescovile di Napoli risulta che nel 1689 ottenne la tonsura, dopo aver portato l'abito di chierico ed aver seguito gli studi di logica presso il collegio dei padri gesuiti. Il De Dominici, infatti, lo ricorda come "degnissimo Sacerdote" e nell'inserirlo tra i discepoli di Francesco Solimena, precisa: "hà molto studiato nella scuola del Solimena, da lui frequentata con assiduità, e con amore, e fu uno de' Discepoli che disegnandosi l'Accademia furon disegnati con i loro ritratti dal Solimena. Egli avanzatosi nella pittura hà fatto varj e molti quadri a particolari persone, e in molti paesi circonvicini alla nostra Napoli vi sono sue pitture...".
L'elenco dei dipinti segnalati dal biografo settecentesco venne successivamente ripreso dal Dalbono (1859), il quale osservava che il pittore "poco per Napoli dipinse in grandi proporzioni", consentendo di collegare l'attività napoletana, ed in particolare i sei Misteri della Passione per la Congregazione del Crocifisso "eretta sotto le scale di S. Paolo Maggiore", alla fase tarda del pittore, dal momento che, come ricorda il De Dominici, ancora nel 1742-45, "per la disgrazia d'una caduta non può troppo prevalersi di sé, dipingendo solamente picciole immagini allo Trepiedi".
Non si conoscono data e luogo di morte del Di Falco.
Dell'altra opera napoletana, la Ss. Trinità per la chiesa dell'arte della lana, ricordata anche dal Sigismondo e dal Galante, non si hanno più notizie, ma è probabile che i primi lavori fossero destinati a centri periferici, ai quali spesso il D. fu legato per la sua attività sacerdotale, come nel caso di Cerreto Sannita (data la sua presenza presso la sede vescovile di Telese prima in qualità di canonico della cattedrale e poi, dal 1697, di diacono).
Proprio la particolare condizione del D. consente sia di verificarne il favorevole accoglimento nell'ambito dell'accademia del Solimena, sia di confermare come all'interno di essa fosse venuto crescendo l'interesse verso una normalizzazione tematica e pittorica della produzione artistica con destinazione ecclesiastica. A giudicare dal maggiore impegno compositivo e soprattutto dall'approfondimento della lezione solimenesca, almeno la Predica di s. Pietro, ricordata dal De Dominici nella parrocchiale di Resina a Pugliano, dovrebbe spettare ad una fase precedente alle tele di Cerreto e cioè al secondo decennio del Settecento.
Nella chiesa di Resina sono comunque del D. anche le tele raffiguranti S. Pietro che battezza Ampellone, la Consegna delle chiavi e la Crocifissione di s. Pietro, oltre ad un Sacrificio della messa, che presenta un'impostazione quale verrà ripresa, nei medesimi termini celebrativi e puristici, nell'omonima tela (1743) di Paolo De Maio per il duomo di Marcianise.
Nei dipinti di Resina l'impronta solimenesca è palese sia nella soluzione iconografica sia nella scelta delle pose dei personaggi, e costanti sono i richiami alle tele del Solimena in S. Maria Donnalbina, oltre che al S. Cristoforo di Monteoliveto (specie per le aperture paesaggistiche) ed al Ratto di Orithia della Galleria Spada di Roma. Ma soprattutto nel S. Pietro che battezza, dove risulta una maggiore larghezza pittorica ed una volontà di recupero dei termini di maggiore equilibrio del naturalismo seicentesco, l'influenza di F. Di Maria affiora in maniera determinante, sicché nella connotazione del santo è ripreso integralmente il S. Pietro del dipinto del Di Maria in S. Maria di Monte Verginella a Napoli, e viene sottoposta a un'intensa indagine luministica la sua solenne struttura corporea. Nella Predica del santo, accanto alla cura piuttosto insistita nella definizione dei contorni, e specialmente dei volti, accompagnati da un marchio chiaroscurale ripetuto e idealizzante, la scelta delle vesti, come degli atteggiamenti degli ascoltatori, introduce in un pacato clima arcadico, di stretta adesione alla produzione figurativa del Solimena della fase primo-settecentesca di distacco dal metro giordanesco-pretiano. Nella Consegna delle chiavi e nella Crocifissione del santo, invece, è maggiore l'incardinamento a schemi disegnativi sostenuti da un'azione luministica ferma e ben controllata, con un notevole risalto corporeo dei protagonisti, al punto che il s. Pietro crocifisso è associabile al S. Andrea crocifisso di Andrea d'Asti per il duomo di Amalfi (1715).
Emerge, in questa fase della produzione del D., una presenza costante quanto rilevante di ritratti di donatori che accompagnano tutte le Storie di s. Pietro e il Sacrificio della messa. Tale aggancio alla ritrattistica di marca solimenesca, con chiare influenze idealizzanti di stampo marattesco, induce a riconsiderare la testimonianza del De Dominici, che andrà riferita agli anni subito successivi al 1734: "Nella venuta che fece in Napoli il nostro clementissimo Re Carlo di Borbone, espose un quadro di grande invenzione, e di gran fatica. Rappresentò in esso la statua del detto Re situata sopra gran piedestallo, e intorno a lui molte Virtù, e con capricciosa invenzione vi aveva introdotte figure armate con attrezzi militari davanti, e altre che scacciavano i vizi, de' quali aveva il Re trionfato, fingendosi inalzata la statua dalle Virtù medesime, e per spiegare la mente del pittore vi erano scritti i seguenti versi: 'Os habitumque aliae Caroli quum Regis adumbrent / Virtutes animumque exhibet haec tabula'". Proprio la precisazione che "mentre le altre raffigurazioni di re Carlo evidenziano i caratteri del volto e dell'abbigliamento, questo dipinto mostra le virtù ed il suo animo" consente di spiegare il successo di tale ritratto (cfr. anche Dalbono).
Dell'attività svolta dal pittore a Cerreto la tela con la Madonna con Bambino e santi della collegiata di S. Martino è l'unica datata: 1727.
Sull'altare maggiore della stessa chiesa è il S. Martino in gloria, ricordato dal De Dominici, in cui la corposa figura del santo ricoperto da un abbondante panneggio a larghe pieghe, se è ripresa dal S. Giovanni Damasceno del Solimena per il duomo di Napoli, permette di verificare il punto di arrivo di una ricerca partita dalla piena aderenza al rigore disegnativo dei lavori del Di Maria, con una particolare attenzione al S. Gregorio Armeno di quest'ultimo per l'omonima chiesa napoletana.
Nella Madonna del rosario, sempre in S. Martino a Cerreto, i modi del Solimena delle tele di S. Maria Egiziaca, confluiti in direzione di C. Maratta, vengono assunti quali termini base di un risalto formale che si unisce a un gioco chiaroscurale modulato sui risultati solimeneschi della tela per la cattedrale di Aversa (1710), richiamata anche per la scelta del basamento cilindrico del trono. Nel concepimento dell'opera il D. appare influenzato anche da opere quali la Madonna del rosario del Solimena per S. Anna a Nocera Inferiore (1728), per la più morbida resa dei panni; e una datazione verso la fine del terzo decennio del secolo sembrerebbe la più idonea per il dipinto di Cerreto.
Nel Purgatorio per S. Maria, sempre a Cerreto, realizzato secondo il De Dominici "con bella invenzione, avendo figurata in gloria la Ss. Trinità, alla quale un Angelo offerisce l'incenso e le Orazioni delli mortali", il pittore rafforza la misura disegnativa di Francesco con specifici ricordi di Angelo Solimena, dalla tela di S. Egidio Montalbino al S. Michele per il soffitto centrale del duomo di Sarno, dove sono presenti le stesse torsioni vigorose e ombreggiate degli ignudi. La figura di sinistra, anzi, dalla folta barba, costituisce un elemento di continuità nella produzione del D. a Cerreto, essendo presente sia nel santo in ginocchio nel dipinto del 1727 per la collegiata, sia nell'altra tela per S. Maria, la Madonna con Bambino e santi, dove il riecheggiamento del Santo vescovo della tela di Angelo Solimena a Gravina, nonché del S. Cirillo di S. Domenico a Solofra, è più che manifesto. In questa tela va molto probabilmente identificato quel S. Riccardo citato dal De Dominici, anche se l'iscrizione relativa alla consacrazione della cappella dedicata a S. Riccardo da parte del vescovo di Telese, Francesco Baccari, nel 1725, indurrebbe ad escludere il trasferimento dell'opera da un'altra chiesa. La S. Irene inviata "nella Città di Taranto" (De Dominici, p. 671) andrà identificata con la tela, firmata, presente presso l'istituto "S. Luigi" di Taranto; l'opera spetta al terzo decennio del secolo per le soluzioni affini al S. Martino e alla Madonna di Cerreto.
Alla produzione del D. è stata agganciata di recente (Sica, 1972) una serie di lunette presenti nel refettorio dei cappuccini di Cerreto Sannita, poste a confronto con un gruppo di sei lunette del convento di S. Andrea a Nocera Inferiore, per le quali è stata proposta l'identificazione con i "sei quadri per la città di Nocera", citati dal De Dominici. La diversità dei due gruppi di tele induce senza dubbio a ritenerli di due distinti autori per ora ignoti: tanto più che nell'intero ciclo di Cerreto sono presenti spiccate influenze del De Mura, non riscontrate finora nel percorso noto del pittore. Il Cristo e la samaritana è estratto puntualmente dal dipinto di F. De Mura al Gesù Nuovo; e così la Cena in Emmaus è anch'essa esemplata sul precedente demuriano dell'omonimo dipinto del College Museum di Wellesley.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de' pittori, scult. ed architetti napoletani, Napoli 1742-45, III, pp. 671 s.; G. Sigismondo, Descriz. della città di Napoli e suoi borghi, Napoli 1788, II, p. 186; C. T. Dalbono, Storia della pittura in Napoli ed in Sicilia dalla fine del '600 a noi, Napoli 1859, pp. 72 s.; G. A. Galante, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1873, p. 303; G. Ceci, Ricordi della vecchia Napoli, Napoli 1892, p. 114; R. Sica, Dipinti del maestro Solimena e dell'allievo don P. D. nel convento dei cappuccini in Nocera Inferiore, in Studi e ricerche francescane, I (1972), pp. 11-34; Id., Dipinti di don P. D. in Cerreto Sannita, ibid., pp. 269-277; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 216 (sub voce Falco, Paolo di); Dizionario encicl. Bolaffi, IV, p. 282 (sub voce Falco, Paolo de).