DI FIORE, Domenico Antonio
Nacque a Napoli nel maggio del 1686 da Franco e Vittoria Ferraiuolo. Questa data, che risulta dai registri della parrocchia napoletana dei Ss. Francesco e Matteo (Lib. X Batt., f. 4 v), contrasta con quella del 1711, riportata dal Bartoli e, quindi, ripresa negli studi successivi, in particolare in quelli del Croce e del Di Giacomo che a Bartoli si riferiscono.
Nel breve paragrafo dedicato al D. F. Bartoli afferma: "Bravo e grazioso Pulcinella, che ne' teatri di Napoli fu sommamente bene accolto, ed applaudito. La sua prontezza nelle risposte, la sua pantomima naturale, e graziosa, e una profonda intelligenza delle Commedie improvvise, furono tutti meriti, che gli acquistarono fama, e riputazione. Lasciò questo comico valoroso le caduche per le celesti felicità nell'anno 1767, avendo dell'età sua oltrepassato il cinquantesimo sesto" (Bartoli, I, p. 217).
Quest'ultima notizia appare poci probabile se si considera che le prime notizie sicure sul D., risalenti al 1738, lo danno come capocomico ormai affermato. Si ritiene quindi verosimile, anche sulla scorta di una attenta ricerca d'archivio condotta dal Prota Giurleo, che il Domenico Antonio Di Fiore battezzato nel maggio del 1686 sia lo stesso Di Fiore che recitava nel 1738 al teatro dei Fiorentini. Il D. risulta essersi sposato, una prima volta, nel 1710: in quella occasione "dichiarò nella Curia arcivescovile di essere "Compositore di Musica"" (Prota Giurleo, 1954, p. 24). Nel 1734 morì la moglie, Giuseppina Lepore e, pochi mesi dopo, sposò una giovane donna, Anna Maria Santangelo. In occasione di questo secondo matrimonio dichiarò, secondo la testimonianza del Prota Giurleo, di essere "Officiale della città" (ibid., p. 25).
Il mutamento di qualifica lascia pensare a una probabile crisi professionale del D. che, senza rinunciare al teatro, aveva deciso di impiegarsi presso il Municipio cittadino per assicurarsi una vecchiaia più sicura, spinto a questo passo anche dalla decadenza della commedia dell'arte, che era stata scalzata dall'opera in musica e doveva contentarsi di una vita randagia tra teatri di fortuna e restrizioni poliziesche.
Gli anni tra il 1710 e il 1734 vengono considerati dal Prota Giurleo significativi, anche in mancanza di notizie certe: "già all'epoca del primo matrimonio..., se non ancora aveva assunto la maschera del Pulcinella, col teatro doveva certamente bazzicare, almeno come "compositore di musica". E poiché era anche poeta in lingua e in dialetto, non è improbabile che egli fosse l'autore della musica e delle parole di quel Redicoluso contrasto de matremmonio mperzona de D. Nicola Pacchesecche e Tolla Cetrulo figlia de Zeza e Polecenella, che si eseguiva ancora, in tempo di carnevale, alla fine dell'800, nei teatrini popolari e nei "casotti" di Napoli, nonché dell'altro Contrasto tra Annuccia e Tolla, zoè La Socra e Nora" (ibid.).
Troviamo quindi il D. nel 1738 al teatro dei Fiorentini nei panni di Pulcinella con una compagnia di attori dialettali che recitavano "all'impronto" nelle sere nelle quali non si davano opere in musica. Accanto a lui figuravano Nicolina Buonanni, prima donna, Margherita Grimaldi, seconda donna, Angiola Testa, servetta, Francesco Gautini, primo amoroso, e Nicola Vitale, secondo amoroso. Oltre ai ruoli del teatro di prosa troviamo alcuni personaggi della commedia dell'arte: il dottor Graziano, interpretato da Pierantonio Gabrieli, Coviello da Ferdinando di Diego e, soprattutto, la maschera di Tartaglia portata al successo da Nicola Cioffo.
Alle rappresentazioni al teatro dei Fiorentini, la compagnia del D. alternava le recite in un sotterraneo al largo del Castello di fronte alla chiesa di S. Giacomo, chiamato la Cantina e posseduto da Tommaso Tomeo che, dopo aver tentato senza successo di allestire un teatro nel 1733, lo aveva rilevato, ingaggiando il D. e i suoi compagni.
A Napoli, oltre alla Cantina, vi era allora solo un altro teatro nel quale si rappresentava la commedia all'improvviso: si trattava di uno spazio all'aperto nei pressi di porta Capuana, denominato Giardiniello, dove era possibile recitare solo fino all'8 settembre. Le condizioni di vita dei comici erano tutt'altro che rosee se si dà credito alla relazione fatta nel 1740 dall'uditore dell'esercito, don Erasmo de Ulloa, al re: "I comici ... sono in estremo miserabili e fanno tal vile professione solamente per vivere, non lucrandosi se non che poche grana al giorno per ciascheduno, le quali qualora le mancano si riducono in una strettezza che fa compassione ..." (Di Giacomo, p. 85). Si tratta probabilmente di un quadro eccessivamente pessimistico, se si considera che, nel 1738, in occasione delle nozze tra Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia era stata allestita nei pressi del Castello una fiera e che nel 1740 Giovanni Brancaccio aveva edificato a poche centinaia di metri dalla Cantina un nuovo teatro in legno, fornito di ricchi scenari, di illuminazione e di tre ordini di sedili: il S. Carlino.
La concorrenza del Brancaccio obbligò Tomeo a chiudere il suo teatro e a disfarsi della compagnia che calcò, nell'estate del '40, le assi del Giardiniello. Presentava variazioni di rilievo nella sua composizione: la prima donna era Agata Ciavariello, la seconda Margherita Callegara, la servetta Maddalena Reganiello , il primo amoroso Francesco Barese e il secondo Domenico David. Rimanevano invece con il D. il Cioffo, il Diego e il Fusco. In seguito alle proteste dei comici e alle richieste di don Erasmo de Ulloa, il S. Carlino venne chiuso per alcuni mesi; ma il Brancaccio fece ricorso e, nell'autunno del 1740, poté dare il suo teatro in gestione a Francesco d'Amato e iniziare la stagione. Probabilmente l'anno successivo, il d'Amato scritturò la compagnia del D., ad eccezione di Francesco Barese che passò alla Cantina, nel frattempo riaperta, in veste di Pulcinella.
Al S. Carlino il D. riscosse un grande successo e divenne "re d'una baracca da cui le carte dell'Udienza rifuggivano sdegnosamente" (Di Giacomo, p. 86). Mentre non si sa quasi nulla della sua attività di comico dell'improvvisa, è testimoniata la sua presenza al teatro Nuovo, nel 1742, e al teatro dei Fiorentini nel carnevale del '43. In questa occasione presentò un "divertimento musicale" scritto dallo stesso D. e musicato dal maestro di cappella Antonio d'Aquino (sotto lo pseudonimo di "Signor Non-si-sa"): Il Nerone detronato osia Il trionfo di Sergio Galba. In questa parodia il D. appariva per la prima volta nel ruolo di Pulcinella Cetrulo, come cantante buffo, accompagnato dallo stesso d'Aquino nei panni di Coviello Ciavola. L'anno seguente tornò al teatro dei Fiorentini con Bajazzet in gabbia overo Il Tamerlano in trionfo, scritto ancora una volta dal D. in collaborazione con il d'Aquino, che si coprì con lo pseudonimo di Coviello Ciavola. Nel 1745 il D. si limitò a cantare nella compagnia del teatro Nuovo e, nel 1746, presentò, sempre al Nuovo, un rifacimento del Bajazzet dal titolo Fra lo sdegno nasce l'amore.
Questa volta sul libretto della commedia sono citati sia gli autori - e il d'Aquino firma questa volta con il suo vero nome - sia gli interpreti: il D., Bajazzette; Pietro Grati, Tamerlano; Francesco Massaro, Andronico; Nicola Cioffo, Rambaldo; Anna Cavallucci, Asteria; Girolama Grati, Irene.
Nel 1747 il D. scrisse un altro libretto per la musica di Gregorio Sciroli, Capitan Giancocozza, rappresentato al teatro dei Fiorentini nel carnevale con il D. come protagonista e il d'Aquino nella parte di Fonzo. Fu quindi al Nuovo, preso a nolo per "opere burlesche" dal D., che aveva lasciato il teatro dei Fiorentini dopo che Diego Tufarelli, impresario del teatro S. Carlo, aveva fatto arrestare il d'Aquino per una satira ai suoi danni. La vicenda non tardò a coinvolgere anche il D. che, perseguitato dal Tufarelli e dalla polizia, fu costretto a riparare al S. Carlino. Qui continuò a lavorare ininterrottamente fino al 1754: in una dichiarazione compiuta M quell'anno da Giovanni Brancaccio e dai suoi comici si afferma che da quattordici anni la compagnia era attiva nella "piazza del real castello nuovo".
Tra i firmatari della lettera troviamo, oltre al D., Nicola Cioffò, Onofrio Mazza, Gennaro Arienzo e Francesco Trivelli.
Di questi anni si sa ben poco: nell'aprile del 1749 Domenico Argenzio Masera, impresario teatrale, noto per aver organizzato sacre rappresentazioni e, in particolare, uno spettacolo dedicato alla vita di S. Eustachio e allestito nei pressi del monastero di S. Giorgio Maggiore in occasione della Pasqua del 1748, chiese il permesso di costruire un teatrino di fronte alla Pietra del pesce, nel quale avrebbe fatto recitare il D. "o altra compagnia di stregoni per lo spazio di quattro o al più cinque mesi d'està calorosa" (Di Giacomo, p. 87). A due anni di distanza, nel giugno del 1751, il Masera, che non era riuscito a realizzare il precedente progetto, inviò una petizione al re, con la richiesta di realizzare un nuovo teatro, questa volta "sopra una loggia del Mandrone sito alla Zavatteria, per tre mesi d'està, per potersi divertire i convicini all'aria fresca d'està, allo scoverto, con le solite burlette di Domenicantonio di Fiore" (ibid.).
Il ricorrere in queste due lettere del nome del D. testimonia indirettamente la fama da lui conquistata come Pulcinella del S. Carlino (le sue "burlette" erano divenute sinonimo di commedia dell'arte) e la stima di cui godeva tra i comici in quanto compositore di opere in musica e cantante, due doti queste che gli conferivano una certa superiorità rispetto agli altri "stregoni". Queste caratteristiche gli permisero di portare al successo la figura del Pulcinella musicale, in una fase di grande decadenza della commedia dell'arte. La commistione tra opera buffa e maschere non era certo nuova agli inizi del '700: il capitano, Coviello, il notaro erano figure usuali negli spettacoli del Nuovo o del teatro dei Fiorentini e anche la maschera del Pulcinella era comparsa in uno spettacolo del Saddumene, Il paglietta, rappresentato al Nuovo nel 1726; ma per la prima volta con il D. un'opera buffa era composta e recitata da un istrione e veniva implicitamente negata ogni gerarchia tra i due generi di spettacolo.
Non abbiamo invece notizie sulla caratterizzazione del suo Pulcinella, anche se lo stile fece scuola, tanto è vero che dalla sua compagnia uscirono attori di successo; oltre al Cioffò recitarono infatti con il D. F. Barese, che è poi testimoniato, nel 1761 e nel 1769, nel ruolo di Pulcinella, e il Massaro, che creò il personaggio di don Fastidio e recitò nelle commedie del Cerlone.
A partire dal 1754 non si hanno più notizie sul D., che, secondo il poco attendibile Bartoli, sarebbe morto a Napoli nel 1767.
I libretti delle sue opere sono conservati presso la Biblioteca del Conservatorio di musica di Napoli.
Fonti e Bibl.: F. Bartoli, Notizie istor. de' comici italiani, I, Padova 1782, p. 217; F. Florimo, La scuola musicale di Napoli, Napoli 1881, pp. 54, 116; M. Scherillo, La Commedia dell'arte in Italia, Firenze-Roma 1884, pp. 39 s.; B. Croce, I teatri di Napoli. Dal Rinascimento alla fine del secolo decimottavo, Bari 1891, pp. 388 ss., 452; S. Di Giacomo, Cronache del teatro S. Carlino, Napoli 1891, pp. 83-89, 112 ss., 329; A. G. Bragaglia, Pulcinella, Roma 1953, p. 560; U. Prota Giurleo, Un grande Pulcinella musicale, in Nostro tempo, III (1954), 10-11, pp. 24 ss.; V. Viviani, Storia del teatro napoletano, Napoli 1969, pp. 392 ss.; L. Rasi, I comici ital., I, Firenze 1897, p. 888; N. Leonelli, Attori tragici, attori comici, I, Milano 1940, p. 302; F. Melisi, Catalogo dei libretti d'opera in musica dei secoli XVII e XVIII, Napoli 1985, pp. 56, 82, 118, 168; Enc. d. spettacolo, IV, col. 690.