DI NEGRO PASQUA, Simone
Nacque, probabilmente a Genova, il 18 nov. 1492, gemello di Stefano, da Galeazzo Pasqua e Pellegrina Stella.
I Pasqua, originari di Taggia nella Riviera di Ponente, si erano trasferiti a Genova all'inizio del XV sec. (nel 1434 secondo il Grillo) e, in pochi anni, erano riusciti ad inserirsi brillantemente nell'attività politico-economica della capitale e a divenire grandi azionisti del Banco di S. Giorgio. Negli ultimi anni del secolo il nonno del D., Guglielmo, e gli zii Michele e Ambrogio figurano con il padre del D. tra gli artefici ghibellini; Galeazzo venne anche eletto nel 1503 ufficiale di Mercanzia.
Il D. ricevette una educazione raffinata: filosofia (alla quale si sarebbe dedicato con profitto fin dall'adolescenza), teologia, greco (di cui sarà stimato profondo conoscitore) e, soprattutto, medicina.
Non sappiamo dove abbia compiuto questi studi: in particolare per la medicina a Genova prima del '700 mancava una vera e propria facoltà, ma aveva grande prestigio il Venerandum Collegium medicorum phisicae, per appartenere al quale era necessario superare un severo esame. Inoltre c'era la scuola dell'ospedale di Pammatone, presso la quale si formarono altri famosi medici genovesi del tempo. Dunque non è da escludere che il D. abbia compiuto a Genova gran parte dei suoi studi, considerata la tradizione medica connessa con specifici interessi umanistici.
Di certo, nel 1528, il D. entrò come uno dei tre consiglieri nel Venerandum Collegium, di cui era allora rettore A. Grillo Cattaneo e consiglieri anche G. Di Negro e F. Doria Riccardi. Nello stesso 1528 il D., con il titolo di magister, fuascritto alla nobiltà genovese nell'"albergo" dei Di Negro, insieme con altri tredici membri della famiglia Pasqua, tra cui il gemello Stefano. Prima che la fama professionale come medico, conseguita anche fuori dei confini di Genova, gli valesse la nomina ad archiatra pontificio, il D., nel 1554, venne impiegato dalla Repubblica come ambasciatore: venne infatti inviato in Inghilterra, insieme con Luca Grimaldi, in occasione del matrimonio di Maria Tudor e di Filippo di Spagna.
In effetti, il D. sostituiva nell'incarico Stefano Sauli, il cui nome risulta cancellato e sostituito con quello del D. sulle istruzioni del 6 giugno 1554 e sui documenti ad esse allegati. Al D. e al Grimaldi si raccomandava di fermarsi ad Anversa prima di passare in Inghilterra per onorare Carlo V e di prendere informazioni e consigli dall'abate Tomaso Di Negro, ambasciatore presso Carlo V, che avrebbe dovuto ottener loro l'udienza imperiale. I due ambasciatori dovevano approfittare dell'occasione per ribadire all'imperatore l'urgenza degli aiuti per la Corsica; quindi, informarsi dai mercanti genovesi di Anversa su mezzi e tempi per il passaggio in Inghilterra e sulle modalità per ottenere l'udienza reale, mancando al governo genovese "exsperientia" in proposito: Dopo i rallegramenti per il matrimonio, di buon auspicio per tutta la Cristianità, i due ambasciatori avrebbero dovuto perorare anche presso Filippo la causa dell'aiuto spagnolo in Corsica; quindi ritornare al più presto possibile ad Anversa presso l'abate Di Negro e attenersi alle sue indicazioni.
In realtà, il D. e il Grimaldi, giunti in Anversa il 10 luglio, non ottennero l'udienza imperiale, poiché monsignor d'Arras aveva comunicato all'abate Di Negro che Carlo V, trovandosi al campo, non riceveva ambasciatori. Salpati il 25 per l'isola, fecero ritorno in Anversa il 20 settembre, portando, dall'udienza con i reali inglesi, generiche promesse di interessamento. Neppure al loro ritorno monsignor d'Arras giudicò opportuna una loro visita a Carlo V, malato di gotta.
Di questa ambasceria il D. lasciò manoscritta una Narratio legationis Britannicae, ancora citata nelle bibliografie seicentesche. Questa ambasceria, anche se non sembra aver avuto esito particolarmente brillante, suggerisce personali rapporti del D. con la corte spagnola (e certo comunque erano intensi quelli della sua famiglia con la Spagna): circostanza che forse non fu estranea alla scelta del D. come archiatra pontificio nel, 1559 da parte del neoeletto Pio IV, desideroso di avvicinare la S. Sede a Filippo II.
Del resto, nel luglio 1560 a Trento fu proprio il D. a giudicare simulata la malattia del cardinal Carlo Carafa (primo atto di un inasprimento delle condizioni di prigionia del cardinale, la cui successiva condanna a morte nel 1561 favorì la ripresa dei buoni rapporti di Pio IV con Filippo Il e con Ferdinando I).
Il 14 febbr. 1561 Pio IV conferì al D. il vescovato di Sarzana e Luni, ed egli dovette trasferirsi nella diocesi per un breve periodo. Ma quando nel 1562 si riaprì la terza e ultima fase del concilio egli era di nuovo a Trento, impegnato attivamente nell'attività assembleare e nella compilazione di alcune note e volumetti. anch'essi citati come manoscritti nelle bibliografie seicentesche.
Si tratta di una Instructio pro patribus Concilii Tridentini, sull'autorità dei vescovi nella propria diocesi, e di un Consilium pro immaculata Virginis Mariae conceptione, quo Sanctorum Patrum antiquorum, tum Grecorum et Latinorum sententiam exponit, in cui dovevano curiosamente fondersi scienza medica e scienza teologica.
Ma fu soprattutto nelle discussioni del 1562 che si rivelò il volto conservatore e rigorosamente curialista del D.: nelle votazioni tanto sul progetto di riforma presentato dal settore anticurialista (per l'abolizione delle sanzioni dei capitoli e dei diritti delle cancellerie vaticane e per l'obbligo di un esame per tutte le prebende comportanti cura d'anime) quanto sui radicali interventi del vescovo Antonio Augustin a favore della abolizione di tutte le tasse, sia nella Curia romana sia nelle diocesi, e della concessione gratuita delle prebende e delle dispense, il D., come vescovo di Sarzana, fu, insieme con il vescovo di Penne, sempre tra i primi a votare a favore delle posizioni della Curia.
Ma era anche sempre pronto a intervenire nella sua qualità di medico: Così il 22 ag. 1562 soccorreva l'arcivescovo di Ragusa, Ludovico Beccatelli, improvvisamente svenuto; tra il gennaio 1562 e il 3 marzo 1563 curò, anche se con poca fortuna, il cardinale Ercole Gonzaga, e, subito dopo la morte di lui, il Seripando. Per quest'ultimo il D. con altri tre medici diagnosticò una polmonite e addottò una terapia di salassi e manna, che ebbe l'effetto di provocare l'indebolimento e il graduale peggioramento del malato, fino a una lucidissima morte il 17 marzo 1563. D'altra parte la competenza professionale del D. era comprovata presso i suoi contemporanei anche da due sue pubblicazioni, Contra errores Graecorum opusculum e De podagra, che l'Oldoini ebbe modo di vedere manoscritte l'una nella biblioteca del cardinal Sirleto a Roma e l'altra nella biblioteca ducale di Urbino e delle quali si è perduta notizia, così come delle opere ricordate in precedenza.Dopo la chiusura del concilio di Trento i meriti professionali e quelli "ideologici" consentirono al D. di essere elevato da Pio IV alla porpora cardinalizia, anche se il suo nome risultava aggiunto come ultimo nella lista dei ventitré che il pontefice ricompensava per aver servito fedelmente la Chiesa durante il concilio, come venne specificato nel concistoro della sera dell'11 marzo 1565 dal papa stesso. Il successivo 15 maggio gli venne conferito anche il titolo presbiteriale di S.Sabina in Roma. Ma pochi mesi dopo, la notte del 4 sett. 1565, nella Curia romana, il D. improvvisamente morì.
Fu sepolto a Roma nella sua chiesa presbiteriale; ma, un anno dopo, secondo quanto da lui disposto, le sue spoglie furono trasportate a Genova e tumulate nel sepolcro di famiglia nella chiesa di S. Maria della Pace. Gli sopravvissero il fratello gemello Stefano e il figlio di lui Ottaviano, poi referendario apostolico, ai quali il D. lasciò una consistente eredità, in cui i soli contanti ammontavano a più di 60.000 scudi d'oro.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Archivio segreto, 2707 C, n. 186; Ibid., Sala Senarega, 442/1554; Genova, Bibl. civ. Berio, m.r. X, 2, 169: L. Della Cella, Famiglie di Genova, III, cc.65-67 (sub voce Pasqua); Ibid., m.r.XV, 4, 6: F. Federici, Scrutinio della nobiltà di Genova, c. 780; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum, Perugia 1680, pp. 500 s.; G. Marini, Degli archiatri pontifici, Roma 1784, I, pp. 433 ss.; G.B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, Genova 1824, III, p. 168; B. Pescetto, Biografia medica ligure, Genova 1846, pp. 136-139; L. Grillo, Abbozzo di un calendario stor. della Liguria, Genova 1846, pp. 293 s.; U. Foglietta, Clarorum Ligurum elogia, a cura di L. G. Grassi, Genova 1864, pp. 187 ss.; L. von Pastor, Storia dei papi, VII, Roma 1923, pp. 114, 541s.; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, in Atti d. Soc. ligure di storia patria, LXIII (1934), p. 190; H. Jedin, Storia del concilio di Trento, IV, 1, Brescia 1981, pp. 405, 409; IV, 2, ibid. 1981, pp. 207, 290; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica..., III, Monasterii 1923, pp. 41, 231.