CANOSA di PUGLIA (v. vol.II, p. 315 e S 1970, p. 179)
Il sito è stato oggetto, in questi ultimi anni, di esplorazioni e di studi, con scoperte significative che abbracciano un ampio arco cronologico.
Dalla Età del Ferro al periodo imperiale. - Nell'ambito della prima Età del Ferro si colloca la scoperta di due capanne una delle quali era sita nell'area del Tempio di «Giove Toro» e conteneva un enorme dolio per la conservazione delle derrate alimentari; la seconda, sicuramente a pianta circolare, fu trovata in località Pozzillo, contigua al sito di Toppicelli, in cui si svilupperà un nucleo abitativo alquanto lontano dal centro di C., ma in posizione favorevole sul guado dell'Ofanto.
In questa stessa area sono state individuate tracce di abitazioni del VII-VI sec. a.C., fornaci di ceramica geometrica daunia, databili nel VII sec. a.C., coperte successivamente da strutture di età arcaica. Tra queste ultime si colloca un sacello in blocchi squadrati, ornato da terrecotte architettoniche policrome di stile prettamente greco. Sono state esplorate inoltre numerose tombe databili tra il VII e il III sec. a.C., tra le quali quelle della seconda metà del VI sec., a cassa, presentano per la prima volta in Daunia anche vasi attici di importazione. L'abitato di Toppicelli viene ristrutturato nel V-IV sec. a.C. e quindi abbandonato verso la fine dello stesso secolo, in concomitanza con la nuova organizzazione urbana di C. e sotto la spinta della presenza romana. Da quel momento l'area continua a essere utilizzata solo come necropoli. L'altro nucleo abitato risalente alla prima Età del Ferro, quello dell'area del Tempio di «Giove Toro», è stato pressoché cancellato dalle successive frequentazioni e dalle radicali modifiche ambientali operate in età imperiale romana. Della frequentazione di età arcaica restano solo scarichi di fornaci, collegabili a quelli trovati in località Toppicelli.
La massima parte della documentazione archeologica di C. daunia è costituita però dagli ipogei che occupano non solo le aree periferiche, ma anche le zone centrali dell'abitato antico, secondo un diffuso costume indigeno. Tra i ritrovamenti più importanti si devono ricordare: l’«Ipogeo del Cerbero», sulla cui facciata era dipinta una complessa e rara scena figurata; l’ «Ipogeo dell'Oplita», sulla cui parete di fondo interna era scolpito in bassorilievo un gruppo formato da un cavaliere preceduto da un guerriero armato di scudo circolare; la scena era accompagnata da un'iscrizione messapica. Più recente è stata la riscoperta di un grande ipogeo, appena individuato alla fine del secolo scorso e ritenuto distrutto, in quanto subito perduto di vista. Si tratta di un ipogeo formato da sei ambienti con pareti dipinte, indicato con il nome di «Scocchera A», che doveva contenere un ricco corredo funerario, andato disperso e ricostruito in uno studio recente. Non lontano da esso ne è stato rinvenuto un altro (1980) con il corredo ancora intatto.
Questo complesso, chiamato «Ipogeo dei Vimini» è databile nella prima metà del IV sec. a.C., e presenta uno straordinario interesse per il ricco corredo funerario comprendente ceramiche indigene e protoitaliote, vasi in bronzo, oggetti di ferro nonché manufatti deperibili di cuoio e vimini intrecciati; altrettanto significativo esso si è rivelato per la documentazione sicura di un rito funerario fino ad allora sconosciuto in Daunia, consistente in una semicremazione in situ. Tale rito è stato successivamente riscontrato anche nella non lontana necropoli di Canne, in tombe a grotticella della seconda metà del IV sec. a.C.
Per quanto concerne i resti della C. romana, una ricerca lunga e sistematica nell'area del Tempio di «Giove Toro» (1978-1982) ha messo in luce, in posizione parallela al fianco occidentale del grande basamento in mattoni del tempio romano, un porticato su cui si affacciano varî ambienti. Saggi in profondità hanno rivelato, inoltre, la presenza di due livelli sovrapposti di ricche case adorne di pitture parietali e mosaici. La fase più antica risale al periodo augusteo, mentre la sistemazione generale dell'area, con l'erezione del tempio, è attribuibile all'incirca alla metà del II sec. d.C.
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(E.M. De Juliis)
Età tardoantica. - Il ruolo svolto da C. fra IV e VI sec. d.C. appare rilevante sotto il profilo storico e artistico. La precoce attestazione del cristianesimo a C. è da attribuirsi in parte alla posizione presso l'Ofanto, allora in parte navigabile, e lungo la Via Traiana, importante arteria di collegamento fra la Puglia e l'Italia centro-appenninica. L'ubicazione sugli itinerari da e per l'Oriente dovette favorire la cristianizzazione e giustificare i rapporti con l'Oriente che, dall'età tardoantica al Medioevo, segnarono, sia pure in modo episodico, la storia artistica del centro.
Varie testimonianze confermano la partecipazione di vescovi canosini a diversi concili tra il IV e la seconda metà del VI sec. (D. Mansi, Sacrorum ConcUiorum Amplissima Collectio, Parigi 1901, III, p. 42; VII, p. 959): tra questi spicca la luminosa figura di S. Sabino (514-566 c.a), uno dei personaggi più significativi della Puglia cristiana.
La stretta dipendenza della diocesi di C. da Roma e nel contempo il prestigio di cui godette presso i papi, sono testimoniati da eventi storici che vedono alcuni vescovi canosini impegnati come legati o messi papali a Costantinopoli. È in questo quadro storico che vanno considerati alcuni dei monumenti paleocristiani di C.; in chiave orientale - filtrata attraverso Roma - vanno interpretate dediche di edifici come una chiesa dei Ss. Cosma e Damiano fatta costruire da S. Sabino, secondo una notizia tramandata dalla sua Vita (Act. Sanct., Februarii, II,
p. 325)·
L'introduzione del cristianesimo e dei suoi monumenti non dovette alterare il tessuto urbano più antico: l'archeologia e le fonti consentono di isolare un gruppo di edifici sicuramente anteriori all'età di S. Sabino, cioè al VI secolo. La Vita Sabini menziona più volte la chiesa di S. Pietro, forse extramuranea e ancora in piedi nel XVIII sec., nelle cui vicinanze fu sepolto il santo, e la chiesa di S. Maria, presso la quale Sabino fece costruire il battistero di S. Giovanni e la chiesa del Salvatore (Act. Sanct., Februarii, loc. cit.). Il monumento più straordinario, quasi un simbolo della città per i suoi molteplici aspetti, dal rapporto con l'antico al suo proiettarsi verso l'Oriente per la desueta icnografia, è il c.d. S. Leucio, sulla collina dei SS. Angeli, in una zona lontana dal centro della città antica, probabilmente all'esterno della cinta urbica. Si tratta di un vasto doppio tetraconco, con mosaici nel deambulatorio e nelle absidi, che rappresenta il caso più significativo e antico, in Italia, di tempio pagano trasformato in chiesa.
Nel processo di trasformazione del tempio, forse dedicato a Minerva, furono riutilizzati lo stilobate, parte dei blocchi della muratura e le stesse sculture, in parte reimpiegate come materiale da costruzione, e anche il pavimento a ciottoli di fiume tagliati a metà, una tecnica non estranea all'ambito dauno, dove è documentata fra IV e III sec. a.C. (Falla Castelfranchi, 1985 e 1987). L'analisi dei resti musivi conduce al V sec., ma l'edificio presenta più fasi edilizie: una ristrutturazione parziale si ebbe durante l'episcopato di Sabino, indicato dalla Vita come venerabilis vir restaurator ecclesiarum.
Di estrema rilevanza è anche l'icnografia con il doppio tetraconco (rappresentata in Italia da S. Lorenzo di Milano, datato tra IV e V sec.), forse di origine siriaca, ma pure ampiamente attestata in area balcanica. Ancora aperti rimangono invece i problemi relativi all'intitolazione e alla funzione originaria del complesso (Falla Castelfranchi, 1981).
Fuori le mura sono ubicati alcuni sepolcreti cristiani scavati nel tufo e la più vasta necropoli presso il torrente Lamapopoli, di origine romana, ma riutilizzata nel periodo paleocristiano, di cui fanno parte la catacomba detta di S. Sofia e la basilichetta funeraria ad aula unica. Dalla catacomba provengono due iscrizioni cristiane dipinte di rosso, datate al 519 e al 520; un'altra iscrizione, anch'essa rubro pietà (inizi del V sec.), in origine all'interno di una tomba a camera romana e poi riutilizzata all'esterno della catacomba, va aggiunta all'esiguo numero delle iscrizioni cristiane di C. (sei in tutto).
L'età di S. Sabino segnal’akmè di C. paleocristiana: è probabile che il vescovo, personaggio di spicco in campo culturale oltre che politico-religioso, abbia promosso un rinnovamento della città in senso cristiano, anche se gli edifici eretti su sua committenza risultano ubicati, insieme a quelli già esistenti, se non sicuramente fuori le mura (S. Leucio, S. Pietro, sepolcreti, catacombe, basilichetta di S. Sofia), almeno in zone lontane dal cuore della città antica. A questo proposito è significativo che solo nel IX sec. la nuova cattedrale di C. occupi l'area del foro della città romana. Come tramanda un passo della Vita, fu costruito da Sabino il grande battistero di S. Giovanni, dodecagonale con deambulatorio e ambienti sugli assi principali, direttamente collegato, attraverso un nartece a forcipe, con la chiesa del Salvatore, le cui tracce sono state parzialmente portate alla luce in seguito ad alcuni sondaggi effettuati nel 1972 e ripresi più tardi (Lavermicocca, 1987). Si venne in tal modo a costituire uno di quei complessi grandiosi e articolati, noti come «cattedrali doppie» o «ecclesiae geminatae», peculiari dell'architettura paleocristiana di cui in Puglia si contano alcuni esempi più o meno coevi (Monte S. Angelo, Lucera), e che probabilmente svolgeva il ruolo di gruppo episcopale.
I monumenti superstiti di età paleocristiana a C. hanno in comune una serie di elementi significativi, a partire dalla struttura muraria in blocchi ben squadrati di tufo locale (S. Leucio, S. Pietro, battistero e prima fase dell'edificio funerario absidato presso la catacomba di S. Sofia); mosaici pavimentali ricoprono l'area dell'altare, le esedre e il deambulatorio del S. Leucio e pure alcuni ambienti del battistero: si tratta di un repertorio a disegni geometrici e naturalistici, peculiare dell'area mediterranea in età tardoantica. La «firma» di S. Sabino, in aggiunta alle notizie dettagliate che emergono dalla lettura della Vita, si coglie, in alcuni monumenti, nei laterizi con il suo monogramma, di cui si sono conservati numerosi esemplari.
Se il S. Leucio con la sua icnografia, insieme con i frammenti di sculture, testimonia la vocazione all'Oriente della città, tutto occidentale - e per certi versi romano - è il linguaggio del complesso del battistero del VI sec., dove il nartece a forcipe e il collegamento con una chiesa dedicata al Salvatore evocano la basilica lateranense e il suo battistero. Nel contempo, però, inquietanti orizzonti emergono dal confronto, inevitabile, con il battistero, più o meno altrettanto vasto, di Nocera dei Pagani, la cui costruzione cade, come per quello canosino, nel pieno della guerra greco-gotica che vide un diretto coinvolgimento di C. e del suo vescovo Sabino (Proc., Bell. Goth., VII, 18, 18-19). La storia di C. e dei suoi monumenti paleocristiani coincide dunque con quella del suo santo vescovo Sabino, al cui evergetismo si devono nuovi e più splendidi edifici di culto: con la sua morte (566) si chiude una straordinaria pagina della vita di Canosa.
Intorno alla metà del VI sec. C. tocca l'apogeo, ma ha inizio il suo rapido declino, a causa della guerra greco- gotica e dell'invasione franco-alamanna. Nonostante l'effimera ripresa bizantina dopo il 554, la regione appare profondamente sconvolta. Nel 591 la diocesi di C., vacante, viene affidata a Felice, vescovo di Siponto (Greg. M., Epist., Ewald, Hartmann p. 77), per rinascere un secolo dopo in sincronia con la conversione dei Longobardi di Benevento, fino ad allora ariani.
Bibl.: A. Quacquarelli, Note sulle origini cristiane di Canosa di Puglia. San Leucio e la catacomba inedita di S. Sofia, in AA.VV., Puglia paleocristiana, Bari 1970, pp. 303-332; D. Marin, La testimonianza di Paolino da Nola sul Cristianesimo dell'Italia meridionale, in ArchStorPugl, XXVII, 1974, pp. 161- 190; G. Otranto, Le comunità cristiane dell'Apulia negli atti conciliari e nelle epistole pontificie nei secoli IV-VI (314-590), Bari 1977; P. Corsi, Dalla tarda antichità all'Alto Medioevo, in AA.VV., Storia della Puglia, I, Bari 1979, pp. 125-146; G. Bertelli, M. Falla Castelfranchi, Canosa di Puglia fra Tardoantico e Medioevo, Roma 1981, con bibl. prec.; C. Carletti, L'iscrizione metrica rubro pietà da Canosa, in VeteraChr, XVIII, 1981, pp. 173-187; C. D'Angela, Una scoperta altomedioevale nella cattedrale di Canosa, in Taras, I, 1981, pp. 255- 278; M. Falla Castelfranchi, Contributo alla conoscenza dell'edilizia religiosa nella Longobardia meridionale, I. Canosa longobarda. Con un'appendice sulla cattedrale, in QuadChieti, III, 1982-83, pp. 201-246; P. Arthur, D. Whitehouse, Appunti sulla produzione laterizia nell'Italia centromeridionale fra il VI e il XII sec., in AMediev, X, 1983, pp. 525-537; A. Giardina, F. Grelle, La tavola di Trinitapoli: una nuova costituzione di Valentiniano I, in MEFRA, XCV, 1983, pp. 249-303; M. Falla Castelfranchi, Un monastero benedettino inedito a Canosa. S. Quirico. Con un'appendice su alcune questioni topografiche di Canosa in particolare relazione con le traslazioni delle reliquie di S. Sabino, in Atti del Convegno «L'esperienza monastica benedettina e la Puglia», Bari-Noci-Lecce-Picciano 1980, II, Galatina 1984, pp. 287-300; G. D'Angela, Dall'era costantiniana ai Longobardi, in AA.VV., La Daunia antica, Milano 1984, p. 315 ss.; AA.VV., Atti del Convegno «Canosa e S. Sabino, l'uomo, il tempo e la città», Canosa 1982, Bari 1984; R. Cassano, C.A.M. Laganara Fabiano, G. Volpe, Area del tempio di Giove Toro a Canosa. Relazione preliminare, in AMediev, XII, 1985, pp. 501-515; M. Falla Castelfranchi, Continuità dall'antico. La Basilica di S. Leucio a Canosa, in VeteraChr, XXII, 1985, pp. 387-394; ead., Postille medioevali al sarcofago di Barletta, in RACrist, LXI, 1985, pp. 189-205; F. Grelle, Canosa e la Daunia tardoantica, in VeteraChr, XXIII, 1986, pp. 379-397; M. Falla Castelfranchi, Dal tempio pagano alla chiesa cristiana, in Archeo, n. 29, 1987, pp. 36-37; P. Labellarte, Soprintendenza Archeologica della Puglia. Attività, in Taras, VII, 1987, pp. 153-156, 168 s.; J.M. Manin, Note sur la Vie de Saint Sabin de Canosa et le prince de Bénévent Grimoald IV, in VeteraChr, XXIV, 1987, pp. 399-405; A. Campione, Note sulla vita di S. Sabino di Canosa. Inventio e translatio, ibid., XXV, 1988, pp. 617-639.
(M. Falla Castelfranchi)