DIADOCHI (gr. διάδοχοι "successori")
Col nome di diadochi designavano gli antichi e designiamo noi stessi gl'immediati successori di Alessandro Magno, contrapposti ai più remoti successori, che si chiamavano e si chiamano epigoni. Il periodo dei diadochi si suol far terminare con la battaglia di Ipso (301 a. C.), ovvero con la battaglia di Corupedio (282 o 281), subito dopo la quale scompare l'ultimo superstite di essi, Seleuco. In questo periodo si sfascia l'impero fondato da Alessandro Magno e si costituiscono definitivamente le tre grandi monarchie d'Egitto, di Siria e di Macedonia, che ne saranno le eredi e gli sopravviveranno fino alla conquista romana. Elementi unificatori dell'impero erano la civiltà greca e l'ordinamento militare greco-macedonico, a cui era dovuta la conquista stessa di Alessandro; inoltre, il ricordo vivo della comune impresa gloriosa e della fratellanza militare tra quei Macedoni, che ne costituivano ora la classe dominatrice, la consapevolezza del comune interesse a serbarsi uniti, per difendere l'impero dagl'indigeni, non tutti sottomessi né tutti benevoli, racchiusi entro i confini, per allargare o almeno migliorare, dove era più necessario, i confini stessi con vantaggio di tutti i dominatori, per conservare la stretta unione politica con la Grecia, sempre meno fida e sicura. Infine, giovava all'unità dell'impero il sentimento di fedeltà alla dinastia, che in un popolo come era il Macedone, rimasto sempre ligio agli ordinamenti monarchici, e da tempo immemorabile governato dalla dinastia degli Argeadi, che s'era coperta di gloria con Filippo e con Alessandro, non poteva non avere salde radici. A questi elementi d'unità se ne contrapponevano altri, di disgregazione. Tale la riottosità di quell'aristocrazia semifeudale macedonica, da cui provenivano in massa i generali di Alessandro, e il fatto che la dinastia non era rappresentata dopo la morte di Alessandro se non da un deficiente e da un bambino, il figlio postumo di Alessandro Magno; sicché per un lungo periodo gli ambiziosi generali avrebbero dovuto sottomettersi in effetto all'uno di essi, o all'altro eletto reggente o primo ministro. Ma, oltre queste ragioni di carattere personale, ve n'erano altre più gravi e profonde. La Macedonia, regione montuosa ed eccentrica, non era adatta a costituire il centro del vasto impero. Ivi, non solo era difficile sovvenire in tempo ai bisogni delle più remote provincie orientali, ma anche, data la natura stessa del paese, così chiuso ad influssi esteriori che non fossero quelli dei vicini Greci, Traci e Illirici, era assai difficile rendersi conto esatto dei varî bisogni e delle contingenze diverse dei diversi popoli e delle diverse regioni dell'immenso impero. Perciò Alessandro Magno aveva a buon diritto posto a Babilonia il centro del suo dominio, e non era più tornato in Europa. Ma, come era difficile che i Macedoni della madrepatria governassero l'impero, altrettanto era difficile che essi, i quali lo avevano conquistato e gli avevano dato la classe dominante, si rassegnassero ad esserne non altro che una remota provincia. Per il resto, la voce e le aspirazioni dei dominati indigeni non avevano per allora sulle sorti dell'impero influsso decisivo, ma ad ogni modo essi e specialmente i più civili fra essi, operavano, come già nell'Impero persiano, in senso disgregatore; tendevano cioè a favorire la fondazione di tanti piccoli stati quante le varie nazionalità indigene, nei quali, anche se retti da dinastie macedoniche o greche, gl'indigeni potevano far meglio valere i loro interessi e le loro tradizioni che non in un vasto stato unitario e livellatore. Elemento disgregatore erano infine, per la loro natura, le città greche, sia quelle già esistenti nel territorio dell'impero, sia quelle che, sul modello delle già esistenti, Alessandro e i successori fondarono in gran copia in mezzo agl'indigeni per tutto il territorio. Infatti queste città, che con l'unità della civiltà loro e delle loro istituzioni, col loro contrapposto perenne ai barbari onde erano circondate, avrebbero dovuto fornire all'impero i più validi punti d'appoggio, d'altra parte, per quella stessa civiltà e per quelle istituzioni, aspiravano perennemente alla piena autonomia, riluttavano quasi per intrinseca necessità ad essere come cellule d'un vasto organismo imperiale.
Questi svariati elementi unitarî e disgregatori si bilanciavano a un dipresso, sul principio dell'età dei diadochi, con una certa prevalenza, anzi, degli elementi unitarî, per la tradizione della recente conquista e per la memoria del grande Alessandro. Si trattava di vedere se, valendosi di questi elementi, sarebbe riuscito di assidere su solide basi l'unità dell'impero. A ciò si accinse il valoroso ed energico Perdicca, che subito dopo la morte di Alessandro, (13 giugno 323) fu designato col titolo di chiliarco all'ufficio di primo ministro, mentre re venivano riconosciuti Filippo Arrideo, il deficiente fratellastro di Alessandro, e il figlio postumo del defunto re e di Rossane, Alessandro IV, e reggente uno dei più anziani e dei più reputati tra gli ufficiali di Alessandro, Cratero, e l'Europa era affidata con pieni poteri ad Antipatro, il vecchio governatore della Macedonia; posizione particolarmente pericolosa, perché i Greci, alla notizia della morte di Alessandro, si ribellarono immediatamente iniziando, sotto la guida di Atene, la guerra che fu detta Lamiaca. Nello stesso tempo ad alcuni degli ufficiali più reputati si affidavano le varie provincie dell'impero, dei quali basterà ricordare che Tolomeo ebbe l'Egitto, Eumene la Cappadocia, Antigono la Frigia maggiore, Leonnato la Frigia ellespontica e Lisimaco la Tracia. Perdicca, tra difficoltà d'ogni sorta, cercò di mantenere l'unità e d'accrescere la potenza dell'impero, aiutando Eumene a conquistare la sua satrapia di Cappadocia, dove i barbari sotto Ariarate erano tuttora indipendenti. Frattanto Antipatro, soccorso da Leonnato, che cadde combattendo nella Tessaglia (322) e poi da Cratero, e validamente appoggiato dalla flotta agli ordini di Clito, che vinse gli Ateniesi nella battaglia decisiva di Amorgo, riuscì a soffocare la ribellione dei Greci, disciolse la Lega Corinzia e costrinse Atene e altre città ad accettare governi oligarchici e ricevere presidî macedoni. Così fu spezzata la collaborazione fra Grecia e Macedonia instaurata da Filippo e resa la Grecia un peso morto per l'impero e fatto sempre più difficile alla Macedonia, staccata ormai dalla Grecia, di avere nell'impero una posizione centrale. Ma, passato il pericolo, Antipatro e Cratero non frenarono più la loro gelosia verso Perdicca e si unirono contro di lui con Antigono, che era fuggito dalla Frigia per non rendere conto a Perdicca vittorioso dello scarso aiuto datogli nell'impresa di Cappadocia, e soprattutto con Tolomeo, il satrapo d'Egitto che, concentrate in propria mano tutte le risorse della vasta e ricca regione, assumeva un atteggiamento d'indipendenza irreconciliabile con l'unità dell'impero. Nonostante la rotta e la morte di Cratero in battaglia contro il fedele ufficiale di Perdicca, Eumene, l'insuccesso di Perdicca nel suo attacco contro le frontiere orientali dell'Egitto e il suo assassinio compiuto dagli ufficiali, che profittarono del malcontento delle truppe, diedero ai collegati la vittoria, e in Triparadiso nella Siria si venne ad un nuovo assetto dell'impero, che ne conteneva in germe la dissoluzione (321). Antipatro fu fatto reggente, Antigono comandante supremo dell'esercito in Asia, Seleuco governatore di Babilonia, Lisimaco ebbe confermata la Tracia e Tolomeo naturalmente l'Egitto, in cui continuava a dominare, riconoscendo ormai solo di nome l'autorità centrale. All'unità dell'impero Antipatro diede inconsapevolmente un altro colpo anche più grave, conducendo seco i due re in Macedonia, cioè allontanandoli da quegli ufficiali e soldati macedoni sparsi per tutta l'Asia, la cui fedeltà alla dinastia era la massima salvaguardia dell'unità dell'impero. Poco dopo tornato in Macedonia Antipatro (319) morì, dando all'unità dell'impero un ultimo colpo, cioè lasciando come reggente al proprio posto Poliperconte, ufficiale valoroso, ma politico inetto e privo totalmente, presso i commilitoni, del credito che l'alta posizione richiedeva. Antigono si collegò immediatamente contro di lui con Cassandro, il figlio di Antipatro, che non intendeva rimanere a mani vuote e con Tolomeo. Poliperconte cercò l'appoggio dei Greci, restaurando le democrazie (318) e in Asia si appoggiò all'ultimo superstite degli ufficiali fedeli a Perdicca, Eumene di Cardia. Ma il tentativo di restaurare la democrazia fu da Cassandro stroncato. Eumene fu disfatto e ucciso da Antigono (inverno 317-6); già prima la flotta macedone comandata da Clito era stata distrutta sul Bosforo (318). Così Antigono rimase padrone dell'Asia e in Europa Cassandro appoggiato da lui e da Lisimaco, riuscì ad impadronirsi della Macedonia, dove la regina Euridice indusse il debole Arrideo ad accordarsi con lui. Sopravvenne bensì dall'Epiro aiutata da Poliperconte la madre di Alessandro Olimpiade (317) la quale mise a morte Euridice e Arrideo, e governò in nome del fanciullo Alessandro. Ma Cassandro sopravvenuto ricuperò la Macedonia e assediò la regina in Pidna costringendola alla resa. Messala subito a morte, egli tenne prigione da allora in poi il giovane Alessandro, con la madre Rossane, menomando così anche l'ultimo pegno dell'unità dell'impero. Frattanto la vittoria anche su Clito, quella su Eumene e la conquista delle satrapie avevano assicurato ad Antigono il possesso di quel che avanzava dei tesori persiani e lo avevano reso di gran lunga il più potente tra i generali macedoni. Seleuco, impaurito, fuggì da Babilonia lasciandogli la sua satrapia (316). E scoppiò tosto la terza guerra civile, non ancora compiuta interamente la seconda, perché la resistenza di Poliperconte non era ancora fiaccata. Cassandro, Lisimaco, Tolomeo si strinsero in lega col fuggiasco Seleuco contro Antigono (315), al quale non rimase che allearsi con Poliperconte e il figlio di lui Alessandro. In Asia, Antigono combatté con fortuna e s'impadronì di tutta la Siria e di Tiro (314) e poi prese il sopravvento anche nell'Asia Minore. Ma la disfatta che il figlio di Antigono, Demetrio, poi detto Poliorcete, toccò presso Gaza (312) da Tolomeo, mutò le sorti della guerra. Non solo egli infatti perdette la Siria, ma Seleuco, col soccorso degli alleati, poté ricuperare Babilonia. E, sebbene poi Antigono riacquistasse la Siria egli stesso e per mezzo di Demetrio riuscisse anche a tenere per qualche tempo Babilonia, credette opportuno nel 311 fare coi coalizzati la pace, per prepararsi a nuova e più energica guerra. Nella pace del 311 Cassandro fu riconosciuto come stratego d'Europa, Lisimaco conservò la Tracia, Tolomeo l'Egitto, Seleuco la Babilonia e le satrapie superiori, fosse o no egli incluso nominalmente nel trattato, Antigono il rimanente dell'Asia. Questi patti dovevano valere fino alla maggiorità del re Alessandro, il quale rimaneva però di fatto prigioniero di stato in Macedonia. Anzi, poiché la sua maggiorità era vicina, Cassandro, per rimanere solo signore della Macedonia, lo fece presto assassinare con la madre Rossane (310). L'orrore per questo delitto rinvigorì tra i Macedoni e i Greci l'opposizione a Cassandro, e Poliperconte ne profittò per muovere contro la Macedonia atteggiandosi a difensore d'un nuovo pretendente, un figlio illegittimo d'Alessandro di nome Eracle. Ma poi si lasciò persuadere da Cassandro a rinunziare all'impresa ricevendo in cambio la strategia del Peloponneso, e tolse di mezzo il nuovo re (309). Così fu spenta la dinastia degli Argeadi e resa quasi impossibile la restaurazione dell'unità dell'impero. Poiché ormai essa non poteva essere restaurata se non a profitto d'uno tra gli ufficiali, il quale a restaurarla non poteva allegare altro titolo, se non quello della maggiore abilità o della maggior fortuna. A questo titolo si accinse appunto a restaurarla a proprio profitto Antigono, il quale, (dopo essere stato per qualche tempo tenuto a bada dalla ribellione del nipote Polemeo, con cui aveva fatto causa comune Tolomeo d'Egitto), morto Polemeo, riprese l'offensiva contro Cassandro, inviando una squadra in Grecia sotto il figlio Demetrio, che fu accolto in Atene come liberatore (307). Liberata anche Megara, Demetrio fu richiamato in Asia, dove Tolomeo, impensierito dei progressi e delle mire di Antigono, aveva ripreso le armi contro di lui. Ivi Demetrio riportò presso Salamina nell'isola di Cipro una decisiva vittoria contro la flotta di Tolomeo, dopo la quale l'intera isola cadde in suo potere. Allora come segno del suo proposito di restaurare l'unità dell'impero, Antigono assunse il titolo di re (306) e lo diede anche al figlio, per assicurare così la continuità della sua dinastia. Ma poco dopo il suo esempio fu seguito da tutti quei governatori che non intendevano di sottomettersi, cioè da Tolomeo, Cassandro, Lisimaco e Seleuco (305) i quali del resto non miravano, assumendo il titolo di re, ad affermare la loro sovranità su tutto l'impero, ma soltanto il possesso indipendente delle regioni da essi occupate.
L'attacco tentato da Antigono poco dopo la vittoria di Salamina contro l'Egitto terminò, come quello di Perdicca, con un completo insuccesso; dopo di cui Antigono per togliere a Tolomeo il suo principale punto d'appoggio nel mare Egeo, fece assediare Rodi da Demetrio. Ma mentre Demetrio era occupato nell'assedio di Rodi, Cassandro ne profittò per ricuperare terreno in Grecia con l'appoggio del vecchio Poliperconte, e pose l'assedio ad Atene. Ciò indusse Antigono a togliere l'assedio da Rodi, riconoscendone l'indipendenza, e a rinviare Demetrio in Grecia. Demetrio non solo costrinse Cassandro a togliere l'assedio da Atene, ma occupò gran parte della Grecia centrale e del Peloponneso e rinnovò a Corinto l'antica lega ellenica di Filippo e di Alessandro. Sembrava con ciò che Antigono fosse vicino alla restaurazione dell'unità dell'impero. Ma ormai Cassandro, Lisimaco, Seleuco e Tolomeo strinsero contro di lui (303) una quarta coalizione. I successi ottenuti da Lisimaco nell'Asia Minore con l'appoggio di milizie inviategli da Cassandro, indussero Antigono a richiamare Demetrio in Asia. Qui, tra le forze riunite di Lisimaco e di Seleuco e quelle di Antigono avvenne nella Grande Frigia presso Ipso la battaglia decisiva, in cui Antigono totalmente sconfitto perdette il regno e la vita (301). Con ciò il particolarismo sopraffece definitivamente ogni tentativo di ridare unità all'impero. Le lotte che seguirono nel ventennio seguente fino alla battaglia di Corupedio e alla morte di Seleuco (281 o 280), per cui v. demetrio poliorcete e seleuco, non furono più che lotte di assestamento, dalle quali uscì il nuovo equilibrio abbastanza stabile delle tre grandi monarchie ellenistiche: Siria, Egitto e Macedonia, essendo scomparso definitivamente dopo la morte di Lisimaco, specie per il dilagare degl'invasori Celti, il regno di Tracia.
Fonti: Fonte principalissima e quasi unica per la storia dei diadochi è Diodoro, XVIII-XX. Non è dubbio che la tradizione diodorea risale in gran parte a Ieronimo di Cardia per quanto è difficile che questi sia la fonte diretta di Diodoro. Hanno inoltre molta importanza le vite plutarchee di Eumene (questa in massima è un estratto da Ieronimo) e di Demetrio. I frammenti degli storici dei diadochi a cominciare da Ieronimo e da Arriano sono raccolti da F. Jacoby, Fragmente der Griech. Historiker, II, 2, p. 829 segg. Cfr. R. Schubert, Die Quellen zur Geschichte der Diadochenzeit, Lipsia 1914.
Bibl.: G. Droysen, Histoire de l'Hellénisme, trad. franc., II, Parigi 1884; B. Niese, Geschichte der griech. und maked. Staaten, I, Gotha 1893; J. Beloch, Griech. Geschichte, IV, i e ii, Berlino 1925-27; J. Kaerst, Geschichte des Hellenismus, II, 2ª ed., Lipsia 1926; V. Costanzi, L'eredità politica di Alessandro Magno, in Annali delle Univ. toscane, n. s., III, ii, Pisa 1918; J. Kromayer, Alexander der Grosse und die hellenistische Entwicklung, in Histor. Zeitschrift, C, p. 11 segg.; F. Geyer, Alexander der Gr. u. die Diadochen, Lipsia 1925.