diagnosi prenatale
Insieme di tecniche atte a verificare lo stato di salute del feto. Sono entrate nei protocolli di diagnosi prenatale le seguenti indagini: (a) indagini cliniche: possono essere effettuate con ecografia partendo dal primo trimestre di gravidanza. Gli apparecchi hanno attualmente un’elevata capacità e accuratezza di dettagli. Pertanto l’ecografia ha un ruolo preminente tra le indagini strumentali della gravidanza. Lo studio del fenotipo clinico del feto può essere integrato, alla 18ª settimana, dalla fetoscopia, basata sull’introduzione nella camera gestazionale di uno strumento a fibre ottiche che permette di visualizzare direttamente parti anatomiche e di eseguire prelievi di sangue e di tessuti (per es., cute); (b) indagini citogenetiche: vengono effettuate su cellule o tessuti fetali, sul liquido amniotico e, più limitatamente, sul siero materno. Le cellule o i tessuti che originano per divisione mitotica dal feto ne posseggono le caratteristiche citogenetiche, biochimiche e molecolari e perciò sono adatte allo studio del suo fenotipo. I materiali biologici maggiormente utilizzati per le analisi sono: il trofoblasto (villi coriali), che si forma a partire dalla 6ª settimana: il periodo ideale per il prelievo è compreso fra la 9ª e l’11ª settimana; il liquido amniotico, che è formato da una parte non corpuscolata, costituita in grande misura dalle urine del feto, e da un’altra corpuscolata, formata da cellule provenienti dalla mucosa orale, intestinale, dalle vie aeree superiori, dall’apparato genitourinario e dalla cute del feto; il sangue fetale, che viene prelevato per cordocentesi, cioè per puntura del cordone ombelicale, sotto controllo ecografico, alla 18ª settimana; i villi placentali che vengono prelevati per puntura della placenta nel 2° o 3° trimestre; (c) indagini biochimiche: vengono effettuate sui tessuti fetali, direttamente o su cellule coltivate, sulla parte non corpuscolata del liquido amniotico, sul siero materno ed, eccezionalmente, sul sangue fetale. Alcune indagini misurano direttamente il prodotto dei geni che, se mutati, codificano una proteina anomala e causano certi tipi di malattie. In questo ambito rientrano circa un centinaio di affezioni di cui è noto il difetto biochimico e che sono nel novero dei cosiddetti errori congeniti del metabolismo. Oltre il 90% di queste condizioni sono ereditate come mutazioni autosomiche recessive; la loro frequenza è in genere inferiore a 1/100.000. Questo giustifica il fatto che non vengano di solito effettuate analisi di tutta la popolazione per identificare portatori sani asintomatici, che le coppie a rischio siano individuate retrospettivamente e che siano disponibili competenze diagnostiche solo in un limitato numero di laboratori. La diagnosi prenatale biochimica di questi difetti richiede la caratterizzazione preventiva del paziente e dei genitori a rischio. Le indagini indirette, invece, non analizzano il prodotto di un gene mutato ma l’espressione di marcatori che non hanno un rapporto primario con la mutazione e si comportano perciò come indicatori della fisiologia del feto. L’esempio più significativo è quello dell’α-fetoproteina, il cui dosaggio sul liquido amniotico o sul siero materno copre un’ampia gamma di patologie (aumento dei valori nei difetti del tubo neurale quali la spina bifida e abbassamento di essi nella trisomia del cromosoma 21); (d) indagini molecolari: mediante l’analisi diretta del DNA è possibile identificare portatori sani di geni coinvolti in malattie ereditarie (eterozigoti) ed effettuare nel feto diagnosi di malattie genetiche. Contrariamente alle analisi biochimiche, essa è applicabile anche in situazioni nelle quali non sia conosciuto né il gene mutato che determina la malattia né la proteina da esso codificata. Per effettuare la diagnosi si utilizza una complessa analisi genetica familiare, basata sulla diversa lunghezza di specifici frammenti di DNA presenti nei vari individui. Il cambiamento anche di un solo nucleotide del DNA nel sito normalmente riconosciuto e tagliato da un enzima di restrizione impedisce all’enzima stesso il riconoscimento del substrato da tagliare; si formano in tal modo frammenti di DNA di diversa lunghezza che vengono messi in evidenza mediante sonde molecolari con la tecnica di Southern ed ereditati secondo gli schemi dell’eredità mendeliana. I frammenti sono chiamati RFLP (Restriction fragment length polymorphisms). Pertanto, anche se non si conosce il gene che determina una certa malattia ereditaria, si possono identificare specifici polimorfismi del DNA negli individui affetti di una determinata famiglia e calcolare, la probabilità che, insieme al sito polimorfico, sia anche ereditato il gene mutato che determina la malattia.
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