liguri, dialetti
I dialetti liguri coprono l’intero territorio della Liguria, caratterizzato da un’accentuata tendenza al particolarismo per la distribuzione dei solchi vallivi e dei crinali montani, attenuata soltanto dalla facilità delle comunicazioni costiere.
Caratteri liguri si riscontrano in aree del Piemonte meridionale (alta val Tanaro, parte del Monregalese e della val Bormida, retroterra dei centri storicamente genovesi di Ovada, Gavi e Novi Ligure in provincia di Alessandria) e in Emilia (valli piacentine con Ottone, parmensi con Bedonia e Compiano). A est i tratti liguri digradano intorno a Sarzana nel tipo lunigianese, diffuso nella regione storica comprendente gran parte della provincia di Massa, e caratterizzato da tratti comuni soprattutto con l’emiliano; a ovest sono ancora liguri la val Roia, oggi in territorio francese (Briga, Tenda e Breglio), e il Principato di Monaco; la parlata di Mentone ha caratteri di transizione verso il dialetto nizzardo.
Isole linguistiche liguri ora estinte, frutto di ripopolamenti quattrocenteschi, interessavano ancora ai primi del XX secolo punti provenzali più a ovest (Mons, Biot, ecc.). Tali episodi non hanno rapporto col contributo dato dal tipo ligure alla formazione dei dialetti galloitalici del Meridione, né con l’affermazione di varietà di ligure ‘coloniale’ a base genovese: il tabarchino in Sardegna, il bonifacino in Corsica. Componenti liguri, non solo di natura lessicale, si riscontrano poi in diverse varietà di contatto: yanito (dialetto andaluso di Gibilterra), neogreco di Chios, varietà urbane della Corsica, sassarese, dialetti delle isole Capraia e Maddalena (Toso 2008). L’emigrazione ha radicato nel XIX secolo una presenza del genovese anche in Argentina, Cile e Perù.
La distribuzione areale rende conto del legame dei dialetti liguri col retroterra, ma ne accredita anche il ruolo di ponte tra le varietà romanze a est (toscano) e ovest (provenzale), e sottolinea l’espansione legata al ruolo di Genova nel Mediterraneo e oltre. Nella classificazione corrente le parlate liguri si considerano parte del gruppo galloitalico, entro il quale si presentano tuttavia con caratteri particolari (Toso 2002; ➔ dialetti). Oltre al diverso sostrato, alle modalità di romanizzazione e al tardivo collegamento col settentrione longobardo (643), la precoce organizzazione di uno stato regionale intorno a Genova (XII secolo) aiuta a comprendere l’originalità linguistica del territorio ligure rispetto al retroterra sancita già da ➔ Dante, che nel De vulgari eloquentia colloca il solo genovese, tra i volgari settentrionali, a destra dell’ideale spartiacque appenninico.
In effetti, i tratti più vistosi che configurano in maniera unitaria la regione sono per lo più estranei al tipo galloitalico. Ciò vale per aspetti morfologici e sintattici (Forner 1988; 1997), come l’articolo maschile singolare (u ← ru ← lu), la formazione del plurale di tipo toscano (anche in casi di arretramento della marca morfologica: can- + i > càin > chen), o la negazione anteposta al verbo (nu cantu); il sistema dei ➔ clitici oscilla in generale tra due o tre forme obbligatorie (ti mangi, II persona sing., u mangia, III persona sing.; altrove anche i màngia(n), III persona plur.).
Per la fonetica, rispetto all’area galloitalica il ligure si caratterizza per l’assenza della ➔ metafonia, per la conservazione delle vocali atone e finali tranne dopo -n-, -l-, -r- (gatu, menestra contro gat, mnestra) e per la palatalizzazione ‘spinta’ dei nessi pl-, bl- e fl- (planta > [ˈʧaŋta] «pianta», blasphemia > [ʤaˈstema] «bestemmia», flore > [ˈʃuː] «fiore»), tratti che segnano il raccordo con l’area dei dialetti centrali e meridionali. Originali sono anche il passaggio -l- > [r] (il fenomeno è più esteso, ma copre comunque tutta la Liguria) e l’indebolimento della [r] stessa da -r-, -l-.
Altri caratteri unitari sono invece di tipo galloitalico: l’evoluzione in [y] di ū, la presenza di [ø] (che viene meno andando verso est) variamente originato, la lenizione delle consonanti sorde intervocaliche fino alla caduta, l’evoluzione di -ct- secondo il modello factu > [ˈfajtu] (> [ˈfaʧu]), la palatalizzazione di cl-, gl- ([ʧaˈmaː] «chiama», [ˈʤaŋda] «ghianda»).
Dal punto di vista lessicale (Petracco Sicardi, Toso & Cavallaro 1985-1992), l’originalità dell’area risulta non tanto dai rari relitti prelatini (ad es. arma «grotta») o da forme che segnano ancora una volta il raccordo con l’area centro-meridionale (fra(t)e «fratello», nevu «nipote», dal nominativo latino; mela contro pomo, ecc.), bensì dal lessico specifico (ad es. banca(r)â «falegname», lala «zia», spêgéti «occhiali», ecc.), spesso assunto in prestito da vari idiomi del Mediterraneo (camalu «facchino» dall’arabo, ➔ arabismi; mandilu «fazzoletto» dal greco, ecc.).
L’indebolimento, fino alla caduta, di -r- ha provocato nell’area genovese, a partire dal XVIII secolo, incontri vocalici e contrazioni che hanno avuto conseguenze notevoli sulla struttura delle parole (farina > [faˈriŋna] > [ˈfajna] > [ˈfεŋa]), e fenomeni di ristrutturazione che hanno accresciuto la rilevanza fonologica della quantità vocalica ([ˈkaːsa] «piede dell’albero» / [ˈkasa] «mestolo»; [kaːˈseta] «calza» / [kaˈseta] «mestolino»). In virtù del prestigio socio-politico e culturale e della centralità geografica, il genovese ha operato a fasi alterne arginando la tendenza alla frammentazione o come fonte di innovatività: le aree laterali conservano quindi tratti conservativi rispetto al settore più esposto alle innovazioni provenienti dal centro. Sotto la patina unitaria risultante dal processo di ‘genovesizzazione’, la distinzione subareale si basa comunque su tratti antichi di differenziazione. L’esito di -cl- permette ad es. di distinguere un’area orientale intorno a La Spezia (che ha speculum > [ˈspeʧo]), un’area genovese e centro-occidentale tra Sestri Levante e Taggia ([ˈspedːʒu]), e un’area occidentale ([ˈspeʎu]); l’esito di -lj- è unitario invece dai confini orientali fino alla zona di Noli-Finale Ligure (familia > [faˈmiʤa]), contro l’occidentale ([faˈmiʎa). Sestri Levante e Noli sono anche i punti estremi di affermazione di caratteristiche galloitaliche assenti altrove, come la velarizzazione di -n- (genovese [ˈlaŋna] > [ˈlaŋa]; spezzino, albenganese e ventimigliese [ˈlana]) o la dittongazione di ē (da Noli a Moneglia [ˈbejve], contro [ˈbeve] delle aree laterali).
Hanno invece caratteri propri, escludendo l’influsso genovese, i dialetti di tipo alpino e quelli conservativi delle Cinqueterre. I dialetti a nord dello spartiacque (tranne la valle Scrivia), pur presentando dei caratteri costitutivi liguri, si mostrano aperti, da ovest a est, all’influsso piemontese, lombardo ed emiliano.
La grafia genovese è fissata in alcune linee essenziali fin dai primi documenti letterari, quando vengono adottate ad es. le corrispondenze ‹o› = [u], ‹u› = [y], e ‹x› = [ʒ]. I fenomeni fonetici sopravvenuti nel Settecento implicarono all’inizio del secolo successivo la riforma su cui si basa il sistema ortografico attuale del genovese letterario: essa consentì di registrare le principali innovazioni, come la caduta di [r] intervocalica, le conseguenti contrazioni (ad es. maraveggia > mäveggia, dove ‹ä› = [aː]) e l’accresciuto valore fonologico della quantità vocalica. Per le varietà locali, per lo più dotate di usi scritti solo di recente, si fa spesso ricorso a modelli grafici esemplati sull’italiano.
L’uso letterario del genovese (Toso 2009) si sviluppa dalla fine del XIII secolo, dopo i primi testi documentari e l’utilizzo parodistico fattone da Raimbaut de Vaqueiras (1190 circa), e giunge a maturazione con l’opera dell’Anonimo Genovese. Da allora i caratteri salienti della scripta volgare e dialettale sono dati dalla continuità tematica e ideologica, nell’individuazione di un nesso costante tra la specificità dell’esperienza istituzionale genovese e l’utilizzo del dialetto a fini connotanti.
L’uso di un volgare fortemente idiomatico in atti pubblici e di governo è attestato del resto, accanto a quello preponderante del latino, fino alla fine del XV secolo. Il patriottismo comunale dell’Anonimo costituisce dunque l’ascendente della retorica «repubrichista» dei principali autori cinque-settecenteschi (Paolo Foglietta, Barnaba Cigala Casero, Gian Giacomo Cavalli), la cui produzione poetica consente l’acclimatazione di esperienze internazionali (dal petrarchismo al gongorismo) riproposte in chiave non parodica. A questa aspirazione a realizzare una letteratura alta si allaccia il tentativo settecentesco di Stefano de Franchi di creare una poesia civile atta a rappresentare un velleitario accordo tra le componenti sociali della Repubblica.
La distinzione tra il filone di poesia colta e una produzione di tipo schiettamente dialettale è confermata dall’utilizzo di varietà caratterizzate, tra il XVII e il XVIII secolo, da marche sociolinguistiche di natura sia fonetica (dittongazioni popolari del tipo tiesta, lietto contro testa, letto) che morfologica e lessicale. Temi e forme caratterizzati in senso spiccatamente dialettale diverranno prevalenti solo a partire dal XIX secolo per la progressiva perdita di prestigio del genovese, ma tale evoluzione sarà accompagnata dai tentativi di acclimatare in Liguria la temperie del romanticismo regionalista europeo (il poema epico A colombìade di Luigi Michele Pedevilla, 1870, e la traduzione della Divina Commedia di Angelico Federico Gazzo, 1909, hanno lo scopo di restaurare un modello letterario di genovese). Nel XX secolo invece si realizza l’adesione dell’espressione genovese a modelli neodialettali di ampia circolazione italiana (Edoardo Firpo in poesia, il teatro di Gilberto Govi) e l’affermarsi nell’uso letterario di varietà dialettali periferiche (Cesare Vivaldi, Paolo Bertolani). La poesia in genovese urbano non ha disdegnato negli ultimi anni, però, il recupero di una linea civile (Roberto Giannoni) e il riaggancio con la tradizione cinque-settecentesca (Plinio Guidoni, Alessandro Guasoni); un fenomeno a sé è rappresentato dalla canzone d’autore, illustrata in particolare da Fabrizio De Andrè.
La Liguria non vanta invece un patrimonio demologico particolarmente originale, anche se le ricerche degli ultimi anni hanno consentito di precisarne gli aspetti caratterizzanti rispetto al contesto settentrionale. Nell’ambito canoro, alla tipologia epico-narrativa padana si sostituisce la forma sincopata del trallalero, polivocalità urbana con riscontri in area tirrenica insulare. Gli elementi di gusto ‘gotico’ riconosciuti da Italo Calvino in molte fiabe liguri hanno spesso ascendenze nella tradizione medievale di exempla antico-genovesi; e anche i più genuini filoni della poesia, del canto e del teatro religioso trovano assonanze nella letteratura volgare tre-quattrocentesca.
Il ruolo di varietà ‘illustre’ del genovese non è stato sufficiente a salvaguardare questo dialetto e le altre parlate liguri, nell’ultimo secolo, da una forte erosione. Intorno al genovese si organizzarono già dal XVI secolo tentativi di promozione e valorizzazione in polemica con l’adozione dell’italiano, che vide però dilatare i suoi spazi comunicativi nel XIX secolo, dopo l’annessione della Liguria allo stato sabaudo (1815) e poi con l’unificazione nazionale: le agenzie dell’italianizzazione attive in tutta l’area settentrionale si associarono a Genova al dinamismo sociale, economico e commerciale ottocentesco, culminato con l’inserimento della città nel cosiddetto triangolo industriale.
Così, le statistiche registrano da tempo in Liguria un decremento costante nell’uso del dialetto. I dati ISTAT del 1987-88 mostravano già la prevalenza dell’italofonia in famiglia (62,6%), nell’uso con gli amici (63,4%) e con gli estranei (79,1%), e nel 2000 si constatavano ulteriori progressi dell’italiano, lingua prevalentemente parlata in famiglia (67,5% contro un uso del dialetto per il 12,4% e l’alternanza di italiano e dialetto per il 17,9%), con gli amici (70,9%; dialetto 7,1%, alternanza 20,3%) e gli estranei (87,6%; dialetto 1,7%, alternanza 9,4%). Questo panorama vedeva la Liguria come la regione più italofona dopo la Toscana, dato confermato nel 2006 dall’ulteriore crescita dell’uso dell’italiano in famiglia (68,5% contro il dialetto all’8,3%, l’alternanza al 17,6% e altri idiomi al 5,2%). Per quanto riguarda gli usi pubblici, dopo avere espresso nel XIX secolo una significativa produzione pubblicistica, il genovese appare oggi scarsamente usato al di fuori dell’ambito letterario o colto (canzone d’autore, teatro): forme di recupero, anche a scopi connotativi, vedono un certo impiego radiofonico, presso le televisioni locali e sul web. Più in generale i dialetti liguri trovano saltuario impiego scritto nella toponomastica (ad es. in alcuni centri rivieraschi), in pratiche para-didattiche, e nella denominazione di prodotti locali, esercizi e strutture ricettive. Dal punto di vista della promozione dell’uso parlato e scritto del dialetto, alla scarsa attenzione delle istituzioni regionali e locali tenta di sopperire un associazionismo di tipo volontaristico.
Forme di italiano regionalizzato sono attestate a Genova, con intenti parodici, a partire almeno dal XVII secolo e testimoniano (Beniscelli, Coletti & Coveri 1992) una presenza radicata del toscano, quale si può ricostruire fin dalla documentazione tardo-quattrocentesca. Tale circostanza può avere favorito il discreto e talvolta antico accesso di ligurismi nell’italiano (tecnicismi nautici come regata, cazzare; termini legati alla pesca e alla marineria come acciuga, bolentino, bugliolo; nomi di prodotti del territorio; ➔ marineria, lingua della).
Tra le caratteristiche dell’italiano regionale ligure si segnalano alcuni fenomeni riferibili al sostrato dialettale, che sottolineano qualche differenza rispetto al prevalente modello settentrionale: per la fonetica, la presenza di [æ] davanti a [r], [l] + C (per es., [ˈværde], [ˈælmo]) contro la generale tendenza alla chiusura di e, e la pronuncia secondo la norma standard delle palatali [ſ] e [ñ]. Di particolare rilievo appaiono anche i fattori intonativi: la còccina (inflessione) genovese riprende la cantilena che nel dialetto è data dall’alternanza di vocali lunghe e brevi e la pronuncia semintensa delle consonanti postoniche (non necessariamente in accordo con la norma: [kaˈmittʃa], [uˈfittʃo]).
Anche il lessico presenta interferenze dialettali: alcune non sono più percepite (ad es. i tipi fasciare «incartare», fascia «campo coltivato»), mentre altre riflettono meccanismi inconsci di ipercaratterizzazione (l’uso ad es. del termine volgare belìn come intercalare e segnale discorsivo); altre ancora fanno parte di dinamiche variamente analizzabili dal punto di vista sociolinguistico, che inducono molti parlanti a introdurre forme identificanti nella conversazione, preferendo ad es. brìgola, rumenta, mandillo, caruggio a pustola, spazzatura, fazzoletto, vicolo; senza contare il lessico espressivo e le interiezioni.
All’italiano regionale, ben riconoscibile quindi a livello nazionale, pare affidata al momento attuale, più che a improbabili recuperi del dialetto, la trasmissione di una identità linguistica regionale nel quadro del panorama plurilingue e multietnico che in Liguria più che altrove si va delineando.
Beniscelli, Alberto, Coletti, Vittorio & Coveri, Lorenzo (1992), Liguria, in L’italiano nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali, a cura di F. Bruni, Torino, UTET, pp. 45-84.
Forner, Werner (1988), Italienisch: Areallinguistik I. Ligurien, in Lexikon der Romanistischen Linguistik, hrsg. von G. Holtus, M. Metzeltin & C. Schmitt, Tübingen, Niemayer, 8 voll., vol. 4º (Italienisch, Korsisch, Sardisch), pp. 453-469.
Forner, Werner (1997), Liguria, in The dialects of Italy, edited by M. Maiden & M. Parry, London - New York, Routledge, pp. 245-252.
Petracco Sicardi, Giulia, Toso, Fiorenzo & Cavallaro, Patrizia (a cura di) (1985-1992), Vocabolario delle parlate liguri, Genova, Consulta Ligure, 4 voll.
Toso, Fiorenzo (2002), Liguria, in I dialetti italiani. Storia, struttura, uso, a cura di M. Cortelazzo et al., Torino, UTET, pp. 196-225.
Toso, Fiorenzo (2008), Linguistica di aree laterali ed estreme. Contatto, interferenza, colonie linguistiche e “isole” culturali nel Mediterraneo occidentale, Recco, Le Mani; Udine, Centro Internazionale sul Plurilinguismo.
Toso, Fiorenzo (2009), La letteratura ligure in genovese e nei dialetti locali. Profilo storico e antologia, Recco, Le Mani.