Dialogo tra corti nazionali e corti internazionali
Ci si occupa del dialogo tra corti nazionali, europee e internazionali. È uno dei grandi temi del diritto contemporaneo. Le ragioni di questo successo non sono difficili da individuare. In parte sono legate a sviluppi interni al diritto contemporaneo. In parte sono attinenti all’evoluzione del rapporto tra diritto e realtà sociale.
Le corti intrattengono rapporti reciproci e dialogano in diversi modi, che vengono studiati secondo il quadro che li regola e il settore delle scienze che li approfondisce. Normalmente, in ogni affare giudiziario le corti entrano in contatto con attività di altre corti. Nell’applicazione di parametri normativi a fatti della vita per la composizione di controversie civili, la gestione di interessi di minori, incapaci, ecc., o la punizione di reati, accade di rado che le corti desumano gli elementi utili alla decisione esclusivamente dalla solitaria interpretazione delle norme giuridiche e dall’attività delle parti del processo. Frequentemente, nell’interpretare il parametro decisorio, esse tengono conto di precedenti pronunce di altre corti su fattispecie simili, specialmente laddove l’ordinamento investa una particolare corte della funzione di assicurare l’uniformità dell’interpretazione del diritto. Si pensi alle corti di cassazione o di revisione, ma anche alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in virtù del rinvio pregiudiziale1. Laddove entrino in gioco norme costituzionali presidiate da una corte, è inevitabile il richiamo alla giurisprudenza di quest’ultima. Laddove entrino in gioco diritti e libertà garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, è inevitabile il riferimento alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Rapporti tra corti sorgono non solo in relazione alla decisione della causa, ma anche in relazione allo svolgimento di attività processuali strumentali a quest’ultima. Il tema – trattato in genere sotto l’insegna di «cooperazione giudiziaria» (in senso stretto) – investe a sua volta una molteplicità di profili in piena evoluzione, che in questa sede non possono essere nemmeno elencati2.
Si intreccia con il tema dei rapporti tra corti quello dei rapporti personali fra giudici, che rivestono un carattere più o meno formale (associazioni e reti tra giudici, presidenti di uffici giudiziari; seminari e incontri di studio, ecc.). La rilevanza di tali incontri per l’evoluzione del diritto, specialmente sul versante dei rapporti tra ordinamenti nazionali e internazionali, è notevole. Tale intreccio è plasticamente profilato dall’attuale presidente del Tribunale costituzionale federale tedesco Andreas Voßkuhle: «In modo simile alle lingue anche i tribunali operano come prismi diversamente sfaccettati, che riflettono, ma contemporaneamente rendono anche possibili, differenti concezioni giuridiche e della vita ... La Corte costituzionale tedesca, la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte europea dei diritti dell’uomo non giudicano in maniera isolata l’una dalle altre, bensì in modo reciprocamente coordinato. Decisioni contenutisticamente divergenti sono state adottate di rado, mentre occasionali dissonanze hanno dispiegato sempre una forza generatrice di nuovi sviluppi ... Ma il circuito europeo delle corti costituzionali va ben al di là dei tre attori appena nominati. In particolare non possono rimanere privi di menzione le corti costituzionali degli altri stati europei e gli scambi culturali e di esperienze che si svolgono con loro. Le corti costituzionali degli stati membri cooperano non solo nel circuito delle corti costituzionali con la Corte di giustizia e la Corte europea dei diritti dell’uomo, bensì anche le une con le altre, per esempio attraverso l’interazione personale dei loro giudici, così come attraverso la reciproca recezione della loro giurisprudenza. La giurisprudenza delle corti costituzionali in circuito si rivela così una disputa discorsiva circa la ‘migliore soluzione’, cosicché il circuito delle corti costituzionali diventa alla fine un ‘circuito di apprendimento’»3. Per inquadrare il contesto in cui l’agire comunicativo delle corti e dei giudici si manifesta a livello europeo, Voßkuhle propone di adottare la nozione di Verbund, «in cui sono egualmente riposte le idee di autonomia, di rispetto reciproco e di capacità di agire insieme». Il concetto di Verbund può rivelarsi in effetti un utile strumento di analisi e di ricostruzione di quella «global community of transnational adjudication»4 in cui i giudici si sentono progressivamente inseriti, caratterizzata da scambi culturali e di esperienze, da interazioni personali, al di là dei recinti ancora eretti sulla base dei confini nazionali e delle partizioni tra le scienze. Questo intreccio attende ancora di essere adeguatamente messo a fuoco secondo un approccio interdisciplinare. Nel seguito ci si occuperà specificamente del dialogo tra corti nazionali, europee e internazionali di tono «costituzionale» e attinente all’attività decisoria. È uno dei grandi temi del diritto contemporaneo. Le ragioni di questo successo non sono difficili da individuare5. In parte sono legate a sviluppi interni al diritto contemporaneo. In parte sono attinenti all’evoluzione del rapporto tra diritto e realtà sociale.
La svolta che la storia giuridica dell’Europa continentale aveva conosciuto alla fine del Settecento, con la realizzazione di un monopolio del diritto da parte dei detentori del potere politico, e quindi dello Stato nazionale, aveva relegato il diritto in un ruolo ancillare rispetto alla politica6. Il monopolio delle fonti del diritto fondate sull’autorità politica, fondate «sull’idea che il legislatore crei il diritto, partendo da un programma politico che con esso ci si propone di attuare e di imporre», aveva condotto ad una corrispondente svalutazione delle fonti culturali, fondate «sull’idea che il giudice (o il giurista in genere) trovi il diritto, mediante una ricerca svolta essenzialmente con l’uso della ragione»7.
Il fattore fondamentale di rottura di questo assetto è costituito dal varo delle costituzioni democratiche nell’Europa continentale (specialmente in Italia e in Germania) dopo la seconda guerra mondiale. In particolare, la rottura è segnata dalla entrata in funzione dei meccanismi di controllo di costituzionalità delle leggi ordinarie, affidate a corti costituzionali.
La crescente internazionalizzazione dei rapporti sociali ed economici ha successivamente messo in crisi non solo il dominio della ordinaria legge statale sul diritto, ma anche il monopolio dello Stato nazionale sulla giurisdizione. La fisiologica inettitudine degli ordinamenti giuridici nazionali a regolamentare in modo efficiente i rapporti transnazionali ha fatto sì che la disciplina tendesse a trasferirsi dal piano della legislazione statale ad istanze internazionali o astatuali. Ma la progressiva incidenza di fonti normative internazionali o sovranazionali non ha lasciato al riparo gli stessi rapporti interni allo Stato.
Un ruolo normativo a livello regionale europeo giocano istituzioni sovranazionali, cui una determinata comunità di Stati ha attribuito il potere di emanare atti normativi con efficacia diretta, all’interno dei rispettivi ordinamenti nazionali, e prevalente sulle norme nazionali (Unione europea), nonché istituzioni di protezione internazionale dei diritti dell’uomo (Convenzione europea dei diritti dell’uomo). Entrambi i sistemi sono presidiati da corti giudiziarie, che con la loro opera hanno determinato alcuni fra i maggiori rivolgimenti del diritto in Europa nella seconda metà del secolo XX.
I fenomeni sorti da questi sviluppi sono evidenti: dal ravvicinamento tra le tradizioni giuridiche di common law e di civil law, alla compenetrazione tra ordinamento interno e ordinamento internazionale, alla crisi del sistema delle fonti nonché delle virtù ordinanti possedute dalle tradizionali branche del diritto, alla prevalenza del momento applicativo rispetto alla astratta previsione legislativa del diritto.
Oltre a questi aspetti, che possono ancora essere racchiusi entro l’etichetta della crescita impetuosa del diritto di formazione giurisprudenziale, vi è una ragione del successo del tema che attiene specificamente all’interazione delle corti tra di loro. L’espressione «dialogo tra le corti» non è affatto neutrale, avalutativa, anonima, ma si carica immediatamente di un valore, di una visione ottimistica, quasi idilliaca. Essa è chiamata a sconfiggere la fosca «ipotesi speculativa», formulata all’inizio degli anni settanta del secolo XX nel teorizzare il concetto di Weltgesellschaft, di società-mondo: la previsione che il diritto globale avrebbe sperimentato una radicale frammentazione, non secondo confini territoriali, ma lungo linee di frattura sociali ed economiche8. Una previsione accentuata da odierni sostenitori, secondo i quali la frammentazione del diritto globale sarebbe progressiva e irrimediabile, potendosi aspirare solo ad un legame tenue di unità collidenti ed a provvisorie soluzioni di conflitti9.
Se si sacrificano visioni chiaroscurali e posizioni intermedie, si può osservare che questa concezione pessimistica è fronteggiata da un’altra opposta, secondo la quale le varie relazioni tra ordini nazionali e ordini sovranazionali, da un lato, e tra i diversi ordini sovranazionali, dall’altro lato, possono essere coordinate. Ciò può avvenire non già attraverso le azioni politiche dei governi nazionali, bensì piuttosto attraverso l’azione delle corti, nazionali, sovranazionali e globali, che fissano le regole di convivenza tra ordini giuridici diversi, collegandoli tra di loro, ricomponendo così almeno in parte la frammentazione del diritto globale nel quadro di una «diversità sostenibile»10. Questa idea, che può trovare una fondazione filosofica nella Diskurstheorie di Jürgen Habermas11, ha trovato nella recente letteratura italiana felice espressione in una recente opera12.
Vi è infine una ragione del successo del dialogo tra le corti che attiene alle evoluzioni del rapporto tra diritto e realtà sociale. Se il diritto gode oggi di una rinnovata, fortunata stagione nella società (in questo caso il discorso si rivolge specificamente alla realtà italiana), «non più riservato a piccole cerchie di iniziati ai suoi formalismi tecnici, non più confinato nell’angusto perimetro delle esercitazioni accademiche»13, ma affrancato dalla sua tradizionale «separatezza» rispetto alle correnti culturali contemporanee e coinvolto nei dibattiti dell’opinione pubblica, ciò si deve anche al fatto che il dialogo tra le corti ha toccato temi centrali della vita individuale delle persone, nonché della vita collettiva delle nazioni.
Ciò consente di cogliere nel dialogo tra corti nazionali, europee e internazionali uno dei tanti elementi della «nuova questione costituzionale»: se possano darsi assetti costituzionali al di là dello stato nazionale. Tra le due posizioni fondamentali, la prima che constata il declino del costituzionalismo moderno legato allo stato nazionale, oggi minato nei suoi fondamenti dal processo di integrazione europea, nonché dal sorgere di regimi transnazionali14, la seconda che sviluppa l’idea di una costituzione per l’intera società europea e poi per la società mondiale15, guadagna terreno e attenzione una terza posizione, che cerca di porre la questione costituzionale «non solo in rapporto alla politica e al diritto, ma in rapporto a tutti i settori della società»16. In effetti, in confronto con la vecchia questione costituzionale del diciottesimo e del diciannovesimo secolo, si pongono oggi problemi di tipo diverso, ma non meno grave: «se allora si trattava di liberare le energie politiche dello Stato nazionale e contemporaneamente di delimitarle dal punto di vista giuridico, gli attuali processi di costituzionalizzazione sono diretti ad arginare gli effetti distruttivi di ben altre energie sociali, particolarmente avvertibili nell’economia, ma anche nella scienza e nella tecnologia, nella medicina e nei nuovi mezzi di comunicazione»17.
In linea con la concezione del Libro dell’anno, si mette a fuoco una vicenda che ha avuto un epilogo nel 2012: quella relativa all’immunità giurisdizionale della Repubblica Federale Tedesca per crimini nazisti commessi in Grecia e in Italia. In questa storia si segnala all’inizio una coraggiosa pronuncia della Corte di cassazione italiana del 200418. Fondandosi sul rispetto dei diritti inviolabili della persona umana come principio fondamentale dell’ordinamento internazionale, la Corte italiana aveva negato l’immunità giurisdizionale alla Germania in presenza di comportamenti dello stato straniero di tale gravità (quelli tenuti durante il nazismo) da configurare, in forza di norme consuetudinarie di diritto internazionale, crimini internazionali. Quest’orientamento della Corte di cassazione, siccome manifestatosi in successive pronunce, ha suscitato la reazione della Repubblica Federale Tedesca, che nel 2008 ha convenuto in giudizio la Repubblica italiana dinanzi alla Corte internazionale di giustizia. La Germania ha fatto valere che attraverso questo orientamento giurisprudenziale l’Italia ha violato l’obbligo di diritto internazionale di riconoscere l’immunità giurisdizionale della Repubblica Federale Tedesca come Stato sovrano. La pretesa della Germania è stata accolta con la sentenza della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012, che può essere letta sul sito della Corte19. Nel frattempo si registrano le prime pronunce di Corti italiane che, pur con motivazioni e in fattispecie diverse, attribuiscono prevalenza a tale decisione nei giudizi in corso20.
La terza ed ultima parte si rivolge a due serie di profili problematici: la prima concerne la vicenda appena focalizzata; la seconda il tema più generale del dialogo tra corti.
Lo studioso del processo civile italiano poco avvezzo a frequentare gli ambienti del diritto internazionale rimane sbalordito dalla sentenza della Corte dell’Aja. Egli non si è ancora del tutto riavuto dalla vicenda del difetto assoluto di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione («hai torto, quindi ti nego il giudice», così la sintetizzava Mantellini), che gli viene propinata una storia ancora peggiore: «hai ragione, ma io ti nego il giudice lo stesso». Infatti la Corte internazionale di giustizia riconosce sul piano sostanziale il torto subito dalle vittime delle atrocità naziste, ma nega che esso – in quanto frutto di un’attività iure imperii – possa essere fatto valere in un giudizio civile promosso dalle vittime nei confronti dello Stato sovrano. È evidente che questo risultato può essere razionalizzato unicamente sostituendo il potere di azione giudiziaria dei singoli con il potere di negoziazione politica tra gli Stati coinvolti in questa vicenda (la Germania e gli Stati nazionali delle vittime) al fine di sanzionare in qualche modo i torti commessi (ciò che infatti la stessa Corte dell’Aja fa capire). Questo aspetto non può essere trattato in questa sede21.
Il secondo profilo problematico di questa prima serie concerne l’impatto della sentenza della Corte internazionale di giustizia sulle sentenze già passate in giudicato. Esse cessano di avere effetto, probabilmente senza necessità di adottare una legge ad hoc di esecuzione, potendosi far valere la decisione della Corte dell’Aja direttamente come motivo di opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.), secondo i principi generali (art. 10 Cost.): le norme di diritto internazionale consuetudinario (come concretizzate in questa fattispecie dalla Corte internazionale di giustizia) prevalgono sulle norme di diritto interno, ivi compresi i precetti scaturenti da sentenze passate in giudicato.
Residua teoricamente solo la possibilità di sollevare questione di legittimità costituzionale a protezione dei principi fondamentali dell’ordinamento (non già il giudicato, bensì l’esigenza di punire crimini internazionali, quanto meno quelli commessi sul suolo nazionale), intesi come resistenti rispetto ad un così pesante adattamento al diritto internazionale. Probabilmente non sarebbe male che una tale questione venisse sollevata, per immettere anche la Corte costituzionale italiana in questo dialogo (come poi quest’ultima dovrebbe decidere è il proverbiale: “altro paio di maniche”).
Ritornando ai piccoli problemi dello studioso del processo civile, niente di sorprendente che i giudicati cedano. La tradizione ci ha consegnato l’immagine di un giudicato civile che, come lex specialis, conforma la realtà sostanziale, l’ambiente esterno su cui esso viene ad incidere: il giudicato facit de albo nigrum, aequat quadrata rotundis, ecc. Si ricordi la concezione di Salvatore Satta: l’ordinamento si fa nel concreto, essenzialmente attraverso il processo. La negazione della rilevanza giuridica della sentenza ingiusta, o quanto meno la negazione che l’eventuale divergenza tra l’accertamento giudiziale e la situazione sostanziale anteriore possa produrre effetti giuridici è il dato dogmatico fondamentale della teoria del giudicato. Ripensiamo alla dottrina classica tedesca, in cui è scoppiata l’accesa polemica tra teoria processuale e teoria sostanziale del giudicato. Konrad Hellwig e Max Pagenstecher erano su fronti contrapposti, la dottrina era spaccata in due sul modo di spiegare come mai non si potesse predicare l’ingiustizia della sentenza. Ma su di un punto erano fondamentalmente tutti d’accordo:Rechtskraft ist eben Rechtskraft. Il giudicato è per l’appunto il giudicato. Oltretutto nella lingua tedesca il termine Rechtskraft («forza del diritto», «vigore giuridico») esprime plasticamente l’idea che il giudicato guarda l’ordinamento giuridico ad altezza d’occhio e costituisce la quintessenza dell’attuarsi dell’ordinamento nel caso concreto.
Già dalla seconda metà del secolo XX si è però scoperto o riscoperto ciò che è naturale: l’ordinamento giuridico conforma e dimensiona il giudicato, molto più di quanto l’ordinamento sia conformato dal giudicato. Il problema sorge quando c’è una sentenza di cui si predica sostanzialmente l’ingiustizia, perché il giudice non ha individuato la norma giuridica corretta o l’ha interpretata male. Si risponderà: vi è il principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Ma riflettiamoci un attimo: l’applicazione di questo principio alle quaestiones iuris è molto più “pesante” della sua applicazione alle quaestiones facti. Tanto pesante da entrare in crisi, certo non in generale, ma in alcune ipotesi particolari, però di centrale importanza.
Ad esempio: se la legge che il giudice ha applicato per risolvere la controversia viene successivamente dichiarata incostituzionale, che ne sarà di quel giudicato? Questo è un problema davvero serio, sulla quale non si è riflettuto abbastanza, poiché ci si è cullati sull’idea tradizionale dei rapporti esauriti, sottovalutando la radicale novità del tema. Questa situazione non si può affatto appiattire su quella del contrasto del giudicato con una legge ordinaria mal individuata o male interpretata. Non si può accreditare l’intangibilità del giudicato, in questo caso, se non elevandone la protezione a livello costituzionale. Ma la soluzione di una indiscriminata intangibilità del giudicato appare troppo rigida. In un ambiente in cui si afferma il bilanciamento delle garanzie costituzionali le une con le altre, perché mai la garanzia costituzionale del giudicato non deve poter essere bilanciata? E se al giudicato non è stata data ancora esecuzione al tempo della decisione di accoglimento della Corte costituzionale come si potrà tollerare un’esecuzione forzata contra constitutionem? La risposta è che non si può tollerare, ed infatti non la tollera esplicitamente l’ordinamento tedesco con una disposizione, il § 79 BVerfGG, che sotto questo profilo merita di essere importata in via interpretativa anche in Italia.
Il problema raggiunge il suo acme con il sovrapporsi di giurisdizioni internazionali e sovranazionali. In questo quadro di ulteriore moltiplicazione e sovrapposizione dei piani di normatività, si lanciano alle decisioni dei giudici nazionali le sfide più recenti e impegnative. L’idea del giudicato come manifestazione definitiva della volontà della legge statale in riferimento alla fattispecie concreta oggetto della cognizione giudiziale, già entrata in crisi con il sovrapporsi della dimensione costituzionale nazionale e del controllo di costituzionalità, è chiamata attualmente a confrontarsi con i piani della legalità internazionale e sovranazionale, il cui rispetto è affidato parimenti al controllo di corti giudiziarie.
Passiamo alla seconda serie di profili problematici, concernente il tema generale dei rapporti tra corti attinenti all’attività decisoria. È probabile che la cultura giuridica di civil law non sia ancora sufficientemente attrezzata per apprezzare la diversità tra formazione legislativa e formazione giurisprudenziale del diritto. Nel passaggio dall’assolutismo giuridico, in cui la legge statale era tutto il diritto, ad un forte assetto pluralistico, con il moltiplicarsi e l’intrecciarsi dei piani di legalità (regionale, statale, costituzionale, sovranazionale, internazionale), sono venute meno le ragioni storiche che hanno sostenuto la negazione del carattere di fonte del diritto delle pronunce giudiziali. Passerà ancora del tempo prima che se rendano conto tutti, ma la direzione di marcia è segnata22. Certamente, questo riconoscimento deve rispettare le caratteristiche proprie delle pronunce giudiziali e distinguere le ipotesi in cui la sentenza giudiziaria è fonte di norme interpretative di regole giuridiche, ovvero di precetti che concretizzano principi, oppure ancora di norme integrative dell’ordinamento (come accade a quelle pronunce che colmano lacune, testuali o valutative, delle norme giuridiche generali ed astratte). Di conseguenza anche il grado di creatività della pronuncia del giudice è diverso a seconda del tipo di parametro normativo anteriore che essa è chiamata ad interpretare o integrare: sarà minore quando si tratti di interpretare una regola (che colleghi un effetto ad una fattispecie), sarà maggiore quando si tratti di interpretare un principio (che non collega il proprio contenuto precettivo ad una fattispecie predeterminata)23.
La portata della norma legislativa (in particolare di quella che abbia struttura di regola), la sua capacità di disciplinare i futuri contegni umani è individuata attraverso una comparazione della fattispecie concreta da disciplinare sia con la fattispecie legale, sia anche – soprattutto – con la ratio legis. Quest’ultima esiste prima del fatto da disciplinare: la regola è appunto una previsione normativa. La ratio legis ha frequentemente, per non dire sempre, una proiezione normativa che eccede la descrizione legale della fattispecie: i vecchi brocardi dell’antica sapienza legis plus dixit quam voluit, lex minus dixit quam voluit lo confermano.
La ratio decidendi (in particolare quando il parametro sia un principio) ha natura ed attitudine normativa diverse dalla ratio legis24. La ratio decidendi è saldamente agganciata a quel fatto che si è già verificato nel passato e ha dato origine alla pronuncia giudiziale, un fatto che proietta permanentemente la propria ombra sul dictum giudiziale, con tutta la maggiore forza che, rispetto alla fattispecie legale astratta, gli deriva sia dall’essersi già verificato nella realtà, sia dal non dover temere la concorrenza della ratio legis. Da un lato, questo tratto rivela la debolezza della portata normativa della pronuncia giudiziale rispetto alla legge, che in apicibus discende dal principio della domanda, dal carattere necessariamente reattivo dell’intervento giurisdizionale. Dall’altro lato, questo tratto rivela la forza degli orientamenti giurisprudenziali: la loro capacità di reagire con circospezione, passo dopo passo, fatto dopo fatto, ai mutamenti della realtà25.
Il problema consiste nell’approfondire come operi questa evoluzione giurisprudenziale sollecitata dai nuovi fatti da giudicare. L’individuazione dei fatti rilevanti per la decisione del caso è un’opera di selezione e di costruzione, di tipizzazione in una fattispecie astratta (analoga alla fattispecie della norma giuridica, laddove quest’ultima rivesta la struttura della regola)26 dei fatti che il giudice trova dinanzi a sé, o meglio dei racconti che ne fanno le parti. È questa fattispecie ricostruita che è descritta nella ratio decidendi e trova espressione nella massima giurisprudenziale che viene elaborata poi dagli uffici studio della Corte e dalle redazioni delle riviste giuridiche. Al momento della decisione, anche la norma giuridica espressa in forma di principio si concretizza evidentemente in una regola. Ma le regole giurisprudenziali, le rationes decidendi, si applicano a quei casi della vita che giungono dinanzi al giudice, non alla fattispecie astratta che ne viene poi desunta.
Ne segue che la ricostruzione degli orientamenti della giurisprudenza non si può compiere se non attraverso la lettura attenta e integrale del testo delle sentenze, e non delle massime che se ne estraggono. La prima rilettura attenta e integrale del testo integrale delle sentenze è quella che fa la Corte stessa, con riferimento ai propri precedenti, per saggiare se vi sono margini per una conferma, per un distinguishing, se non per una modifica del proprio orientamento. La valutazione comparativa ha per oggetto le due narrazioni complete dei fatti della vita: la precedente e l’attuale. Si tratta di un lavoro lungo, che è da compiere senza risparmio di energie.
La “decostruzione” della tipizzazione della fattispecie sottesa al predente, la reimmersione nel flusso della narrazione processuale degli elementi di fatto stilizzati nella massima, ai fini del confronto con il nuovo caso da decidere, è operazione della massima importanza27.
1 Cfr. art. 267 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea - TFUE.
2 Sulla quale si veda da ultimo, Hess, B., Justizielle Kooperation, General Report World Congress on Procedural Justice, Heidelberg, 2011; Caponi, R., Cooperazione giudiziaria in materia civile ed integrazione europea, in Le istituzioni europee dopo il Trattato di Lisbona, in a cura di G. Amato e R. Gualtieri, Bologna, 2013.
3 Voßkuhle, A., Der europäische Verfassungsgerichtsverbund, in NVwZ, 2010, 1, 4.
4 Cfr. Slaughter, A.-M., A Global Community of Courts, in 44 Harv. Int’l L. J. (2003), 191.
5 In questa ricognizione si riprendono osservazioni già svolte in Caponi, R., Giusto processo e retroattività di norme sostanziali nel dialogo tra le corti, in Giur. cost., 2011, 3753.
6 Così, Grossi, P., Il diritto tra potere e ordinamento, Napoli, 2005, 16.
7 Così, Pizzorusso, A., Comparazione giuridica e sistema delle fonti del diritto, Torino, 2005, 41.
8 Così Luhmann, N., Die Weltgesellschaft, in ARSP 57 (1971), 21.
9 Così, Fischer-Lescano, A.-Teubner, G., Regime-Kollisionen. Zur Fragmentierung des globalen Rechts, Frankfurt am Main, 2006.
10 Così, Glenn, H.P., Legal Traditions of the World, IV ed., Oxford, 2010, 357.
11 Habermas, J., Fatti e norme. Contributi ad una teoria discorsiva del diritto e della democrazia (1992), trad. it. a cura di L. Ceppa, Milano, 1992.
12 Così, Cassese, S., I tribunali di Babele. I giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Roma, 2009.
13 Così Cappellini, P.-Conte, G., Maestri del diritto. Un invito alla lettura, in Paolo Grossi, a cura di G. Alpa, Bari, 2011, V.
14 Esponente di spicco di questa corrente di pensiero è Dieter Grimm, del quale si può leggere, tra i molti lavori, Zur Bedeutung nationaler Verfassungen in einem vereinten Europa, in Handbuch der Grundrechte in Deutschland und Europa, VI, 2, Europäische Grundrechte II - Universelle Menschenrechte, Heidelberg, 2009, 3.
15 Esponente di spicco di questa corrente di pensiero è J. Habermas, da ultimo in Zur Verfassung Europas, Berlin, 2011, 83.
16 Cfr. Teubner, G., Verfassungsfragmente, Berlin, 2012, 15.
17 Cfr. Teubner, G., Verfassungsfragmente, cit., 11.
18 Cass., S.U., 11.3.2004, n. 5044, Ferrini c. Governo della Repubblica Federale Tedesca, in Foro it., 2007, I, 936.
19 La sentenza può essere letta sul sito della Corte: www.icj-cij.org. Primi commenti: Consolo, C.-Morgante, V. La Corte dell’Aja accredita la Germania dell’immunità (che le Sezioni Unite avevano negato), in Corr. giur., 2012, 597 ss.; Hess, B., Staatenimmunität und ius cogens im geltenden Völkerrecht: der Internationale Gerichtshof zeigt die Grenzen auf, in 32 IPRax (2012), 201; Padelletti, M.L., L’esecuzione della sentenza della Corte internazionale di giustizia sulle immunità dalla giurisdizione nel caso Germania c. Italia: una strada in salita?, in Riv. dir. int., 2012, 444 ss.
20 Cass., 9.8.2012, n. 32139; Trib. Firenze, 14.3.2012; App. Torino, 14.5.2012; Trib. Roma, 13.6.2012, in corso di pubblicazione in Foro it.
21 Si rinvia a Caponi, R., L’intangibilità del giudicato nella successione tra norme, in Diritto intertemporale e rapporti civilistici, Atti del convegno nazionale della Società italiana degli studiosi del diritto civile, Napoli, 2013 (in corso di pubblicazione).
22 Nella letteratura italiana, la tesi secondo la quale il precedente giurisprudenziale è fonte del diritto è oggi argomentata con il massimo impegno da Pizzorusso, A., Delle fonti del diritto, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, I ed. 1977, II ed. 2011.
23 Per una critica della contrapposizione tra principi e regole, v. Ferrajoli, L., Costituzionalismo principialista e costituzionalismo garantista, in Giur. cost., 2010, 2771.
24 Su questi temi è molto utile la lettura della raccolta di scritti di Gorla, G., Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano, 1981. In particolare si segnala «Ratio decidendi» e «obiter dictum», 331.
25 Cfr. Caponi, R., Retroattività del mutamento di giurisprudenza: limiti, in Foro it., 2011, I, 3344.
26 Cfr. Gorla, G., «Ratio decidendi» e «obiter dictum», cit., 332; Hruschka, J., La costituzione del caso giuridico. Il rapporto tra accertamento fattuale e applicazione giuridica, Bologna, 2009.
27 Per l’applicazione di questa impostazione all’analisi di una concreta vicenda giurisprudenziale, in Caponi, R., Giusto processo e retroattività, cit.