DIANO (Diana), Giacinto, detto il Pozzolano
Nacque a Pozzuoli (prov. di Napoli) il 28 marzo 1731.
Pittore, la sua attività è ricordata solo a partire dal Napoli Signorelli e dalla guida del Sigismondo (1788-89). Alla mancanza di un adeguato profilo biografico da parte delle fonti settecentesche tentò di porre riparo G. B. Grossi (1820), facendo emergere i positivi contatti avuti dal D. con A. R. Mengs. Mentre nelle guide ottocentesche venivano progressivamente espressi giudizi positivi riguardo ad alcune delle sue opere (si ricordi l'apprezzamento del Chiarini, in Celano, 1856, per il soffitto di S. Andrea delle Dame dipinto "con tanta squisitezza da riscuotere il plauso degli intelligenti dell'arte per vivacità di luce, per accordo di tinte e per vaghezza di fisionomie"), il Dalbono nel 1859 riscopriva nel D. "uno dei più dolci pittori che l'epoca della fiacchezza abbia partorito". Attraverso i documenti pubblicati dal Borzelli (1900), è stato possibile poi inquadrare meglio la sua posizione all'interno dell'accademia napoletana del disegno fin dall'epoca della duplice direzione affidata a F. De Mura e a G. Bonito. Dopo la rigorosa analisi del percorso finale dell'artista, condotta dal Rolfs (1910) e sfociata in un negativo giudizio riguardo all'adesione tarda del pittore al classicismo, il De Rinaldis (1911) rivalutò, sulla scorta dell'Hermanin (1910), le notevoli qualità di decoratore espresse sui soffitti dei palazzi nobiliari (Serra di Cassano, Cellamare), aprendo la strada al più ampio e dettagliato profilo dell'attività del pittore, sviluppato dal Ceci (1913). Dopo l'inserimento del D. nella mostra napoletana del 1938 ad opera di C. Lorenzetti e la sottolineata presenza nell'ambito della pittura napoletana della seconda metà del Settecento da parte del Causa (1957) e del Bologna (1958 e 1962) il quale individuava nel suo percorso momenti di suggestioni batoniane, il saggio di S. Savarese (1969) apriva una nuova fase di studi sul pittore, rivolta non solo all'approfondimento dei termini cronologici delle sue diverse esperienze, ma soprattutto a focalizzare le componenti specifiche del suo linguaggio in relazione ai progressivi mutamenti. Nel 1971 N. Spinosa ampliava numericamente le conoscenze, consentendo di spostare l'attenzione anche sulla produzione relativa alla fascia periferica del centro partenopeo, e successivamente (1972) precisava il suo inserimento nell'orbita vanvitelliana. Le due mostre napoletane del '79 e dell'80 avrebbero segnato il momento della chiarificazione qualitativa della produzione dianiana, sollecitata soprattutto dall'esposizione di bozzetti relativi a diverse fasi della sua attività.
Visto nel suo svolgimento, l'itinerario pittorico del D. appare contrassegnato da un'iniziale predilezione per le soluzioni figurative adottate da F. De Mura nella cui bottega è ricordato nel 1752 e nel cui ambito probabilmente maturò la sua prima formazione. Negli affreschi del soffitto dello scalone del seminario di Pozzuoli (1755) e, sempre a Pozzuoli, nelle tele di S. Raffaele (Martirio di s. Caterina, 175[8]; Incoronazione della Vergine; Guarigione di Tobia, 1760, sul soffitto della sagrestia; nonché il Ritratto di don Domenico d'Oriano, che mostra una stampa tratta dal dipinto di N. M. Rossi del 1749 raffigurante Tobiolo e l'angelo), l'accoglimento dei termini propri dell'arcadia demuriana appare integrale, soprattutto nella scelta delle pose dei personaggi e nella rispondenza ritmica dei gesti, che rimandano agli esiti della Nunziatella riconsiderati sulla base delle più tarde esperienze demuriane. Un coerente sviluppo di tali scelte manifestano le tele del Presbiterio di S. Pietro Martire, raffiguranti S. Caterina che invoca il ritorno della sede pontificia a Roma e Iltrionfo della dottrina tomistica (ambedue del 1758, i cuibozzetti sono oggi nella collezione Di Biase a Napoli) e l'affresco della volta con un Miracolo di s. Domenico Soriano (1759).
Su tale linea si pongono anche i due ovati di S. Nicola alla Carità con Scene della vita di Tobiolo e le tele del 1760 per la cattedrale di Ischia (Assunta; Conversione di s. Agostino; S. Nicola da Tolentino) e per S. Maria delle Grazie a Pozzuoli con l'Assunta e l'Ultima Cena.
Del 1762 sono la Madonna del Rosario del santuario della Madonna dell'Arco, la Decollazione del Battista della cappella del seminario di Pozzuoli e la Sacra Famiglia di S. Agostino degli Scalzi, che attraverso un più spiccato gusto cromatico si ricollega alle Allegorie dipinte dal De Mura per i Savoia. A queste seguirono la Crocifissione di S. Agostino alla Zecca (1763), gli Episodi della vita di s. Giovanni di Dio, affrescati sulla volta della sala grande dell'ospedale di S. Maria della Pace (1764) e nel '67 la Lavanda dei piedi e Cristo che saluta Maria per il duomo di Pozzuoli (ora a Capodimonte), mentre nel 1768 nelle due tele per S. Agostino alla Zecca, con il Battesimo e la Conversione di s. Agostino, emerge, in un crescendo della densità dei valori atmosferici, pervasi da una luce dorata che rimanda al Giordano, un interesse nuovo verso l'ampliamento della dinamica spaziale.
Non andrà riferito alla prima delle due citate composizioni il bozzetto di collezione Pisani a Napoli: non solo perché l'ipotesi di uno "schema invertito" (N. Spinosa, in Civiltà del Settecento…, 1979, p. 264) risulta poco convincente, ma perché l'opera costituisce una prova del D. riferibile ad esperienze successive, dato l'accresciuto impegno formale, pur sempre ricondotto nell'ambito dei prelievi demuriani. Nel caso della seconda, andrà sottolineata la voluta coincidenza con espressioni tipiche del teatro metastasiano, sia perché queste avevano trovato già accoglienza all'interno del linguaggio demuriano, sia perché tali formulazioni riuscirono particolarmente efficaci per la propaganda religiosa del momento, sollecitata dall'azione vigile e suadente di Alfonso M. de' Liguori (cfr. il parallelo caso di Paolo De Majo). In tale fase si colloca anche il Martirio di s. Sebastiano del Museum of Art di Indianapolis.
La decorazione della volta della sagrestia della chiesa di S. Maria di Pozzano, realizzata su disegno di Luigi Vanvitelli, segnò l'inizio di una convergenza di interessi, soprattutto rispetto al nuovo ruolo assunto dalle architetture all'interno della composizione: il che fu certamente determinante per l'inserimento del pittore tra i docenti dell'accademia napoletana, su proposta dello stesso architetto, tra il 1771 e il '72, dopo la fondamentale impresa decorativa di palazzo Serra di Cassano (1770) e i lavori per il duomo di Santa Maria Capua Vetere (Assunta, 1770), per la chiesa del Corpus Domini di Gragnano (Ultima Cena, 1770: che ripeteva lo schema dell'omonima tela del De Mura per l'Annunziata di Capua; seguita dalla Caduta della manna, 1771, e dal Trasporto dell'arca nel 1773) e per l'Annunziata di Venafro (Madonna del Carmine, 1771; Vergine in gloria e santi; Gloriadella Croce). La ricerca di un più netto e definito ordine di stampo classicistico dovette indurre il D., nella fase di accoglimento delle istanze teoriche del Mengs, a non trascurare la fondamentale traccia lasciata da F. Solimena nella Cacciata diEliodoro dal Tempio al Gesù Nuovo, nonché a una attenta riconsiderazione degli esiti, tutti di ambito napoletano, maturati nella cerchia dei suoi discepoli, a seguito della virata classicistica dell'abate Ciccio. Così, ultimata la decorazione della sala dell'udienza nel palazzo del Banco dei poveri a Napoli (1772; Le arti figurative..., 1979, pp. 176, 186), venne nello stesso anno proposto dal Vanvitelli per la decorazione della sala della guardia del corpo del palazzo reale di Caserta (cfr. lettera del 3 sett. 1772, in Spinosa, 1972, p. 211).
Nel 1773 realizzò la Deposizione per S. Agostino alla Zecca e nel '75, per il santuario di S. Maria Materdomini a Nocera Superiore, l'Apparizione di Maria e il Ritrovamento della tavolamiracolosa. Nel 1776, in occasione della decorazione della volta della sagrestia di S. Agostino alla Zecca con la raffigurazione della Dedicazione del tempio di Salomone, l'aver assunto a modello l'omonimo affresco del Bonito, allora presente sulla volta di S. Chiara, comportò un notevole approfondimento dei preesistenti interessi cromatici, che gli consentì di impreziosire la materia attraverso raffinate striature luminose, che accompagnano la definizione della forma: un procedimento ancor meglio apprezzabile nel bozzetto oggi presso la National Gallery of Ireland a Dublino.
Dal punto di vista scenografico l'opera si poneva in netta direzione di continuità rispetto alla Gloria di s. Francesco di Paola di S. Maria di Pozzano, ma inclinava piuttosto verso il contenimento dell'apparato architettonico, sottoposto sapientemente ad un gioco di emergenze di corpi, di panni disciolti o annullati per forza d'ombra. Attraverso la riproposta di alcune delle maggiori espressioni del Bonito si tendeva a riavvalorare anche alcuni dei suggerimenti più significativi maturati nella prima metà del Settecento, non esclusa la dinamica sensibilizzazione cromatica messa in atto da F. Peresi: un percorso destinato a sfociare necessariamente nella riscoperta della produzione del Giaquinto nota a Napoli.
Nelle quattro tele per la Trinità dei Pellegrini del 1778 (Lavanda dei piedi; Probatica Piscina; S. Filippo Neri e i confratelli dei Pellegrini accolgono gli storpi; Lavanda dei piedi presso i confratelli dei Pellegrini; il cui bozzetto è oggi nella collezione Pisani a Napoli) e nei due affreschi per la stessa chiesa (Estasi di s. Filippo Neri e Gloria dello stesso) il D. condensava le espressioni più mature della propria ricerca: a tale fase andrà ricondotto anche l'Enea e Didone della collezione privata a San Severo (Spinosa, 1979, p. 468, fig. 18).
Nel 1779 la richiesta del D., inoltrata insieme a P. Bardellino per sostituire G. Cestaro all'interno del gruppo dei collaboratori del direttore dell'accademia, venne accompagnata da un giudizio favorevole del Bonito, il quale sottolineava come in ambedue i pittori "concorrono tutti li meriti, non meno per aver dato bastante saggio della loro abilità e professione di Pittura, che per la loro bontà di costumi" (cfr. Le arti figurative..., 1979, p. 315 n. 39). Nei dipinti dell'81 per la Pietà dei Turchini (Deposizione e Nascita di Maria nell'abside; Adorazione dei pastori, Circoncisione, Adorazione dei magi, Strage degli innocenti e affreschi con Scene della vita di Cristo, nel cappellone a sinistra) il D. puntò ad equilibrare il brulicante addensamento dei corpi attraverso l'uso di un colore smaltato, che nella vivace lucentezza degli incarnati condensava un'intenzionalità di definizione dei contorni ormai dichiaratamente neoclassica. Il bozzetto dell'Adorazione dei magi è oggi nella collezione Capomazza a Napoli, mentre quello della Strage degli innocenti si conserva a Minneapolis (The Institute of Arts). Nel 1782 realizzò l'Annunciazione per la Real Casa santa dell'Annunziata e nello stesso anno le tele per S. Caterina da Siena (Crocifissione e Madonna del Rosario); nell'83 il S. Agostino e il Tobiolo e l'angelo per S. Pietro ad Aram; nell'84 i due Miracoli di s. Potito per l'omonima chiesa napoletana, in cui gli elementi architettonici assumono netta prevalenza, e nell'85 eseguì una Crocifissione per S. Giuseppe dei Ruffi ed inviò alcune tele a Frosolone: Madonna del Rosario; Madonna del Carmine; S. Giuseppe.
Il documento del 26 marzo 1788 (Le arti figurative..., 1979, p. 316 n. 41), Poi, interviene utilmente a chiarire i tempi dello spostamento del pittore in Abruzzo, in quanto contiene la richiesta del D. al sovrano per potersi allontanare da Napoli e quindi interrompere l'insegnamento accademico per un periodo di tre o quattro mesi, in modo da poter realizzare i numerosi interventi pittorici richiestigli nel duomo di Lanciano (non Cangiano), dove eseguì gli Evangelisti nei pennacchi della cupola nel 1788 e l'anno successivo tre scene bibliche sulla volta, in una delle quali, la Dedicazione del Tempio di Salomone, riutilizzò il medesimo schema compositivo di S. Agostino alla Zecca.
La sosta in Abruzzo dovette però prolungarsi oltre il previsto, se il D. si vide costretto a chiedere al re anche una proroga dei termini relativi al concorso bandito per il posto di direttore dell'accademia, resosi vacante per la morte del Bonito (cfr. Borzelli, 1900, pp. 125 s.).
In tale occasione il pittore trovò modo di precisare anche la propria posizione riguardo alla prova stabilita, non condividendo l'esecuzione di una "macchietta" e proponendo piuttosto la decorazione di un'intera parete di una delle sale di palazzo reale: posizione che trovò consensi e che finì tuttavia per convertirsi in richiesta di miglioramenti economici da parte del gruppo dei "dissidenti" (cfr. Le arti figurative…, 1979, pp. 321 s., nn. 59-63).
Lo spegnersi delle vitali energie innovative divenne consequenziale anche all'atteggiamento programmatico della corte borbonica, che favorì gli orientamenti di più rigida ripresa classicistica in contrapposizione ad ogni residua traccia di solimenismo, finendo per tradurre in esigenza normativa quanto precedentemente proposto dal Vanvitelli in termini di integrazione pittorico-architettonica. Il D. si trovò così ad imprimere alle sue composizioni un marchio ancor più netto di adeguamento ai canoni classici di chiarezza e di armonia, riducendo l'emergenza cromatica e i colpi d'ombra a favore di una limpida delineazione delle forme. A quanto traspare dalle opere dell'ultimo periodo di attività: le numerose tele per la parrocchiale di Quindici (1790), la tela coeva di S. Sebastiano a Caserta, la Immacolata Concezione di S. Potito a Napoli, nonché l'Assunta della Croce al Mercato (1791) e il soffitto di S. Andrea delle Dame (Trionfo della Vergine, 1792). Solo l'affresco di palazzo Martinetti Bianchi a Chieti (1796) rappresentò un momento di notevole ripresa inventiva, non parimenti sostenuta nel S. Giuseppe Calasanzio per S. Domenico a Chieti, né nelle tele con la Madonna del Rosario per l'omonima congregazione di Gragnano (1800), né nella Visitazione del duomo di Castellammare (1802).
Il D. morì a Napoli il 13 ag. 1803. Fu suo fratello il pittore Vincenzo Diano.
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