diastole
I metricologi chiamano d. l'avanzamento dell'accento che si verifica nel verso per necessità ritmiche (‛ sistole ' il fenomeno contrario): spesso è difficile stabilire se tale avanzamento dell'accento sia dovuto essenzialmente al ritmo. Si ricordano i tipi If XXXI 34 Come quando la nebbia si dissìpa; Pg XIV 54 che non temono ingegno che le occùpi; XX 8 per li occhi il mal che tutto 'l mondo occùpa; Pd XXVIII 21 come stella con stella si collòca; VI 91 Or qui t'ammira in ciò ch'io ti replico; XXVI 94 divoto quanto posso a te supplìco; Pg XIII 120 letizia presi a tutte altre dispàri; XXIX 134 vidi due vecchi in abito dispàri (" dispàri " anche in Petrarca); Pd IX 142 (ediz. '21) tosto libere fiera de l'adultèro. Si tratta di forme dotte in cui l'avanzamento di accento non è arbitrario, ma favorito per un lato dall'influsso francese e provenzale (lingue che fanno cadere l'accento sull'ultima sillaba sonora, per la nota tendenza a eliminare il ritmo proparossitono). Il caso più noto (è di tutta la tradizione poetica predantesca, indi petrarchesca, e rimasto stabilmente nella lingua poetica italiana) è l'accentazione piana di ‛ umìle ': cfr. Vn XXII 9 1 (e, per analogia, simìle ' al v. 4, piano anche in Petrarca), XXIII 27 71, XXVI 12 9, XXVII 5 14, Rime LXXX 13, Rime dubbie XV 14, XVI 9, Pg VIII 24, Pd VI 135 (ma ‛ ùmile ' più frequentemente nella Commedia: If I 106, Pg I 135, X 65, XXIX 142, Pd XI 87, XXXIII 2) con accento provenzale (umìl); e cfr. Cino, Cavalcanti, Chiaro, ecc. Ma pei tipi citati ‛ dissìpa ', ‛ occùpa ', ‛ collòca ', ‛ replìco ', ‛ supplìco ' si tratta d'altro lato di parole composte nelle quali la posizione dell'accento obbedisce alla tendenza generale già del latino volgare a restituirlo al radicale, privato di accento nel latino classico sotto l'azione predominante del prefisso (latino cólloco, súpplico, ecc.). Già nella lingua parlata dunque l'accento passava, per una specie di ricomposizione della parola, dal prefisso all'elemento principale (supplĭcat, occŭpat, collŏcat, replĭcat, come implĭcat > italiano impiega, francese emploie, o recĭpit > italiano riceve, francese reçoit), evidente soprattutto quando si conserva il valore significativo della parola semplice (cfr. per es. ‛ dis-pàri '). La tendenza è anche confermata dalla poesia ‛ ritmica ' latina medievale in cui ci sono esempi di restituzione dell'accento sulla radice (Norberg). L'imitazione francese e provenzale è aiutata dunque dalla tendenza già antica a pareggiare l'accento del verbo composto con l'accento del verbo semplice (Caix, Parodi).
Per altri tipi di d. come ‛ tenèbra ' (Pd XIX 65 che non si turba mai; anzi è tenèbra), ‛ colùbro ' (Pd VI 77 che, fuggendoli innanzi, dal colubro), ‛ geomètra ' (If IV 142), ‛ penètra ' (Pd XX 24 de la sampogna vento che penètra, e XXXII 143 penètri), ‛ intègra ' (Pd XXVII 8 oh vita intègra d'amore e di pace), insieme ai non danteschi (ma vivi nella lirica delle origini) ‛ lugùbre ', ‛ salùbre ', ‛ funèbre ' (e cfr. Petrarca " celèbro ", " geomètra "), l'imitazione francese e provenzale è aiutata dall'oscillazione già antica tra ‛ pènetra ' e ‛ penètra ', ‛ tènebra ' e ‛ tenèbra ', ecc. (l'accentazione classica íntegrum ecc. fu soppiantata già in epoca imperiale nella lingua parlata da intĕgrum > italiano intero, spagnolo entero, francese entier; colŭbra [lo spostamento di accento da ‛ cólubra ' e ‛ culóbra ' era già avvenuto in latino volgare: cfr. siciliano culóvra, sardo colóra, spagnolo culebra, francese couleuvre]; tenĕbras ecc., perché l'accento batteva sulla vocale breve della penultima sillaba aperta quando seguiva un gruppo occlusiva + r o l). Naturalmente si trova sovente intégrum nella poesia ‛ ritmica ' medievale, o tenébras (Norberg). Ma si tratta di parole di doppia prosodia già nella poesia classica latina da Ennio in poi (un allungamento per posizione che riposa a sua volta sull'imitazione dotta della metrica greca), nella quale muta + liquida, com'è noto, costituiva una positio debilis per cui il poeta classico considerava come lunga la sillaba che conteneva una vocale breve seguita da quel nesso. Per la poesia colta delle origini è possibile presupporre la presenza del modello latino: i tipi danteschi citati ‛ intègra ', ‛ colùbro ', ecc. costituiscono dunque una reliquia della metrica classica.
Nella poesia delle origini incontriamo fenomeni di d. anche nella III plurale dell'imperf. indic. (Caix, p. 195): un solo caso in D.: Pg X 81 sovr'essi in vista al vento si movieno, in rima con pieno.
Bibl. - C.N. Caix, Le origini della lingua poetica italiana, Firenze 1880, 193-196; E.G. Parodi, La rima e i vocaboli in rima nella D.C., in " Bull. " III (1896) 105-107; ID., L'arte del periodo in D., ibid. X (1902) 76 n. 2; XXIII (1916) 29-33 (ora rist. in Lingua); P. Rajna, Il titolo del poema dantesco, in " Studi d. " IV (1921) 6 ss.; M. Lenchantin De Gubernatis, L'accentazione dei grecismi italiani, in " Arch. Romanicum " VII (1923) 71-83; Schiaffini, Testi LIV e n.; D. Norberg, Introduction à l'étude de la versification latine médiévale, Stoccolma 1958, cap. I " Prosodie et accentuation ", 7 ss., particolarm. 13-15 e 19; D'A.S. Avalle, Bassa latinità. Vocalismo, Torino 1968, 42-45; ID., Cultura e lingua francese delle origini nella " Passion " di Clermont-Ferrand, Milano-Napoli 1962, 83-84. Da consultare, con cautela, anche P.E. Guarnerio, Manuale di versificazione italiana, Milano 1893; G. Mari, Riassunto e dizionarietto di ritmica italiana con saggi dell'uso dantesco e petrarchesco, Torino 1901, 101-102; A. Levi, Della versificazione italiana, in " Arch. Romanicum " XIV (1930) 449 ss.