DIBOSCAMENTO (fr. déboisement; sp. desboscar; ted. Entwaldung; ingl. clearing)
Questa parola non va intesa nel significato, assai frequente, di taglio, abbattimento del bosco (v.), che viene spesso effettuato allo scopo d'ottenere la rinnovazione naturale del bosco stesso. Per diboscamento si deve invece intendere la distruzione del bosco, la sua definitiva scomparsa dalla superficie di terreno che esso occupava. Dove la civiltà s'impadronisce di territorî vergini e disabitati, una delle sue prime manifestazioni è il diboscamento effettuato allo scopo di creare le prime vie di comunicazione, e di destinare il suolo alle colture alimentari e industriali, allo sviluppo dei centri abitati. Perciò nei secoli scorsi in Europa e in America, oggi soprattutto nell'Africa equatoriale, immense superficie di foreste sono scomparse e scompaiono. In quest'opera di diboscamento quasi sempre s'è però ecceduto; nei paesi ricchi, di nuova conquista, si sono devastate enormi superficie di bosco spesso al solo scopo di facilitare le comunicazioni o di sfruttare, mediante colture di breve durata, la fertilità accumulata nei secoli dalla foresta, per poi lasciare il terreno in abbandono e cercarne di nuovi sempre a spese della foresta. È avvenuto così che, dopo un periodo più o meno lungo di dilapidazione del patrimonio forestale, s'è riconosciuta la necessità di arrestarla o almeno limitarla, per non creare un grave squilibrio tra le risorse silvane del paese e le sue esigenze; tanto più che, nei paesi montuosi, la foresta si impone come somma protettrice delle falde montane ed equilibratrice del regime idraulico.
Il diboscamento, quando sia eseguito allo scopo di sostituire alla foresta altre forme di produzione del suolo, può essere una vera necessità per il progresso economico e civile d'un paese. I limiti a cui può giungere, attraverso il tempo, il processo di diboscamento diretto a tale scopo, sono naturalmente variabilissimi a seconda delle condizioni d'ambiente fisico, economico e sociale dei singoli paesi; e la situazione attuale di molti paesi, a causa del mutare continuo di queste condizioni d'ambiente, può risentire le conseguenze del diboscamento effettuato anche in epoche remote. Comunque, si tratta ancora, in questo caso, di distribuzione di colture, cioè d'estensione di altre colture del suolo a spese della foresta preesistente.
Ben diverso è il caso, frequente soprattutto nei paesi mediterranei, di diboscamenti ai quali hanno fatto seguito colture poco razionali e di rapina, a carattere transitorio, oppure semplicemente il pascolo disordinato e senza freno. In tal modo al bosco distrutto si sono sostituiti terreni pressoché incolti o improduttivi e miseri cespuglieti; mentre sulle pendici montane denudate dal manto protettore della foresta, rapito dalle acque selvagge il terreno ch'essa aveva accumulato, l'erosione compie la sua opera funesta, scoprendo, incidendo la roccia, causando frane, scoscendimenti e rovine. E questo sfacelo è, a sua volta, causa prima della formazione dei torrenti, delle torbide e dei depositi alluvionali che essi trasportano ai fiumi, rendendone irregolare il regime. All'equilibrio idraulico assicurato dal bosco, mediante l'utilizzazione degli estremi di portata e mediante l'arricchimento della falda freatica sotterranea, si viene così a sostituire un crescente squilibrio, che si risolve in danno sempre più grave per la pubblica economia e per la stessa integrità del territorio nazionale.
È evidente che dove, sul terreno economico, la foresta difficilmente poteva essere vinta da altre colture, essa s'è mantenuta attraverso i secoli, e i diboscamenti hanno avuto limitato sviluppo (così p. es. in Finlandia, in Svezia, in Norvegia) mentre, dove per la mitezza del clima, per la densità della popolazione, per lo scarso valore dei prodotti forestali dovuto alla loro natura e ai difficili trasporti, la foresta è vinta da colture più ricche o almeno a più frequente reddito, i diboscamenti hanno avuto un fortissimo incremento. Queste condizioni si verificano appunto per l'Italia e per altri paesi mediterranei.
Per quanto concerne particolarmente l'Italia, è da rilevare che il diboscamento s'è manifestato nelle sue diverse regioni con intensità ed estensione oltremodo variabile a seconda delle profonde diversità d'ambiente e delle vicende storiche. I primi vasti diboscamenti s'iniziarono sul declinare dell'Impero romano, che, continuando l'opera della Repubblica, aveva con una saggia legislazione curato il rispetto delle selve e la creazione d'un vasto demanio forestale pubblico. Ma sotto il regno degli ultimi imperatori la pastorizia si disfrenò sui monti, devastando le foreste. Le prime invasioni barbariche aggravarono i diboscamenti e misero a fuoco le più belle selve erariali; questo stato di cose si perpetuò sino all'avvento dei Franchi e al successivo stabilirsi del feudalismo, che, specialmente per la formazione di grandi riserve di caccia, promosse la ricostituzione e il rispetto di vaste foreste. Ma, col sorgere dei liberi comuni, le servitù boschive vennero abolite, i beni feudali vennero quotizzati e distribuiti alle popolazioni e allora si verificò il più acuto periodo del diboscamento, del quale sentiamo ancora oggi le conseguenze specialmente nel Mezzogiorno. Due grandi repubbliche marinare, Genova e Venezia, dovevano però frenare in seguito il diboscamento con savie ed energiche leggi. Particolarmente la repubblica veneta curò con legislazioni mirabili la conservazione e il buon governo del patrimonio forestale; e da allora in poi tutti gli stati italiani, dal sec. XV all'unità della patria, promulgarono leggi per tutelare le foreste e contenere i diboscamenti. Leggi che però ebbero effetti assai varî, non tanto per la diversità della loro concezione, quanto per la diversità dell'ambiente in cui dovevano agire.
E così nella regione alpina, dove si venne formando un assetto della proprietà montana basato su un armonico coordinamento della proprietà privata, prevalentemente agricola, con la pubblica proprietà comunale, prevalentemente silvo-pastorale, i diboscamenti non ebbero tale estensione da spogliare le valli e le pendici montane del loro manto silvano, tanto più che si trattava di foreste in prevalenza di conifere, produttrici di legname da opera assai pregiato. Al contrario, nell'Appennino Meridionale, dove la quotizzazione dei feudi medievali aveva già dato un fierissimo colpo a quelle foreste, si verificò un crescente diboscamento per l'addensamento sulla montagna delle popolazioni cacciate dalle pianure malariche; non valsero leggi severe, come quella borbonica, ad arginare questa formidabile pressione demografica sul bosco, che fatalmente doveva cedere il posto alle colture alimentari e al pascolo. La quotizzazione dei beni ecclesiastici avvenuta in virtù della legge del 1866 aggravò ancora il fenomeno, cosicché le foreste furono distrutte dalla scure, dal fuoco e dal pascolo, mentre i magri seminativi, lasciati in preda alle acque, a poco a poco si degradavano e s'isterilivano, e venivano quindi abbandonati. I vasti demanî comunali, sede dei superstiti boschi, venivano così sempre più insidiati dalle popolazioni, che col pascolo e legnatico abusivo e con usurpazioni cercavano di procacciarsi quelle scarse risorse di vita ormai negate dall'esaurita produttività dei terreni coltivati.
L'Italia centrale presenta nel suo complesso una situazione intermedia tra la cerchia alpina e l'Appennino meridionale e la regione ove il diboscamento è stato maggiormente contenuto è la Toscana, soprattutto grazie alle risorse economiche della regione stessa, alla predominanza della grande proprietà privata, alla scarsa diffusione degli usi civici su demanî collettivi. In Toscana però, come nell'Umbria e nelle Marche, sono scomparsi in grandissima parte i querceti della zona collinare, per far posto alle colture della vite e dell'olivo, e questa trasformazione, che ha creato le basi dell'attuale economia agraria, continua tuttora, con ritmo regolato soltanto dalle disponibilità dei capitali che la trasformazione stessa richiede (v. bosco).