Dichiarazioni spontanee
Il codice di procedura penale, nel disciplinare l’attività della polizia giudiziaria (libro V, titolo IV), stabilisce le forme di documentazione della stessa, prescrivendo, all’art. 357, co. 2, lett. b), che sia redatto verbale delle «sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini».
Quale il valore di siffatte informazioni e dichiarazioni quando di esse non sia redatto dalla polizia giudiziaria il verbale prescritto, ma il contenuto delle medesime compaia inglobato in altri atti, quali le annotazioni o la stessa comunicazione della notizia di reato trasmessa all’autorità giudiziaria? In giurisprudenza si registrano due non coincidenti indirizzi interpretativi. Secondo un primo indirizzo, le dichiarazioni accusatorie, non verbalizzate ma raccolte dalla polizia giudiziaria in una nota informativa, devono considerarsi acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e ricomprese nelle ipotesi di inutilizzabilità patologica di cui all’art. 191 c.p.p.1.
Secondo altro indirizzo, non prevedendo l’art. 357 c.p.p. alcuna sanzione in caso di omessa verbalizzazione nelle forme previste dalla legge da parte della polizia giudiziaria, le dichiarazioni ricevute non sarebbero inutilizzabili o nulle, potendo l’ufficiale che le ha ricevute rendere testimonianza de relato, salvi i limiti di cui all’art. 350, co. 6 e 7, c.p.p.2.
Premesso che anche secondo l’orientamento più rigoroso è indiscutibile l’utilizzazione di dette dichiarazioni quale generica notizia di reato idonea ai fini di ulteriori investigazioni e che il problema controverso attiene alla loro utilizzabilità ai limitati fini della contestazione di cui all’art. 503, co. 3, c.p.p. ed all’attitudine a sorreggere il quadro indiziario necessario per l’adozione di unamisura limitativa della libertà personale, va detto che a detto orientamento è stata data di recente continuità3.
Si è affermato, sulla scorta delle precedenti decisioni di segno conforme, che, dovendosi escludere la compatibilità di tali dichiarazioni con i principi «fondanti il diritto delle prove penali in un sistema processuale accusatorio», le stesse, non potendo mai essere utilizzate in dibattimento, non possono neppure esser ritenute idonee ad integrare una prognosi di probabilità della colpevolezza dell’imputato, da ciò derivando la loro inutilizzabilità anche ai fini dell’emissione di una misura cautelare.
Onde non incorrere nella violazione del principio di tassatività di cui all’art. 191 c.p.p. si è, inoltre, sostenuto che nella disciplina di tale disposizione vanno «ricompresi tanto i divieti espliciti quanto i divieti impliciti individuati nelle norme che subordinano il compimento o l’uso di un atto a particolari forme, casi o presupposti, ponendo così una proibizione implicita per tutti quelli non contemplati, in vista di un‘utilizzazione che incide così pesantemente sui diritti personali
e patrimoniali delle persone».
Opportunamente, peraltro, si è precisato che non possono essere colpiti dalla sanzione dell’inutilizzabilità i casi in cui il dichiarante persona offesa del reato, legittimamente richiesto, rifiuti di verbalizzare le dichiarazioni rese e direttamente percepite dall’ufficiale di polizia giudiziaria, casi che costituiscono la doverosa documentazione di attività riconducibili a compiti istituzionali4.
L’esclusione della sanzione dell’inutilizzabilità è in tali ipotesi da condividersi, posto che si è in presenza di soggetto diverso dall’indagato, in relazione al quale l’obbligo di verbalizzazione è sancito dall’art. 357, co. 2, lett. c), c.p.p., la cui ratio giustificatrice non è riconducibile all’esigenza di tutela dei diritti difensivi.
Com’è noto, alla prescrizione – quale causa estintiva del reato di maggiore incidenza e dipendente da ragioni squisitamente pratiche ed organizzative – è frequente antidoto l’eventuale adozione, nel corso del processo, di atti dotati di efficacia interruttiva del suo decorso, ex art. 160 c.p.
In tale contesto si inserisce la problematica relativa all’efficacia interruttiva delle dichiarazioni spontanee. Indiscusso il carattere tassativo del catalogo degli atti dotati di efficacia interruttiva, di cui al citato art. 160 c.p.5, si rileva che in esso compare «l’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice», non, invece, le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato o dall’imputato. Sulla base di detti presupposti, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo rilevato come il semplice rilascio di dichiarazioni spontanee non possa «identificarsi ontologicamente con l’atto disciplinato dagli artt. 64 e 65 c.p.p.», atteso che gli atti interruttivi indicati nell’art. 160 c.p. si caratterizzano «per essere esplicazione, da parte dei preposti organi statuali, della volontà di esercitare il diritto punitivo in relazione ad un fatto reato ben individuato e rivolto alla conoscenza dell’imputato»6.
Ne deriva che le dichiarazioni spontanee, quale evento interruttivo della prescrizione, non rilevano in sé: in definitiva, assume rilievo il meccanismo procedimentale previsto dall’art. 374 c.p.p., il quale, sotto la rubrica presentazione spontanea, conferisce, al co. 1, la «facoltà di presentarsi al p.m. e di rilasciare dichiarazioni spontanee», e disciplina, al co. 2, le conseguenze derivanti dalla scelta dell’organo inquirente di contestare, a colui che si è spontaneamente
presentato, «il fatto per cui si procede» e di ammetterlo «a esporre le sue discolpe», stabilendo che «l’atto così compiuto equivale per ogni effetto all’interrogatorio» e debbono trovare applicazione le disposizioni di cui agli artt. 64, 65 e 364 c.p.p. Degna di nota, in siffatto contesto, è la pronuncia resa dalle S.U. n. 5838, depositata il 6.2.2014.
Il giudice della legittimità si è pronunciato sul problema dell’efficacia interruttiva delle dichiarazioni spontanee e dalla loro assimilazione all’interrogatorio, se preceduto dalla contestazione, proprio muovendo dal referente normativo innanzi indicato.
Ovviamente, affinché l’atto assuma tale valenza, occorre che ricorrano i presupposti previsti dall’art. 374 c.p.p., e in particolare: che le dichiarazioni spontanee siano rese all’autorità giudiziaria (e non, dunque, alla polizia giudiziaria) e che il fatto per cui si procede venga contestato al dichiarante in forma «chiara e precisa», tenuto peraltro conto del grado relativo di specificazione consentito dalle acquisizioni investigative sino a quel momento intervenute.
In presenza di tali presupposti le dichiarazioni hanno efficacia interruttiva della prescrizione.
Invero, come ribadito nella sentenza in questione, nonostante l’omessa inclusione delle dichiarazioni spontanee nel novero degli atti interruttivi ex art. 160 c.p., l’attribuzione alle medesime di efficacia interruttiva non si risolve in un’interpretazione estensiva in malam partem poiché «l’equiparazione all’interrogatorio – che è atto, normativamente, dotato di capacità interruttiva – non è frutto di interpretazione ermeneutica, essendo prevista ex lege dal menzionato art. 374, co. 2, del codice di rito».Il giudice di legittimità, risolta nel senso indicato la questione, si è anche occupato dell’ambito di applicazione dell’efficacia interruttiva, con riferimento alle posizioni dei coimputati diversi dal dichiarante. Pure per la risoluzione di tale, correlato, snodo, è stato individuato un preciso riferimento normativo, l’art. 161, co. 1, c.p., in forza del quale «la sospensione e l’interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato».
Ne deriva che le dichiarazioni spontanee, quando dotate di effetto interruttivo della prescrizione, spiegano tale efficacia anche nei confronti di soggetti diversi dal dichiarante.
L’effetto estensivo prescinde dalla contestuale valutazione procedimentale dei concorrenti, dovendo estendersi anche a coloro che vengono imputati del medesimo reato del dichiarante in momenti successivi7, ma con esclusione dei coimputati giudicati contestualmente per ragioni di connessione ma chiamati a rispondere di altri reati.
1 Cass. pen., 25.1.2012, n. 6355; Cass. pen., 1.4.2003, n. 21937; Cass. pen., 18.1.1993, n. 107.
2 Cass. pen., 18.10. 2012, n. 150; Cass. pen., 14.2.2002, n. 13103; Cass. pen., 29.11. 1999, n. 855.
3 Cass. pen., 4.12.2013, n. 6386.
4 In tal senso, già Cass. pen., 3.3.2005, n. 16411.
5 V. Corvi, P., Ribadita la tassatività degli atti interruttivi della prescrizione: l’avviso di conclusione delle indagini non è tra questi, in Indice pen., 2007, 647; Macchia, A., Gli atti interruttivi della prescrizione: un elenco forse da aggiornare, in Cass. pen., 1999, 1085. In giurisprudenza, Cass. pen., S.U., 22.2.2007, n. 21833.
6 Cass. pen., 22.4.1997, n. 6054.
7 Cass. pen., 14.1.2010, n. 3977; Cass. pen., 7.6.2001, n. 31695.