Didattica
Didattica e nuovi bisogni formativi
La ricerca educativa sui modelli didattici e sulle forme organizzative dell'insegnamento si presenta alquanto variegata e complessa. A partire dagli anni Settanta del 20° sec., infatti, sono stati avanzati modelli e metodologie nel tentativo di corrispondere ai nuovi bisogni posti dalle trasformazioni nel campo dell'istruzione scolastica e della formazione in generale, in parte dovute a fattori di ordine socioeconomico (primo fra tutti il fenomeno della progressiva estensione della scolarizzazione a livelli sempre più elevati di istruzione), e in parte conseguenti ai notevoli progressi in ogni campo delle conoscenze scientifiche e tecnologiche. Il fenomeno della globalizzazione delle economie, con effetti nel campo dell'organizzazione produttiva e del lavoro, della dislocazione delle risorse, dell'innovazione tecnologica e dello sviluppo, del sorgere di nuove professioni con differenti bisogni formativi; e quello dell'integrazione socioculturale nelle società multietniche hanno posto nuovi problemi ai sistemi formativi. Basti pensare all'influenza che il fenomeno dell'integrazione dei figli di immigrati finisce per avere non soltanto sull'organizzazione didattica, ma nella impostazione degli insegnamenti scolastici tradizionali (lingua, geografia, storia, religione, letteratura), tanto da sollecitare a definire nuovi equilibri tra identità nazionale e universalismo. Tenendo presente il quadro dei tradizionali sistemi formativi, le difficoltà sono molteplici e non riguardano soltanto le specifiche modalità dell'insegnamento, ma investono anche i contenuti. Sotto il profilo quantitativo, l'incremento delle conoscenze in ogni campo del sapere non poteva non riflettersi anche nell'ambito delle discipline d'insegnamento, richiamando l'attenzione su quei nuovi 'saperi' e quelle tecniche imposte dai processi di comunicazione di massa. Non potendo procedere in senso estensivo, il problema dei contenuti dell'insegnamento ha finito per riproporsi sotto l'aspetto qualitativo: quali contenuti insegnare, e in base a quali criteri selezionarli. Ciò significa, fra l'altro, ridisegnare il quadro d'insieme, distinguendo fra conoscenze strumentali o di base, conoscenze considerate fondamentali per tutti, conoscenze integrative o elettive, conoscenze specialistiche e così via. Operare una tale distinzione risulta difficile su base empirica, e comunque fuoriesce dall'ambito della ricerca didattica, finendo per coinvolgere scelte culturali e orientamenti politico-pedagogici di ampio respiro. Sotto il profilo metodologico la d. contemporanea si è trovata ad affrontare e a dover tenere conto di un doppio livello di apprendimento, le conoscenze e le competenze, sulla base dell'assunto, considerato primario, che le conoscenze formali non bastano se non sono in grado di convertirsi in dimensione operativa. Una tale prospettiva tende a valorizzare i processi del saper fare e del progettare, tradizionalmente esclusivi della formazione di tipo tecnico-professionale. La ricerca educativa si è indirizzata anche verso la valutazione e la determinazione di obiettivi formativi. Si sono studiate e sperimentate vere e proprie tassonomie degli obiettivi, variamente graduati e qualificati (obiettivi generali e specifici, cognitivi e affettivi, operativi e di sviluppo ecc.), nell'intento di aumentare l'efficacia dell'istruzione, assicurando ai suoi processi maggiore specificazione, concretezza, oggettività e verificabilità. La dimensione quantitativa, quella qualitativa e quella metodologico-valutativa vengono a incidere e, in qualche misura, a cercare una combinazione all'interno della d. vera e propria, la quale consiste appunto nell'organizzazione concreta dei contenuti dell'istruzione, nella definizione delle modalità di trasmissione-acquisizione delle conoscenze e nella loro verifica, nella individuazione e promozione attraverso gli insegnamenti e altre attività educative di tutte quelle competenze e capacità considerate non più trascurabili dai processi di istruzione.
Influenze della tradizione psicopedagogica
Fino agli anni Settanta del 20° sec., e in parte ancora dopo, sia la teoria sia la prassi didattica sono state notevolmente influenzate da orientamenti pedagogici e psicologici sviluppatisi nella prima metà del secolo, dei quali si sono avvertiti accanto ai meriti, anche i limiti e le insufficienze e si è cercato di delineare modelli e tecniche almeno in parte alternativi. La pedagogia attivistica, la psicologia genetica e dell'età evolutiva, la psicologia sperimentale di indirizzo sia associazionistico sia cognitivistico, pur muovendo da matrici culturali differenti e avendo obiettivi fra loro anche concorrenti, hanno svolto una funzione per molti versi benefica, notevolmente innovativa, a volte non priva di ingenuità e di pregiudiziali naturalistiche che sembravano da tempo superate, avanzando una critica pressoché radicale all'intellettualismo e al verbalismo dell'insegnamento scolastico tradizionale. L'attivismo pedagogico (da A. Ferrière a C. Freinet, da G. Kerschensteiner a M. Montessori, da G. Lombardo Radice a E. Codignola) ha insistito sulla necessità della partecipazione diretta dei giovani al processo di apprendimento, sulla promozione dell'autoeducazione anche attraverso materiali predisposti, sul rispetto della spontaneità e della libera scelta degli allievi, sull'intervento del docente sotto forma di aiuto e di stimolo, sul collegamento fra studio e attività manuali, artistiche o ricreative. Allo strumentalismo di J. Dewey, secondo il quale l'educazione doveva privilegiare l'attitudine a risolvere problemi della vita pratica e a misurarsi con le forme di vita democratica, si collegano il metodo per progetti di W.H. Kilpatrik e il movimento della educazione progressiva di C. Washburne e H. Parkhurst. All'attivismo risalgono anche il cosiddetto metodo globale e il criterio dei centri di interesse, dovuti a O. Decroly e che tanta attenzione e seguito hanno avuto in Italia, con riguardo all'istruzione elementare (e non solo). Notevole è stata l'influenza delle ricerche di psicologia genetica di J. Piaget, al centro delle quali si pone l'idea che l'asse evolutivo andrebbe dall'intelligenza sensorio-motrice a quella simbolica. Di qui la tendenza a privilegiare l'insegnamento fondato sull'esperienza diretta, a riconoscere un ruolo secondario al linguaggio, a sviluppare in particolare la conoscenza di tipo logico-matematico. Gli studi di psicologia sperimentale hanno favorito la nascita e lo sviluppo di teorie dell'apprendimento, che hanno concentrato l'impegno in modo pressoché esclusivo sul soggetto educando e sui condizionamenti dell'ambiente: apprendere non è tanto conoscere gli oggetti della realtà o le loro rappresentazioni formali, bensì operare a livello di comportamenti o di strutture. In tale contesto una programmazione didattica più concreta, oggettiva, verificabile prevede l'applicazione di tecniche di stimolo, rinforzo e feedback. L'istruzione programmata con tecnica lineare di B.F. Skinner o con la tecnica ramificata di N.A. Crowder, nonostante gli schematismi, si pone ancora alla base di programmi didattici al computer e nell'insegnamento a soggetti in difficoltà o portatori di handicap. I diversi orientamenti psicopedagogici hanno contribuito a una d. flessibile, non direttiva o non prescrittiva, definita anche progressiva (dal nome del movimento di educazione progressiva diffuso negli Stati Uniti). In generale, hanno trovato larga diffusione (dapprima nell'educazione della prima infanzia e dell'istruzione primaria, in seguito anche nella scuola superiore) criteri educativi e metodi didattici che hanno posto l'accento sullo sviluppo delle attitudini individuali più che sui contenuti dell'insegnamento, sulla spontaneità e creatività degli allievi più che sull'acquisizione di saperi formalizzati, sul lavoro di gruppo piuttosto che sullo studio individuale, sulla valenza educativa delle attività manuali, ludiche, sportive, sull'individualizzazione e sulla socializzazione dei processi educativi. I limiti, le deficienze, a volte anche i guasti risalenti all'attivismo e ad alcuni orientamenti psicopedagogici sono stati stigmatizzati, peraltro con scarsi esiti, da molti uomini di cultura e da esperti dell'istruzione. è ciò che si è verificato negli Stati Uniti, dove, a seguito dello shock prodotto dalla sorpresa del primo lancio dello Sputnik i sovietico nel 1957, J.S. Bruner, uno dei maggiori studiosi dei problemi dell'istruzione, e uomini di governo denunciarono l'inadeguatezza nel campo dell'apprendimento intellettuale degli orientamenti psicopedagogici prevalenti. Bruner ha cercato di stabilire correlazioni fra istruzione e strutture della conoscenza, mettendo tuttavia l'accento più sui 'processi' che sui 'dati' del sapere.
La ricerca di nuovi modelli
Nel tentativo di correggere almeno in parte i limiti della d. prevalente, sono stati elaborati nuovi modelli in grado di rispondere ai bisogni formativi dell'istruzione contemporanea. Tra questi, va ricordata la procedura del mastery learning, o apprendimento della padronanza, il cui modello più noto rimane quello di B.S. Bloom e J.B. Carroll, che ha trovato eco in Italia in A. Visalberghi e nella sua scuola. Si tratta in questo caso di una metodologia di istruzione individualizzata o personalizzata, la quale si propone di creare le condizioni perché tra gli allievi sia superata la distinzione iniziale fra rendimenti alti, medi o bassi, mettendo tutti nella condizione di raggiungere la meta finale. In tale metodo assume una funzione decisiva il fattore tempo, considerato in modo da contemperare: a) il tempo istituzionale previsto per lo svolgimento di una determinata unità didattica; b) il tempo individualmente necessario all'allievo per l'apprendimento di quella unità; c) il tempo che la persona è disposta a dedicare allo stesso lavoro. Oltre al fattore tempo, è importante la qualità dell'istruzione: essa dipende sia dai contenuti, che hanno una loro struttura di cui occorre tener conto in modo adeguato, sia dal modo di presentarli. Alcuni imparano facilmente per via simbolica, altri hanno bisogno di una visualizzazione intuitiva dell'oggetto di apprendimento, altri ancora di applicazioni pratiche per cui imparano facendo. Più in generale, nei metodi di istruzione individualizzata o personalizzata è essenziale stabilire i prerequisiti e gli obiettivi specifici di un programma; è opportuno altresì controllare il processo di apprendimento con una certa frequenza, realizzando un tipo di valutazione formativa in corso di lavoro, prima di quella consuntiva o finale, così da consentire la tempestiva organizzazione di interventi correttivi o di recupero. Di tale esperienza si è tenuto conto nella progettazione didattica curricolare, anche se alcune caratteristiche del modello difficilmente possono essere estese ai grandi sistemi scolastici. Tuttavia alcuni recenti interventi di riforma scolastica hanno cercato in qualche misura di prevedere sia forme e spazi di individualizzazione dell'insegnamento, sia strumenti opportuni di valutazione formativa e di recupero dei ritardi nell'apprendimento.
Uno degli aspetti più criticati, da parte degli indirizzi psicopedagogici del 20° sec., era stata l'antica pratica didattica di abituare gli allievi all'esercizio della memoria mediante l'apprendimento di testi poetici o di altro tipo. La pervasiva influenza dei mezzi informatici e il crescente impiego del computer nella pratica scolastica, avrebbero dovuto corroborare quella critica. E invece hanno finito per suscitare nuove preoccupazioni sulla qualità e l'efficacia dell'apprendimento scolastico, tanto che agli inizi degli anni Novanta si sono registrate varie prese di posizione da parte di intellettuali e politici in Europa. Ripensamenti si sono avuti anche in sede scientifica. Con gli studi di H. Ebbinghaus e con altre ricerche in ambito biochimico, fisiologico e medico, si è rilevata l'importanza per l'apprendimento della memorizzazione dell'appreso. Altri studi psicologici hanno affrontato gli aspetti della memoria come stabilizzazione di abilità comportamentali. I sistemi di memoria, a breve e a lungo termine, e il loro trasferimento dall'uno all'altro tipo, obbediscono a criteri selettivi individuali di differente natura (J. Nuttin e A.G. Greenwald), che possono essere favoriti da opportuni interventi esterni di natura didattica. Connesso al problema della memoria è quello della motivazione ad apprendere, fondata sulla curiosità e l'impulso esplorativo (R.M.W. Treves).
Le nuove teorie del curricolo costituiscono uno dei pochi tentativi di affrontare i problemi dell'insegnamento-apprendimento in una prospettiva strategica globale o unitaria. I primi modelli teorici elaborati in tale prospettiva, dovuti a studiosi di diverso indirizzo (H. Taba, D.K. Wheeler, P.H. Taylor, R.W. Tyler, P.H. Hirst, D. Lawton ecc.), hanno condotto a esiti differenti. In seguito, però, sono stati ripresi, rielaborati e integrati sulla base della concreta esperienza della progettazione educativa e della sperimentazione dei curricoli scolastici (R.M. Gagné, M.W. Apple, M. Skilbeck, W.H. Schubert, L.J. Briggs e, fra gli italiani, A. Daziano, N. Tornatore, C. Pontecorvo, M. Pellerey). La novità della procedura curricolare consiste proprio nel tentativo di considerare in una prospettiva progettuale unitaria i diversi fattori e momenti che concorrono, spesso interagendo fra loro, a definire le situazioni di apprendimento. In tale prospettiva in via preliminare si deve procedere all'analisi della situazione socioeducativa dell'ambiente in cui si inserisce un determinato piano di studi, ed eventualmente coinvolgere nella progettazione generale esperti esterni (pedagogisti, sociologi, psicologi, dirigenti scolastici). Altra condizione non trascurabile è la disponibilità dei docenti all'innovazione, all'aggiornamento, al lavoro collegiale. I fattori principali da prendere in considerazione in sede di progettazione sono: a) gli obiettivi di apprendimento, da definire con una certa precisione in riferimento non soltanto ai contenuti di istruzione, ma anche alla realtà psico-educativa rilevata in partenza; b) i contenuti dell'insegnamento, la cui qualità e i cui effetti possono variare molto a seconda che si privilegi un'impostazione rigorosamente scientifico-disciplinare oppure si tenda a inserire gli insegnamenti in una dimensione attenta soprattutto allo sviluppo psicologico e all'integrazione sociale; c) i metodi d'insegnamento, da determinare anche in relazione alla situazione concreta della classe e alla disponibilità di strumenti e di servizi didattici attrezzati; d) i tempi di svolgimento del programma, che devono essere valutati e stabiliti in anticipo per un corretto e compiuto svolgimento del programma stesso, salvo gli adattamenti richiesti da situazioni sopravvenute; e) le procedure di verifica e valutazione, che dovrebbero essere strettamente correlate agli obiettivi predeterminati ed eventualmente ridefiniti in corso di svolgimento del programma, ma che soprattutto devono accompagnare l'iter formativo e non limitarsi a una valutazione finale di tipo sommativo. Si dovrebbe prevedere anche una fase di valutazione complessiva del progetto nel suo andamento e nei suoi risultati. La procedura curricolare ha incontrato riserve, soprattutto per lattenzione ai contenuti di insegnamento e per la modesta qualità pedagogica di molti programmi sperimentali, tuttavia ha richiamato l'attenzione sulla necessità di studiare e tentare di tradurre in progetti concreti l'interazione fra le diverse componenti e i diversi fattori che intervengono nei processi formativi.
A spingere verso la d. modulare hanno contribuito, da un lato, gli indirizzi volti a garantire in ambito europeo la sostanziale equipollenza degli standard formativi dei diversi ordinamenti dell'istruzione nel quadro della liberalizzazione del mercato del lavoro, e, dall'altro lato, la necessità di progettare all'interno dei singoli Paesi sistemi integrati di istruzione-formazione in grado di agevolare i passaggi da un indirizzo all'altro degli studi (anche per contrastare i fenomeni di dispersione scolastica) e soprattutto di favorire i processi di alternanza studio-lavoro e di educazione ricorrente richiesta dalla flessibilità delle procedure lavorative. Già il Libro bianco curato nel 1995, per conto della Commissione europea, da E. Cresson e P. Flyn, Insegnare e apprendere: verso la società conoscitiva, indicava fra le mete da raggiungere quella di permettere a ogni individuo di far riconoscere competenze parziali in un sistema flessibile e permanente di certificazione di unità di competenze; accennava anche alla possibilità di suddividere i diversi settori disciplinari in unità elementari e di elaborare tessere personali di competenze. Contributi significativi alla elaborazione della d. modulare sono giunti soprattutto da studiosi italiani (S. Meghnagi, G. Di Francesco, G. Domenici) e dal Centro europeo dell'educazione di Frascati. Le indicazioni più specifiche del modello concernono: l'elaborazione di 'moduli' o 'unità capitalizzabili' riguardanti sezioni più o meno organiche di determinate discipline d'insegnamento, nelle quali siano contemperate sia le conoscenze da acquisire sia le competenze che a esse fanno capo; ogni modulo deve prevedere forme di verifica iniziale, in itinere, conclusiva; i diversi moduli devono essere progettati in modo da figurare come tessere di un insieme, collegabili fra di loro secondo diversi livelli di conoscenza-competenza (non necessariamente gerarchizzati), e utilizzabili anche separatamente a vario titolo nell'arco della vita attiva. L'organizzazione modulare degli insegnamenti può, in qualche misura, favorire la formazione di curricoli flessibili e di percorsi personalizzati, nonché la predisposizione di forme più efficaci di recupero dei ritardi scolastici.
Si è insistito anche sull'opportunità di dare spazio nella pratica didattica al laboratorio, inteso come la sede adatta a promuovere, non tanto l'applicazione di conoscenze altrimenti acquisite dagli allievi, quanto piuttosto la loro capacità di scoprire, elaborare e sperimentare in forma autonoma le conoscenze, avvalendosi di strumenti e di luoghi-spazi specializzati. Con la didattica laboratoriale il processo di insegnamento-apprendimento assume carattere bidirezionale, risultando dall'incontro fra il messaggio informativo-orientativo del docente e l'azione di ricerca-sperimentazione del discente o, meglio, del gruppo dei discenti impegnato. Oltre a favorire i piani di studio personalizzati auspicati dalla legge di riforma della scuola varata in Italia (nr. 53 del 2003), la d. laboratoriale si pone in una prospettiva più ampia rispetto alle cosiddette tecnologie dell'educazione, intese come complesso di mezzi scientifici e tecnologici a disposizione dell'insegnante, senza integrazione programmatica con le discipline insegnate. In tal senso, particolare attenzione viene rivolta all'organizzazione di spazi attrezzati per specifiche forme di sapere (scienze fisiche e naturali, lingue e letterature, scienze economiche e sociali, arti figurative, musica ecc.), all'interno dei quali svolgere parte dell'azione didattica.
bibliografia
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