DIDONE (lat. Dido, gr. Δευδώ)
Secondo la leggenda più antica, a noi giunta per mezzo dei Greci (Timeo, fr. 27; Giustino, XVIII, 4-6), Didone era figlia del re di Tiro Muttone (personaggio storico) e sposò lo zio, il ricchissimo sacerdote di Ercole (Melqart), Sicheo (Sicherba), che il fratello di D., il re Pigmalione (re storico), fece uccidere per averne le ricchezze. D. fuggì allora da Tiro per mare con alcuni cittadini a lei fedeli, portando seco i sacra di Ercole; imbarcò a Cipro una sacerdotessa di Giunone e alcune donne per i compagni, e sbarcò infine in Africa, ove acquistò dal principe indigeno Iarbas tanto terreno, quanto ne poteva coprire una pelle di bue, che essa tagliò in sottilissime strisce, con le quali ricinse un ampio spazio (così si spiegava il nome della rocca di Cartagine Βύρσα, in greco "pelle", che significa invece "fortezza"). Quivi D. edificò una città, che divenne subito prospera, ed ebbe dagl'indigeni il nome di Δειδώ dal suo lungo errare, mentre il suo primo nome era Elissa (fenicio ‛Ǎlīzāh, "la gioconda"). Chiesta in sposa con minacce da Iarbas, poiché i suoi concittadini timorosi volevano costringerla alle nozze, D., invocando i mani di Sicheo, si precipitò dalla reggia su un'alta pira e morì tra le fiamme. Ebbe poi sempre culto in Cartagine. Mentre alcuni la ritengono una figura storica, altri la credono invece un'ipostasi della dea punica Tanit. La leggenda di D. ebbe nuova vita nella poesia latina, sotto l'influsso del duello fra Roma e Cartagine, che già Timeo credeva fondate contemporaneamente: e parrebbe che già Nevio avesse fatto approdare Enea a Cartagine e cantati i suoi amori con Didone (secondo un'altra versione, Enea avrebbe amato invece Anna: Servio, Ad Aen., IV, 682; V, 4). Virgilio l'accolse infine e la rivestì di forme magnifiche nell'Eneide.
Enea, sbalzato dalla tempesta sulla costa dell'Africa, giunge a Cartagine, ove s'incontra con Didone, che invita l'eroe nella reggia. Durante il convito, Amore, in sembianza di Iulo figlio di Enea, ispira a D. amore per l'ospite, che a richiesta della regina le narra la caduta di Troia e le proprie peregrinazioni (l. I-III). Didone tenta di resistere alla nascente passione, ma infine, spinta anche dalla sorella Anna, dimentica la fede giurata a Sicheo e durante una caccia interrotta dalla tempesta, rifugiatasi in una grotta con Enea, stringe con lui il connubio. Ed Enea sarebbe rimasto a Cartagine, se Giove non avesse richiamato l'eroe ai suoi alti destini, imponendogli di riprendere la navigazione verso il Lazio. D. s'accorge dei segreti preparativi per la partenza, prega, minaccia, scongiura invano, e infine, mentre la flotta troiana veleggia verso l'Italia, dopo aver imprecato odio eterno dei Cartaginesi ai discendenti di Enea, si dà la morte sulla pira da lei fatta preparare (l. IV). La Didone virgiliana è una delle più stupende creazioni poetiche e accresce interesse alla sua figura il profondo significato storico che il poeta le diede.
La leggenda di D. nella sua forma primitiva, senza relazione con Enea, visse per tutta l'antichità specialmente in Africa: la cronologia canonica stessa escludeva la possibilità del suo incontro con Enea. Nella nuova forma essa ritorna in Ovidio (Heroid., VII), in Silio Italico (Pun., III, 82, ecc.) e in altri minori.
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