dieci (Diece)
Assai più frequente è la forma ‛ diece ', non solo in rima, ma anche all'interno del verso (Commedia) e in prosa (Convivio). Il numerale, unito con passi (If XVII 32, Pg XXIX 81) indica una distanza, breve ma approssimativa. In Cv IV XXIV 5, invece, unito ad anni, sta a significare il periodo di tempo (da D. detto senio) che oltre la senettute rimane de la nostra vita; anche in questo caso è usato con valore approssimativo (cfr. infatti o poco più o poco meno). Il numero serve, altrove, per indicare un rapporto: in If XXV 33 Ercule... / gliene diè cento, e [Caco] non sentì le diece, come se dicesse che Caco sentì solo un decimo dei colpi che Ercole gli assestò, perché morì ben presto; di nuovo, sia cento che diece sono numeri approssimativi.
In Pd VI 138 si legge che Romeo di Villanova assegnò sette e cinque per diece a Raimondo Berengario, cioè gli aumentò il patrimonio del venti per cento. In Pd XXVII 117, infine, il movimento del Primo Mobile non è misurato da quello di altri cieli, ma anzi li altri son mensurati da questo, / sì come diece da mezzo e da quinto, cioè " come il dieci è determinato dalla sua metà e dal suo quinto " (Momigliano). E qui probabilmente d. non è preso a caso come esempio. Il numero infatti ritorna in Cv II XIV 3 dal diece in su, non si vada se non esso diece alterando con gli altri nove [numeri] e con se stesso.
Per D. il ‛ venti ' esprime il moto alterativo (v. ALTERAZIONE) in quanto deriva dalla graduale alterazione del ‛ dieci '. Infatti nella numerazione dal d. in su, questo (sostanza) viene alterato dalle unità dall'uno al nove (qualità accidentali) secondo un movimento progressivo fino a venire alterato con se stesso, generando così il numero venti (v.).
Dieci sono i cieli (Cv II III 12), escludendo gli epicicli (§ 17); d., quasi in contrapposizione, sono le bolge infernali (If XVIII 9 dieci valli; XXIX 118) e i demoni che accompagnano D. e Virgilio tra una bolgia e l'altra (If XXII 13). Le dieci figure di Fiore VIII 4 sono i d. numeri, o meglio le nove cifre, la cui invenzione fu nel Medioevo attribuita all'arabo Khowâresmi, confuso in questo passo con l'argonauta Argo, come chiarisce il Petronio (ad l.). Dieci infine sono i comandamenti della legge mosaica (If XIX 110 le diece corna) che, insieme con i sette doni dello Spirito Santo (le sette teste, v. 109) sostennero la Chiesa fin che virtute al suo marito [il papa] piacque (v. 111). In Pg XXXIII 43, finalmente, il d., insieme con il cinquecento e il cinque, va interpretato, secondo il quasi unanime parere dei commentatori, non come numero di per sé, ma nella trascrizione grafica latina, in modo da ottenere, invertendo l'ordine delle due ultime lettere, la parola DVX; il duce, che dovrà salvare la Chiesa, è probabilmente l'imperatore Enrico VII.