MARADONA, Diego Armando
Argentina. Lanus, 30 ottobre 1960 • Ruolo: interno • Esordio in serie A: 16 settembre 1984 (Verona-Napoli, 3-1) • Squadre di appartenenza: 1976-80: Argentinos Juniors; 1981-82: Boca Juniors; 1982-84: Barcellona; 1984-92: Napoli; 1992-93: Siviglia; 1993-94: Newell's Old Boys; 1995-97: Boca Juniors • In nazionale: 91 presenze e 34 reti (esordio: 27 febbraio 1977, Argentina-Ungheria, 5-1) • Vittorie: 1 Campionato argentino (Metropolitano 1981), 2 Campionati italiani (1986-87, 1989-90), 1 Coppa di Spagna (1982-83), 1 Supercoppa Spagnola (1984), 1 Coppa UEFA (1988-89), 1 Coppa Italia (1986-87), 1 Supercoppa Italiana (1990), 1 Campionato del Mondo (1986), 2 Palloni d'oro sudamericani (1979, 1980) • Carriera di allenatore: Deportivo Mandiyù (1994), Racing Avellaneda (1995)
Per decenni ancora si discuterà se Maradona sia stato o meno il più grande giocatore mai esistito, accanto a Pelé e Di Stefano. Incontestabilmente, è comunque il fuoriclasse più dotato di talento dell'ultimo quarto di secolo. Mai campione è stato così grande e insieme così scellerato: di certo, per quello che ha fatto vedere sul campo ha incarnato l'essenza stessa dello spettacolo applicato al gioco del calcio, piegandone la modernità degli schemi e del fattore atletico a un estro semplicemente inarrivabile. Non c'è stata 'invenzione' calcistica che gli sia stata preclusa o che si sia negato. Ha fatto gol in tutti i modi: di piede, di testa, persino di mano, come quello famoso contro l'Inghilterra ai Mondiali del 1986, peraltro seguito da un'altra rete storica, ottenuta dopo aver dribblato sette giocatori avversari. Ha sovvertito ogni 'partitura' calcistica precostituita. Allo stesso tempo si è rovinato con le proprie mani fino a sfiorare ‒ nel 1999 ‒ la morte per overdose. Nato poverissimo in un sobborgo di Buenos Aires e per nulla aiutato da un fisico tozzo e quasi sgraziato, Maradona trovò subito nel calcio il riscatto alla sua condizione sociale: a 16 anni era già nella nazionale giovanile del suo paese, a meno di 18 avrebbe potuto disputare, e conseguentemente vincere, il Campionato del Mondo giocato proprio in Argentina se l'eccessiva prudenza del commissario tecnico Menotti e soprattutto la storica gelosia del capitano Passarella non l'avessero costretto al ruolo di 'riserva non giocatore'. Nel 1979 Diego era il re del calcio argentino e sudamericano; il Boca Juniors lo strappò per 10 miliardi all'Argentinos e con lui vinse subito il Campionato. Ma la fama del suo talento ormai aveva varcato ogni confine e il ricco Barcellona gli fece ponti d'oro per portarlo in Europa non ancora ventiduenne. Venne accolto come un fenomeno inarrestabile ma, purtroppo per lui, anche gli avversari si regolarono di conseguenza. Un giocatore basco, Goicoechea, gli spezzò tibia e perone. Il forzato riposo, la rabbia e la delusione forse spianarono la strada al vizio che ne avrebbe minato la carriera: la droga. Ma c'erano una squadra e una città che con il loro entusiasmo sembravano fatte per lui. Il Napoli lo strappò al Barcellona per 13 miliardi nell'estate del 1984. Iniziò la sua avventura italiana, meravigliosa ed esaltante sul piano calcistico: drammatica, se si pensa alla sua conclusione, dal punto di vista umano. In Italia, dove pure erano transitati Zico e Platini, non si era mai visto un campione così straordinario. In tre anni il Napoli arrivò al primo scudetto (1987): l'impresa venne replicata nel 1990, anno dei Mondiali in Italia. Fu in quell'occasione che si spezzò il feeling tra Maradona e il pubblico italiano: l'Argentina eliminò proprio la squadra azzurra e nella finale persa con la Germania Diego venne ripetutamente fischiato e insultato. Meno di un anno dopo se ne sarebbe andato, accompagnato dalla squalifica scattata in seguito all'esame antidoping di Napoli-Bari. Sembrava finito: ma il Campionato del Mondo ‒ il suo quarto, a 34 anni ‒ parve essere ancora una volta il palcoscenico giusto per la riscossa (quel Campionato del Mondo che nel 1986 gli aveva dato la gioia più grande consentendogli di alzare al cielo e di offrire all'Argentina che lo adorava, il trofeo che aveva sognato fin da bambino). Diego sembrava rinato: si allenò con tenacia, arrivò negli Stati Uniti in gran forma e con molti chili di meno malgrado alcuni mesi di inattività. Segnò anche uno strepitoso gol contro la Grecia. Ma ancora una volta venne fermato e squalificato per aver assunto una sostanza, a suo dire, necessaria per aiutarlo a dimagrire.
Il mito-Maradona finì lì, a Boston. Il resto non è più stata la storia di un campione, ma di un uomo in declino (anche se ancora amato da tanti), che ha dato la sensazione di aver sprecato non solo tanto talento, ma anche la felicità e la vita. È stato squalificato tre volte per doping: nel 1991, per cocaina, nel Campionato italiano; nel 1994, per efedrina, nel Campionato Mondiale negli Stati Uniti; nel 1997, per cocaina, nel Campionato argentino.