NASELLI, Diego
– Nacque a Castellammare del Golfo (attualmente in provincia di Trapani) il 22 novembre 1727, quintogenito di Baldassare, principe d’Aragona, e di Laura Morso, dei principi di Poggioreale.
Secondo alcuni genealogisti (Francesco Maria Villabianca, Livio Serra) la nascita andrebbe retrodatata al 1721 o al 1723. Alcuni dizionari nobiliari, così come alcuni storici autorevoli (Nino Cortese, Giuseppe Giarrizzo), hanno confuso le sue vicende biografiche con quelle di un suo omonimo nipote ex fratre, luogotenente a Palermo durante i moti del luglio 1820, in qualche caso fino a ritenere che si trattasse della medesima persona.
Originaria dell’area lombarda, la famiglia Naselli s’era insediata in Sicilia nel corso del XIII secolo e aveva raggiunto una posizione di primo piano nella feudalità isolana, dividendosi in più rami. Quello dei principi d’Aragona giunse all’apice del potere nel corso del XVIII secolo, grazie soprattutto alla figura di Baldassare (1697-1753), capitano di giustizia a Palermo nel 1723-24 e pretore nel 1737-38; avendo intessuto buone relazioni con il nuovo sovrano di Napoli e di Sicilia Carlo di Borbone, Baldassare ascese a una posizione di grande prestigio alla Corte napoletana: gentiluomo di entrata del re e maggiordomo maggiore della regina Maria Amalia, fu nominato consigliere di Stato e nel 1748 presidente del Supremo Consiglio di Sicilia.
Mancano notizie complete sulla educazione di Naselli: è probabile che, come i suoi fratelli, dopo una prima formazione domestica, abbia proseguito gli studi presso il collegio imperiale dei nobili di Palermo. A dodici anni fu avviato alla carriera ecclesiastica e designato abate del cenobio benedettino di S. Maria di Abita, sito nel feudo materno di Gibellina; nel 1745 entrò nell’Ordine di Malta come cavaliere di Giustizia (cavaliere di Gran croce dal 1748).
Negli stessi anni si appassionò alla musica e studiò col compositore napoletano Davide Perez, allora a Palermo al servizio dei Naselli e poi maestro della Cappella Palatina. Agli anni giovanili risalgono le musiche per il metastasiano Attilio Regolo, rappresentato a Palermo nel 1748, e per il Demetrio, messo in scena a Napoli l’anno successivo: Naselli firmò queste opere con lo pseudonimo anagrammatico Egidio Lasnel, che usò anche per le composizioni dei decenni successivi, tra cui la canzonetta pastorale La lontananza (1769) e l’adattamento del gluckiano Orfeo ed Euridice, rappresentato al S. Carlo nel 1774.
Nel 1746 seguì il padre a Napoli e, abbandonato l’abito monastico, entrò con i fratelli Salvatore e Mariano (anch’essi destinati a una brillante carriera) nei ranghi dell’esercito borbonico. Capitano aggregato del reggimento di fanteria Borgogna dal 7 agosto 1747, fu promosso tenente colonnello il 13 febbraio 1757. Con altri ufficiali napoletani, tra cui il fratello Mariano, militò come volontario nelle fila dell’esercito asburgico durante alcune fasi della guerra dei Sette anni: nell’ottobre 1758 prese parte alla battaglia di Hochkirch, in Sassonia, contro le armate prussiane e all’assedio di Dresda. Rientrato nel Regno, fu promosso colonnello il 30 settembre 1759, brigadiere il 23 marzo 1776, maresciallo di campo il 12 agosto 1790; infine, il 30 settembre 1797 ascese al grado di tenente generale. Nel 1786 fu insignito del titolo di cavaliere del Real Ordine costantiniano; il 30 maggio 1800 di quello di grande ufficiale del neoistituito Ordine di S. Ferdinando e del merito.
Al periodo trascorso a contatto con le milizie asburgiche risale, probabilmente, la sua iniziazione massonica. Nel 1764 era iscritto col grado di maestro alla Loggia napoletana Les zélés, di obbedienza olandese. Nel 1773 seguì Francesco d’Aquino di Caramanico nella fondazione della Loggia Lo zelo, di cui fu nominato primo gran sorvegliante: il gruppo, di composizione aristocratica e sostenuto dalla regina Maria Carolina d’Austria e dalla diplomazia austriaca, nel 1774 si costituì in Gran Loggia nazionale, rendendosi indipendente dalla Grand Lodge di Londra e, al contempo, tese a distinguersi dalle logge di osservanza inglese guidate da Cesare Pignatelli di S. Demetrio. A seguito dell’editto antimassonico del 1775 e del processo contro i liberi muratori iniziato l’anno successivo, avendo il principe di Caramanico lasciato la fratellanza, nel giugno 1776 Naselli fu eletto gran maestro nazionale.
Negli anni del ‘trionfo massonico’ a Napoli, simboleggiato dalla caduta del ministro toscano Bernardo Tanucci, anche grazie al sostegno della regina, la Gran Loggia nazionale si impose come la maggiore osservanza massonica del Regno di Napoli e il principale riferimento delle logge siciliane. A essa Naselli, che in quegli stessi anni approfondì lo studio del mesmerismo, affiancato dall’abate olivetano Kiliano Caracciolo, impresse una svolta che ne accentuò il carattere elitario e occultista: nel 1777 il nucleo massonico da lui guidato aderì alla Stretta osservanza (il regime massonico che aveva come mito portante quello dell’origine templare della libera muratoria) e fu inquadrato come Sottopriorato dell’Aquila, di cui Naselli fu eletto sottopriore col nome ‘a Falcone’. Due anni dopo aderì al Regime rettificato del lionese J.B. Willermoz, che diede alla massoneria templare un’impronta più marcatamente spiritualista: nel 1780 fu a Torino, poi a Lione per suggellare l’adesione del Capitolo templare napoletano alla riforma lionese; negli anni 1783-84 fu gran maestro della IV provincia massonica, fu cioè posto a capo della massoneria templare dell’intera penisola.
Incontrò più volte il teologo danese Friederich Münter che visitò Napoli e Palermo nel 1785-86 come emissario dell’Ordine degli Illuminati; l’azione di Münter nel Regno favorì la ripresa e l’espansione di una massoneria razionalista e illuminista, in crescente contrasto con l’orientamento legittimista dei ‘nazionali’, con il loro carattere elitario e occultista e con la loro fedeltà ai dogmi del cattolicesimo. La Loggia nazionale, in crisi già dal 1786, fu sciolta da Naselli all’indomani del nuovo editto antimassonico del 3 novembre 1789. Egli tuttavia continuò, verosimilmente, a coltivare rapporti con alti esponenti della massoneria europea, che nel 1799 si rivolsero a lui per ottenere la scarcerazione del geologo francese e massone Déodat de Dolomieu, prigioniero per ordine del governo napoletano.
Sebbene fosse giudicato da taluni «più un uomo di società che di affari, e di militare riputazione» (Blanch, 1945), con l’avanzata delle truppe repubblicane in Italia vide affidarsi, anche grazie alle aderenze a Corte, incarichi di grande rilievo nelle vicende belliche e politiche degli anni della Repubblica e della prima restaurazione. Verso la fine del 1798 prese parte alla campagna militare contro la Repubblica romana, sotto il comando del generale austriaco Karl von Mack: alla guida di 6000 uomini, il 28 novembre salpò da Gaeta alla volta di Livorno, da dove avrebbe dovuto congiungersi agli insorgenti toscani e ostacolare la ritirata francese verso Perugia. Ma i rovesci subiti dagli altri reparti dell’esercito borbonico e la rapida ritirata ordinata da Mack lo costrinsero a lasciare la Toscana e a fare ritorno a Napoli, dove giunse nei primi, convulsi giorni del 1799, per vedere i suoi soldati facilmente disarmati dalla popolazione insorta. Imbarcatosi con alcuni ufficiali, giunse a Pizzo, in Calabria, tra marzo e aprile, dove il cardinale Fabrizio Ruffo, per metterlo al riparo dal risentimento delle popolazioni calabresi che lo credevano disertore, lo fece arrestare e inviare a Messina.
Il 2 ottobre 1799 gli fu affidato il comando delle truppe borboniche che andavano a occupare Roma dopo la resa dei repubblicani: fu nominato comandante militare e politico dello Stato romano col compito di reintrodurvi il ‘buon ordine’ in attesa che il collegio cardinalizio eleggesse il nuovo pontefice. In questa veste emanò ordinanze rigorose nei confronti degli ex repubblicani e si adoperò per un’integrale restaurazione dello status quo; cercò tuttavia di limitare il ricorso alle bande controrivoluzionarie per il mantenimento dell’ordine pubblico, conscio dei frequenti disordini di cui si rendevano responsabili.
Rientrato da Roma, che il 22 giugno 1800 fu riconsegnata al governo pontificio, prese possesso della carica di presidente dell’Udienza generale di guerra e casa reale, alla quale era stato nominato sin dal gennaio precedente in sostituzione del generale Filippo Spinelli; in questa veste, fu a capo di una speciale giunta di generali cui venne affidata l’opera di epurazione e di ricostruzione dei quadri dell’esercito.
L’8 febbraio 1806, dopo la fuga dei sovrani da Napoli, il vicario Francesco di Borbone in partenza per la Sicilia lo nominò presidente della giunta di reggenza incaricata di trattare la resa delle piazzeforti del Regno alle truppe francesi guidate da Giuseppe Bonaparte.
Morì a Palermo (a Napoli secondo alcune fonti) il 20 giugno 1809.
Diego Naselli principe d’Aragona compare come personaggio ne La Tosca di V. Sardou, dramma storico in 5 atti ambientato nella Roma del 1800, rappresentato per la prima volta a Parigi nel 1887.
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